Post n°19 pubblicato il 31 Luglio 2008 da leonardoflamminio
Bullismo e Web Il bullismo è un fenomeno purtroppo abbastanza diffuso ma considerato relativamente poco nella sua tragica fenomenologia. Grazie ad un'attenta ricerca in rete, ho rilevato un diverso approccio al problema nella cultura italiana e in quella anglosassone (prevalentemente statunitense). Per quanto riguarda infatti risorse e servizi offerti a supporto di insegnanti, genitori, educatori ecc. si è notato che in Italia molti sono i servizi di informazione e supporto, parte dei quali consistenti in siti Internet specificamente dedicati. Tra i tanti si segnala il sito di www.bullismo.it, curato dal Dott. Oliviero Facchinetti, psicologo e psicoterapeuta. Il sito offre sia documentazione informativa sia indicazioni pratiche e operative: una guida rivolta ai genitori per riconoscere il fenomeno e prendere i dovuti provvedimenti , una sezione FAQ molto articolata, la consultazione full-text di articoli di natura psicologica. Per quanto riguarda il panorama anglosassone la tendenza è quella di fornire pacchetti informativi-operativi, come gli Oggetti Didattici: oggetti che aiutino l'adulto a riconoscere il fenomeno e a intervenire in base ad una serie di indicazioni operative. [1]Il diverso approccio, più comportamentista l'anglosassone, più relazionale l'italiano,è probabilmente spiegabile per due fondamentali ragioni: primo, il bullismo è sicuramente più diffuso negli Stati Uniti,con caratteristiche che davvero preoccupano, quindi una politica del “pronto intervento”è necessaria se si vogliono quantomeno contenere gli effetti devastanti sulle sue vittime. In Italia il fenomeno sembra avere dimensioni più ridotte, tant'è che fino a poco tempo fa si utilizzava il termine inglese 'bullying'e l'italiano 'bullismo' viene solo successivamente introdotto. Secondo, la cultura anglosassone, e in particolare quella statunitense, da sempre preferisce un approccio comportamentista che intervenga nella dinamica comportamentale, piuttosto che sulle cause (quindi: individuazione del fenomeno e applicazione di protocolli d'intervento per la rieducazione e il contenimento).[2] L'approccio italiano, invece, più razionalista e più teorico, privilegia gli aspetti eziologici e preventivi, preferendo attività di sensibilizzazione relativamente a tutti gli attori coinvolti (genitori, insegnanti, educatori, decisori politici, ecc.). Nel contesto italiano sono infatti molte le iniziative volte alla prevenzione del fenomeno primo indicatore di un futuro comportamento antisociale, dicono i criminologi -quali le attività di rafforzamento delle competenze sociali e relazionali (le cosiddette life skills), delle strategie di coping (cioè di gestione di situazioni problematiche o difficoltose) dell'alunno e di monitoraggio da parte dei genitori e degli insegnanti. Si registrano anche numerose attività di ricerca-azione nella scuola, documentate in Internet e mirate alla diffusione di buone pratiche trasferibili. Un ‘ottima bibliografia si trova nella Banca Dati bibliografica BIBL,[3] che conta 22.328 documenti fra testi e spogli da riviste di scienze dell'educazione, segnalati e documentati da agenzie specializzate, quali Dipartimenti Universitari, Istituti di Ricerca, Associazioni Professionali degli Insegnanti. La Gran Bretagna offre una ricca sitografia sulle politiche educative e le misure adottate per prevenire e sconfiggere il bullismoIl bullismo è argomento ormai affrontato, in modo più o meno efficace, dai sistemi educativi europei, come è stato rilevato dalle risposte a un recente quesito posto alla rete Eurydice[4] la rete di informazione sull’istruzione in Europa dalla Svezia. Il governo di questo paese ha incaricato l’Agenzia nazionale svedese per la valorizzazione del sistema scolastico (Myndigheten för Skolutveckling) di valutare l’intervento delle municipalità e delle scuole contro il bullismo, la discriminazione sessuale e altri abusi e di raccogliere