Creato da korov_ev il 06/02/2013

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Lo spazzino di Hiroshima

Post n°23 pubblicato il 06 Agosto 2013 da korov_ev

Guardavo l’orizzonte gonfiarsi a dismisura ad oriente, l’aria dilatarsi in un istante irreale come se tutto fosse fuori dal tempo, e le cose persero la forma agli occhi.
Un piccolo sole si accendeva lontano, brillante e veloce. Caldo. E io che non riuscivo a distogliere lo sguardo mentre la luce dilatava oltre le nuvole accecando la terra e scaldandola di un’estate malata.
Ricordai le parole di un generale, uno dei tanti; uno di quelli che guardava la spianata dall’alto della sella e la vedeva colorarsi di rosso man mano che la sua pipa di schiuma consumava il tabacco allo stesso modo in cui la guerra consumava le vite, giù nella valle.
- Se riuscissimo ad arrivare a sera riorganizzeremmo l’esercito - diceva - e domani è un altro giorno: chissà che la fortuna non giri!…
E su quella ruota di fortuna restavano appiccicati come mosche i cadaveri dei soldati che non avevano avuto il tempo di darle un’altra spinta..
Vorrei vederlo ora, in questa Waterloo fatta di un istante che diluisce i contorni, deforma le lamiere, accartoccia l’aria e la sottrae ai polmoni per  farla tornare con la violenza di mille bordate. Vorrei vederlo ora che anche il tempo si è disintegrato in milioni di frammenti fuligginosi stampati sui muri… quelli rimasti in piedi.

 “Valutare la grandezza del sole artificiale; stendersi a terra e coprirsi come meglio si può con qualsiasi cosa si abbia a disposizione; portare le mani incrociate sul capo a proteggerlo; stimare quanto tempo passa dall’avvistamento del piccolo sole all’arrivo dell’onda d’urto di compressione; aspettare, al riparo, il ritorno dell’onda di depressione; una volta rialzatisi valutare il livello di distruzione circostante; non fumare; non bere e non mangiare alcunché; allontanarsi il prima e il più possibile dall’origine dell’esplosione; ove disponibile effettuare una doccia decontaminante e comunicare i dati raccolti al quartier generale”

 …Ma tutto questo non lo sappiamo ancora. Tutto questo non è ancora stato scritto in nessun trattato di pace, in nessuna dichiarazione di guerra, in nessun libro di scuola. Ora siamo solo tante falene inerti, qui, in piedi di fronte alla fine del mondo. E la guardiamo negli occhi, affascinati da quel miracolo brillante di potenza e splendore. La guardiamo e aspettiamo che l’onda calda ci porti via o ci lasci mescolati, impressi alla rinfusa sull’asfalto mattutino come negativi di brutte foto.
E adesso che ci hanno piegati, che ci hanno reso indietro una speranza deforme; adesso che i nostri geni non ci somigliano più.  Adesso che siamo sconfitti!… Adesso, guardiamo il simbolo della nostra vanità confondersi con quello della follia. Lo vediamo sventolare alla sommità di un pennone: un piccolo sole rosso nascente in campo bianco ricamato su uno strappo di stoffa. Uno stendardo, un paradosso, una punizione alla nostra superbia o un monito alla pazzia mai ammainata. E comunque, ciò che resta: uno straccio che sventola tra petali di cenere nella brezza velenosa di Hiroshima.

 
 
 
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