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Laude Eterne

Post n°82 pubblicato il 02 Luglio 2015 da korov_ev

Sapete, io credo che le parole abbiano una inevitabile bellezza intrinseca. A pensarla così  sono in buona compagnia, visto che il padreterno in persona decide addirittura di creare, attraverso la parola.
Non esiste la bruttezza della parola, esiste, piuttosto, spesso, un'assenza della sua bellezza, che sfortunatamente permea di un nulla sottile la maggior parte di ciò che oggi si legge (e si dice).
Qualche giorno fa mi è stato sottoposto un breve scritto allo scopo di avere consigli sulla sua stesura. Il pezzo, non saprei come definirlo se non come la "recensione" (benché di recensivo non abbia assolutamente nulla) di un concerto intitolato "Le Laude eterne".
Le laudi sono una forma di canto sacro nato intorno al milleduecento e sviluppatosi poi nei secoli secondo canoni spesso popolari, per questo motivo i nomi degli autori si perdono sovente nel calderone immemore della tradizione e i testi, per lungo tempo tramandati oralmente, echeggiano degli antichi dialetti dei luoghi ai quali appartengono.
Il concerto in questione era incentrato in modo particolare sulla figura della Vergine Maria e questa sorta di "non recensione" che ho avuto il piacere di leggere è riuscita a passare indenne le maglie di quella banalità che troppo spesso riveste certi argomenti e rimandare un'immagine di bellezza davvero inconsueta (almeno ai miei occhi).
Passare quel brandello d'anima al vaglio della ragione mi sembrava ingiusto se non addirittura sbagliato,  per questo ho deciso di proporvelo qui di seguito tal com'era. Il tutto, naturalmente, previa autorizzazione dell'autore che in questo caso, come avrete modo di intuire, è in realtà un'autrice.

C'è stato un tempo in cui gli uomini pregavano un Dio vicino, un Dio che sapeva essere misericordioso ma che sapeva anche alzare la voce, che camminava scalzo tra i vicoli sporchi delle città e dei villaggi,  toccando la spalla ad ogni uomo che incontrava. A quel tempo si innalzavano inni e preghiere, a quel tempo l'uomo aveva fede nell'ascolto di Dio. Allora vi era un dialogo a voce alta tra terra e cielo, una voce che saliva dietro il fumo dell'incenso, lungo le strade dei pellegrini e dei penitenti, cantata sgranando rosari.
Una corale che giunge dal passato e che oggi ci affascina con la musicalità di una lingua ormai misteriosa e ignota, di cui vaghi echi risuonano in memorie lontane. Queste le Laudi Eterne, tanto intrise di una nostalgia materna, quella preghiera che nasce nell'esilio, nella distanza, nella condanna ad uno stato di infinitamente piccolo, di un peccato connaturato all'uomo dinnanzi all'immensità di Dio.
Ma se cambia l'amore che si rivolge a Dio, non cambia quello di una madre per il proprio figlio, un figlio che è carne viva, carne spezzata dalla propria, piaga viva per ognuna che abbia partorito. Come può Maria non essere madre terrena oltre che madre celeste? Allora è pianto, allora è strazio per quell'alito di vita che sfugge dalla croce verso un cielo mai così crudele e distante, che chiede un sacrificio tanto grande, quello più alto per una madre che assiste alla morte del proprio figlio. 
Ecco le "mie" Laude Eterne. Un viaggio tra le mura sconsacrate di un tempo estremo di pianto e preghiera, una vertigine cui innalzavano le voci splendide e il clavicembalo, con il tocco pietoso del flauto traverso sul tinnire delle corde pizzicate. E per un istante, per un minuscolo frammento di eternità, le pietre antiche spogliate dei loro sacramenti hanno vibrato ancora di qualcosa che potrei chiamare compassione.

 
 
 
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