informazioni su metodi e programmi d’azione efficaci utilizzati dagli altri paesi europei. Dall’analisi dei resoconti dei vari paesi sulle politiche educative e sulle misure adottate per prevenire e sconfiggere il bullismo, spicca il Regno Unito che propone una ricca sitografia sull’argomento. Il sito A-Z of School Leadership and Management[5] (Dirigenza e amministrazione scolastica: dalla A alla Z), prodotto dal Department for Education and Skills – DfES (ministero dell’Educazione e delle Abilità), offre una panoramica della politica in atto e del quadro legislativo relativi al bullismo. Il sito anti-bullismo Don’t suffer in silence (Non soffrire in silenzio!), finanziato dal DfES[6], è rivolto a tutti coloro che sono coinvolti nel fenomeno come alunni, insegnanti, genitori e famiglie e contiene, inoltre, informazioni su studi di caso. Dallo stesso sito è possibile scaricare il Pacchetto anti-bullismo, prodotto dal DfES; questo strumento multimediale offre le linee guida per sviluppare strategie contro il bullismo e metodi di intervento pratico da parte delle scuole.Disponibile anche un rapporto di valutazione del ‘pacchetto anti-bullismo’, Evaluation of the DfES Anty-Bullying Pack, aggiornato ad aprile 2003. Tackling bullying: Listening to the views of children and young people (Affrontare il bullismo attraverso l’ascolto delle opinioni dei bambini e dei giovani) è una ricerca del DfES pubblicata nel marzo 2003, che sottolinea l’importanza dell’esperienza degli alunni come punto di partenza per realizzare e rivedere strategie anti-bullismo[7]. Infine, l’Office for Standards in Education (Ofsted)[8], l’agenzia del Governo responsabile della valutazione dell’istruzione scolastica, ha pubblicato nello stesso mese il rapporto dal titolo Bullying: Effective action in secondary schools (Bullismo: azioni efficaci nelle scuole secondarie). Questo rapporto valuta l’efficacia delle scuole e delle Local Education Authorities – LEAs (autorità educative locali responsabili dell’offerta educativa pubblica nelle rispettive aree di competenza) in materia di strategie anti-bullismo. [1] http://www.informagiovani.-italia.com/bullismo [2] http://www.iltuopsicologo.it/bullismo [3] http://www.indire.it/bibl [5] http://www.teachernet.gov.uk/management/atoz/about/ [6] http://www.dfes.gov.uk/bullying/index.shtml [7] http://www.microsoft.com/isapi/redir.dll?prd=ie&pver=5.0&ar=CLinks [8] http://www.ofsted.gov.uk/publications/docs/3235.pdf
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Post n°18 pubblicato il 03 Luglio 2008 da leonardoflamminio
Uno dei principi fondamentali per realizzare una comunicazione efficace, è ricordare che la responsabilità della comunicazione ricade sempre sull’emittente.La metacomunicazione [1](letteralmente: la comunicazione che spiega se stessa) è una modalità che ci consente di interpretare al meglio i segnali che ci provengono dall’interlocutore, raccoglierne il feedback, comprenderne il contesto di riferimento ed il sistema di attribuzione di significato.Soprattutto sarà fondamentale esplicitare a nostra volta al nostro interlocutore i nostri segnali, e metterlo così quanto più possibile in grado di comprendere non soltanto l’informazione che desideriamo estendergli, ma anche e soprattutto la vera natura del processo comunicazionale che gli stiamo proponendo. Poiché in comunicazione ciò che si dice è di gran lunga meno importante per il ricevente rispetto a come lo si dice (o, più propriamente, a come egli percepisce, organizza ed interpreta l’universo dei segnali trasmessi), solo la più completa coerenza tra i diversi livelli comunicativi fornirà al ricevente tutte le informazioni necessarie alla piena comprensione del messaggio, e potrà in tal modo renderlo più facilmente condiviso o condivisibile. “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed uno di relazione in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”. Metacomunicare significa inquadrare e fornire un punto