Post n°8 pubblicato il 19 Dicembre 2010 da coco1953
Non dico niente di originale se scrivo che come altri milioni di persone sono alla ricerca, in questi giorni, dei regali di Natale. Stasera ho finito di fare pacchi, incollare etichette, scrivere cartoline. Il tutto stivato in una delle camere vuote della casa. Un tempo, quando i figli erano piccoli, o anche solo adolescenti e abitavano ancora con noi, la fatica era nasconderli, negli armadi, in alto, nei soppalchi. Ora non serve, i ragazzi arriveranno la sera della vigilia, e via. Quando si raggiunge una certa età, poi, le famiglie si allargano e i momenti di festa si sbriciolano in tante sottofeste, per cui il 24 si sta con gli uni, il 25 con gli altri, il 26 con altri ancora. In una di queste occasioni, o forse in tutte, chissà, magone garantito, almeno per qualche istante, è difficile mantenere sempre l'armonia, o scacciare un ricordo doloroso o, più semplicemente, essere in sintonia con lo "spirito" del Natale. Quasi sempre è meglio la preparazione, i regali, appunto, il menu da studiare, la tavola da imbandire, quando tutto è ancora in divenire. Torniamo ai regali. Penso che l'età più matura ti renda più felice nel farli che nel riceverli, visto che in ogni regalo che facciamo c'è anche un pezzetto di noi, dei nostri gusti, dei nostri affetti. Oddio, non per tutti è così. Ho letto che il nostro premier regalerà a tutte le deputate PDL un anello con i colori della nostra "diletta" ("Odio via col vento" questa è dedicatata a te!) bandiera: rosso di rubini, bianco di brillanti, verde di smeraldi. Costo cad. Euro 1.400. Ora, io non so quante siano attualmente le deputate pidielline, e non voglio neanche pensare cosa possano costare i piccoli cadeaux del premier alle sue belle, in fondo non me ne frega niente, sono soldi suoi; né voglio scadere nella facile retorica, scrivendo che solo uno di quegli anelli, vale molto più dello stipendio di un operaio o di un ricercatore precario. Voglio solo sottolineare il fatto che quei regali non sono stati scelti con amore, mirati, come ho fatto io e qualche altro milione di persone nel mondo, sono regali anonimi, seriali, in cui non c'è niente di personale, né nel dare né nel ricevere. Che tristezza! E non c'è neanche la speranza che il Mr. Scrooge di "noantri" abbia un qualche ravvedimento la notte di Natale. Caspita, il magone mi è già scattato prima delle feste... ed è sempre colpa di B. |
In tutto il bailamme che è scoppiato a seguito delle rivelazioni di Wikileaks, fa quasi tenerezza la dichiarazione di Calderoli: " Serve saggezza padana contro il caos". Bene, io abito a Milano, tra andate e ritorni, da più di trent'anni. Per me il Po sono i film di Ermanno Olmi, di cui l'ultimo "Centochiodi", quasi una prosecuzione del documentario "Lungo il fiume", riassume tutti gli altri. La Padania non esiste, disse la società dei geografi italiani alcuni anni fa, non esiste dal punto di vista etnico, culturale e geografico. Ma i leghisti non si arrendono, tutti gli anni il loro stanco e acciaccato profeta va a fare la sua pantomima dell'ampolla, osannato dal gregge in camicia e fazzoletto verde. Che la Padania, dunque, con la sua "saggezza" possa risolvere lo scandalo di migliaia di notizie inquietanti e riservate che circolano impazzite, mettendo a serio rischio gli equilibri internazionali, facendo tremare la Casa Bianca e traballare i governi di mezzo mondo, a me fa sorridere, di quei sorrisi a mezza bocca, che vorrebbero trasmettere allegria e invece trasudano amarezza. |
Post n°6 pubblicato il 24 Novembre 2010 da coco1953
Il 28 maggio del 1974 avevo 21 anni e da pochi mesi lavoravo a Milano nella sede centrale della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala. Da ex-sessantottina, le mura dell'austero Istituto di Credito mi stavano strette, con i miei colleghi bancari avevo poco a che spartire. Cercavo di starmene "schiscia", unico atto politicamente rilevante, l'iscrizione alla CGIL, quattro gatti nel mare amplissimo del sindacato aziendale. Il giorno dell'attentato di Piazza della Loggia, il segretario della CGIL, uomo mite e gentilissimo mi convoca nel suo ufficio con i tre gatti rimanenti, bisogna organizzare per il mattino dopo picchetti fuori dall'ingresso di via degli Omenoni, volantinare, impedire l'ingresso ai bancari. Operazione disperata, visto il totale disinteresse dei