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PENSIERI E PAROLE
 

W. Allen

NON E' CHE HO PAURA DI MORIRE.

E' CHE NON VORREI ESSERE LI'

QUANDO QUESTO SUCCEDE.

W. Allen

 

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CANZONE

Che giorno è

E' tutti i giorni

Amica mia

E' tutta la vita

Amore mio

Noi ci amiamo noi viviamo

noi viviamo noi ci amiamo

E non sappiamo cosa sia la vita

Cosa sia il giorno

E non sappiamo cosa sia l'amore

Jacques Prévert

 

I ragazzi che si amano si baciano

In piedi contro le porte della notte

I passanti che passano se li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano

Non ci sono per nessuno

E se qualcosa trema nella notte

Non sono loro ma la loro ombra

Per far rabbia ai passanti

Per far rabbia disprezzo invidia riso

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno

Sono altrove lontano più lontano della notte

Più in alto del giorno

Nella luce accecante del loro primo amore.

Jacques Prèvert

 

DALLA - CANZONE

 

N. de Chamfort

CHE COSA DIVENTA UN PRESUNTUOSO

PRIVO DELLA SUA PRESUNZIONE?

PROVATE A LEVAR LE ALI AD UNA FARFALLA:

NON RESTA CHE UN VERME.

N. de Chamfort

 

GLI APOSTOLI DIVENTANO RARI,

TUTTI SONO PADRETERNI

A. Karr

 

 

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DIALOGO, SEMI-SERIO IN DUE ATTI, TRA BERLUSCONI, APICELLA E SAN GENNARO

Post n°320 pubblicato il 19 Gennaio 2011 da enca4

 

ATTO PRIMO

Berlusconi è nel salone della sua villa di Arcore. E’ agitato, nervoso. Non sta fermo un attimo. Il parrucchino, che di solito gli viene saldato in testa la mattina, questa volta giace per terra, vicino ad una poltrona. Sulla nuca il Cavaliere ha qualche evidente segno rosso, come se si fosse strappato da solo la capigliatura in un attimo d’ira. In mano ha un foglio di carta che agita continuamente.)

B.: “Apicella! Apicella! Dove sei? Vieni subito qui! Che ti pago a fare se non vieni quando ti chiamo?” (Continua a muoversi nervosamente. Fa cadere da un tavolo, al centro della scena, una tazza di porcellana, dove precedentemente gli era stata servita una tisana con la speranza di calmarlo un po’. Guarda di nuovo il foglio che ha in mano.)

(Entra Apicella. All’orecchio destro ha, come orecchino, un suo CD fermato con una molletta da bucato. A tracolla l’immancabile chitarra. E’ impaurito. Non ha mai visto il suo capo in una simile situazione nervosa).

A.: “Sono qua’ per servirvi. Dite, Cavaliere. Apicella vostro è tutt’orecchio.”

B.: “Ecco! E’ arrivata la convocazione dei Giudici Comunisti. Adesso devo solo decidere quando andare da        loro, in tribunale, e farglielo sapere.”

A.: “Dotto’, Cavalie’, Gioia mia, ‘o sapevamo che sarebbe arrivata ‘sta carta. Che dicheno i giudici?”

B.: “Mi mandano a dire che posso andare da loro il 21, oppure il 22, oppure il 23 di questo mese. Questi comunisti, Marxisti,  Leninisti, non sanno che cosa gli farei…” (comincia a mordere il foglio che ha in mano)  

A.: “Calma Ammiraglio. Dobbiamo trovare il giorno giusto. Non possiamo sbagliare data. Il  giorno deve essere propizio. Padreterno mio, avete fede in me?”

B.: (Urlando come un pazzo)  “Cosa hai detto? Fede? Non pronunciare più quella parola. So io che cosa lo mando a fare da domani al Direttore Fede. Altro che casinò! A briscola, all’osteria deve andare, se vuole giocare a carte.”

A.: No! Comandante mio. Anima mia. Volevo dire, se avete fiducia in me, andiamo nella mia stanza dove c’è un mio amico che non mi ha mai tradito e che mi ha dato sempre buoni consigli. Vedrete, Presidente Esimio, che vi consiglierà per il meglio anche a Voi.”

B.: “Tanto ci voleva? Andiamo! Non aspettiamo altro tempo.” (Escono tutti e due dalla scena, continuando a parlare tra loro in modo sempre più agitato)

FINE PRIMO ATTO

 

SECONDO ATTO

 

La camera di Apicella. Al centro un letto con baldacchino dorato, dal quale pendono quattro ferri di cavallo. Alle pareti innumerevoli corna di ogni colore e dimensione. Trecce d’aglio alla finestra. A destra della stanza un comò stile impero sul piano del quale è posizionata una statua di San Gennaro, circondata da numerosi lumini di cera accesi. A sinistra, una poltrona dello stesso stile del comò. La stanza è in penombra.

A.: “Prego, Grand’Ufficiale, trasite e sedetevi pure.

(Berlusconi entra, si siede e consegna quello che è rimasto del foglio che aveva in mano ad Apicella. E’ sempre più nervoso, agitato.)

A.: (Si avvicina al comò, con il foglio tremolante in mano, a testa bassa, quasi timoroso) “San Genna’, tu ‘o conosci Silvio Berlusconi, vero? Te ne ho parlato tante volte. Ha un problema. O vvide stu foglio? E’ na convocazione che gli hanno mandato i Giudici Comunisti di Milano. Deve scegliere quale giorno andare. Aiutalo, consiglialo tu. Quale è il giorno migliore?  (Detto questo si inginocchia davanti alla statua del Santo)

Passa qualche istante, poi, come proveniente dall’oltretomba una voce cupa, profonda, ferma nel tono, dice:

S. G.: “Hai fatto un mare di stronzate, caro Silvio”. (il quale Silvio tenta di replicare ma viene prontamente azzittito prima che possa dire una sillaba) “Zitto tu, che adesso parlo io. Secondo la smorfia il 21 è:la Donna Nuda , perciò è meglio che quel giorno non ci vai, altrimenti i Giudici ti possono accusare anche di aver ripetuto il reato. Sarebbe come se tu ti portasti dietro co’ te n’atra zoccola pure al Tribbunale. Il 22, sempre secondo la smorfia è : Il Matto , e certo che tu tanto sano di mente non ci sei proprio, perciò lascia perdere. Il 23 è: Lo Scemo, e come te in Italia di scemi ce ne sono proprio pochi. Sei talmente scemo che al campionato del mondo degli scemi arriveresti ultimo. Perciò, parla coi Giudici e trova un’altra data.”

B.: (Sconsolato, afflitto) “San Gennaro, che posso fare? Posso chiedere di andare sabato 24?

S.G.: “Bravo! O vvide quanto si scemo? Il 24, sempre per la smorfia sono Le Guardie . Vai il 24, almeno la facciamo finita una volta per tutte.”

Berlusconi sviene. Apicella accorre cercando di far aria al suo Signore con il foglio di carta che ha ancora in mano.

CALA IL SIPARIO

 
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