di riferimento alla comunicazione, porre attenzione alle azioni comunicative e non più al linguaggio, che diviene pertanto solo il mezzo della comunicazione. Metacomunicare in modo adeguato ci permette di comunicare in maniera efficace e comporta l’acquisire la piena consapevolezza di noi stessi e degli altri, in quanto orienta l’ascoltatore a predisporsi nella maniera dettata da chi parla. La comunicazione è il nostro biglietto di viaggio, grazie ad essa ci mostriamo e ci presentiamo agli altri, incontriamo le persone entrando nel loro mondo. Avere consapevolezza del contenuto e della relazione che le parole che pronunciamo portano con sé ci aiuta a creare rapporti interpersonali trasparenti, concreti, lineari e soprattutto ci permette di andare oltre le apparenze, di spostarci dal proprio punto di vista per andare a capire quello del nostro interlocutore. Comunicare sulla comunicazione: è questo il significato etimologico del termine metacomunicazione, dare e ricevere quelle informazioni in più per rendere maggiormente comprensibile il tipo di relazione che abbiamo creato spesso in modo inconsapevole e incontrollato. E’ proprio dal nostro messaggio inconscio e dalla libera interpretazione di esso che deriva la risposta dell’ interlocutore, a cui noi a nostra volta rispondiamo in un’altra maniera e così via, creando a volte dei malintesi e quel circolo vizioso in cui l’uno ritiene responsabile l’altro della cattiva comunicazione e viceversa. Metacomunicare è la strada per uscire da tale circolo e per conoscere meglio se stessi e gli altri.Un’altra modalità di interazione con l’interlocutore certamente efficace al fine di una comunicazione soddisfacente è senz’altro la creazione di empatia, cioè lo sviluppo della capacità di mettere in relazione la realtà interna dell’emittente con la realtà esterna del ricevente, fino a creare una zona (detta infatti “zona dell’empatia”) dove entrambe possano, conservando ciascuna le proprie peculiarità e caratteristiche, incontrarsi e addirittura fondersi in una modalità percettiva comune. L’empatia, in definitiva, può essere definita come la capacità di riconoscere e fare proprio il punto di vista altrui senza rinunciare alla nostra soggettività, senza cioè cedere ad un più o meno rilevante coinvolgimento emotivo che rischierebbe di troppo “sbilanciare” la percezione della realtà in favore di una parte soltanto.Mettersi con razionalità “nei panni dell’altro”, dimostrare che si comprendono appieno le sue motivazioni, le sue intenzioni e la sua visione di un particolare argomento, consente di aprire una sorta di “canale privilegiato” di comunicazione, utile, ad esempio, per avviare un sereno e senz’altro proficuo onfronto. Metacomunicazione ed empatia, l’una per la sua capacità di rinforzo del messaggio e l’altra per la forza che le deriva dal razionale coinvolgimento interrelazionale, sono dunque gli strumenti, le tecniche, che lo studio della teoria della comunicazione ci consegna per creare e gestire relazioni soddisfacenti. Metacomunicazione ed empatia nella T.A.S.C.A. |
Post n°17 pubblicato il 19 Giugno 2008 da leonardoflamminio
La comunicazione ha da sempre, rivestito un ruolo fondamentale nella vita interpersonale, tanto che si è spesso parlato della comunicazione come una forma di azione, consapevoli del fatto che il parlare è un’attività sociale attraverso cui gli individui stabiliscono e modificano le loro relazioni. |
Post n°16 pubblicato il 21 Maggio 2008 da leonardoflamminio