miei colleghi per questioni "politiche". La mattina dopo mi trovo prestissimo con i compagni, le braccia cariche di volantini, rileggo i particolari orrendi della strage orrenda, l'ordigno che esplode nel corso di una pacifica manifestazione antifascista, 8 morti, 103 feriti. Metto i miei scarsi 50 kg a baluardo del portone, stupefatta, mi rendo conto quasi tutti restano fuori, prendono i volantini, si formano capannelli di discussione, sì, persino il capufficio che sembrava così stronzo, è lì che scuote la testa. Oggi, dopo 36 anni, scopro che tutti gli imputati (tra cui quel Zorzi divenuto japan) sono stati assolti per insufficienza di prove. Il tasso di indignazione a 21 anni è alto ma hai tutta la vita davanti. A 57, l'indignazione è sempre altissima ma la speranza che le cose possano cambiare, che la giustizia possa trionfare non ci sono più, tutto si stempera stancamente nell'oggi, nei riti della nostra politica becera e malata, voglia di lottare e tantomeno di sperare: zero. P.S. Il cartello della foto è poco leggibile, ma c'è scritto: "In questo luogo non è successo niente". E' stato affisso all'indomani della sentenza. |
Post n°5 pubblicato il 14 Novembre 2010 da coco1953
Il titolo del libro scritto da Francesca Melandri, Eva dorme, non è casuale, scandisce infatti dall'inizio alla fine, un difficile percorso di vita, inserito in un contesto difficile qual è quello dell'Alto Adige-Suedtirol. E anche se il personaggio di Vito, figura non stereotipata del carabiniere che va al nord, si impone per la simpatia che ispira, sono tre generazioni di donne, la nonna, la madre e la figlia, Eva, a legare col loro vissuto la trama del romanzo. Che parte da lontano, dagli anni successivi alla prima guerra mondiale, quando l'Alto Adige fu assegnato all'Italia, ai tempi in cui, grazie all'accordo Hitler-Mussolini, gli abitanti di lingua tedesca dovettero "optare" per restare oppure andare nella germania nazista; dagli attentati terroristici degli anni '60, alla difficile coesistenza tra le diverse etnie; dalla difficoltà di essere italiani in un paese di lingua tedesca, ma anche della condizione di sentirsi stranieri in patria. Condizione che Gerda, ragazza-madre, scacciata dalla casa paterna e isolata fra la sua stessa gente, vive in pieno. Eva, voce narrante, è la figlia della colpa, venuta al mondo a dispetto di tutti i tentativi materni di impedirle di nascere, un esserino da nascondere, i cui vagiti bisogna sopire, se "Eva dorme", sua madre potrà continuare a lavorare nella cucina fumosa e umida in cui si ammazza di lavoro per mantenere se stessa e la sua creatura. Creatura che cresce senza padre e senza madre, una madre adoratissima e distante, la cui presenza viene centellinata mensilmente, con il pullman di linea che la trasporta dall'albergo di città in cui lavora, al paesino di montagna dove sua figlia vive affidata alle cure di conoscenti. Eva cresce, e il racconto ce la restituisce ormai adulta, ricca e affascinante su un treno che da Bolzano la porterà in Calabria, a trovare quel Vito, ora vecchio e malato, che da bambina aveva sperato potesse diventare il padre mai avuto. Un viaggio lungo che attraversa tutta l'Italia, le cui tappe riportano indietro il tempo e con il tempo i ricordi e le nostalgie. In cui Eva fa i conti con se stessa e con sua madre, "Eva dorme" rispondeva la donna al postino che voleva consegnare alla figlia il pacchetto con la cassetta registrata da Vito, in cui il carabiniere calabrese di stanza in Alto Adige che aveva amato sua madre, le spiegava di come avesse amato tanto anche lei, come una figlia, e di come tutte le sue lettere non fossero mai arrivate a destinazione. Un romanzo di formazione, un Bildungsroman, in cui al di là della connotazione territoriale, pur essenziale, si coglie la dimensione privativa dell'esistenza - senza patria, senza madre, senza padre, senza radici. La foto di copertina che ritrae una donna sola davanti allo spettacolo delle montagne, ricorda i quadri di Hopper, dove esseri umani e paesaggi, vivono reciproca distanza, in una dimensione di perfetta e dolorosa solitudine. |
Inviato da: fedechiara
il 08/04/2011 alle 08:12
Inviato da: odio_via_col_vento
il 12/03/2011 alle 21:29
Inviato da: Wonderwife
il 22/02/2011 alle 00:30
Inviato da: coco1953
il 21/02/2011 alle 23:51
Inviato da: odio_via_col_vento
il 21/02/2011 alle 12:27