Più o meno negli stessi anni in cui Lazarsfeld e Merton ideavano il focus group nel Bureau of Applied Social Research, un consulente aziendale americano avviava con successo un movimento per lo sviluppo della creatività anche nei settori produttivi (oltre che nelle arti e scienze) e proponeva soluzioni innovative per l’analisi e la soluzione dei problemi. Una di queste soluzioni era un approccio al gruppo diverso dal solito, chiamato brainstorming. Il termine brainstorming è spesso utilizzato nella lingua inglese per designare il pensiero creativo, slegato da regole predefinite. Il brainstorming o ''tempesta di cervelli'' è anche una delle numerose tecniche di gruppo sviluppate per facilitare la creatività e la produzione di nuove idee. Nato negli Stati Uniti negli anni Trenta su proposta di Alex Osborn, fondatore dell'Agenzia Pubblicitaria Batten, Barten, Durstine e Osborn, è oggi molto usato per individuare nuove e creative soluzioni ai problemi. L’obiettivo originale del brainstorming è la generazione di idee in gruppo, sulla base del principio per cui le idee si concatenano l’una all’altra e i commenti degli altri partecipanti stimolano una sorta di reazione a catena delle idee. Il brainstorming funziona focalizzando la discussione del gruppo su un problema, necessariamente reale, semplice e noto ai componenti e poi lasciando libero lo scambio comunicativo, senza fissare precedentemente un ordine per gli interventi e spingendo la riflessione sul tema in questione quanto più lontano sia possibile. La versione tradizionale del brainstorming prevede un gruppo di persone, nella maggior parte dei casi condotto da un moderatore. La presenza di un gruppo di persone non è però una condizione indispensabile per stimolare la creazione fantasiosa di idee. Molti ritengono che si possa fare brainstorming anche da soli, con notevoli vantaggi, come ad es. il non dover impiegare tempo a ripetere più volte le nostre idee prima di essere ascoltati dagli altri membri, cosa invece che può accadere all’interno di un gruppo. Inoltre, il brainstorming classico è orale. In determinate circostanze, caratterizzate da conflittualità, si può fare per iscritto, tramite biglietti che vengono aperti a caso dai partecipanti e letti singolarmente per stimolare idee e suggerimenti. Il brainstorming, in quanto tecnica di gruppo, si differenzia rispetto al Focus Group per il fatto di richiedere ai membri del gruppo di esprimere liberamente idee in merito alla questione posta inizialmente, scoraggiando però accuratamente discussioni e commenti, mentre invece nel focus group viene sollecitato dal moderatore il confronto interpersonale e lo scambio di opinioni.
Le fasi - Il brainstorming prevede due distinte fasi:
§ Prima fase detta divergente, in cui viene stimolata la produzione di idee a ruota libera. Una volta messo a fuoco il problema e fissato un tempo limite per l'incontro, ciascuno esprimerà, per risolvere il problema posto all’attenzione del gruppo, la ''prima idea che gli viene in mente'', in rapida sequenza e per associazione di idee. Il moderatore inviterà i membri del gruppo a non esprimere giudizi di valore o critiche e cercherà di favorire lo scorrere della discussione, magari servendosi di una lavagna su cui scrivere le parole chiave
§ Seconda fase detta convergente, in cui le idee vengono selezionate e valutate al fine di individuare e condividere quelle più interessanti. Infatti sottoponendo le proposte emerse ad un processo sempre più affinato di rielaborazione, di approfondimento, di revisione da parte del gruppo si ritiene di poterle ''tradurre'' in idee più realistiche e realizzabili. Può risultare produttivo, in molti casi, affrontare tale fase di valutazione con un gruppo diverso di soggetti, magari più specializzato ed esperto, per migliorare la qualità dei risultati.
Per essere efficace tale tecnica di produzione di idee deve veder rispettate quattro regole imprescindibili:
1. è fondamentale la dimensione del ''gioco'' quale modalità ''spensierata'' di relazione che permette di liberare la creatività dei singoli e del gruppo, normalmente impedita da una serie di inibizioni 2. è importante produrre il maggior numero di idee possibili, anche a discapito della qualità delle stesse, in virtù del fatto che più alto è il numero delle idee prodotte, più alta sarà la probabilità che qualcuna di esse sia una buona idea 3. occorre che i membri del gruppo si ascoltino reciprocamente e cerchino dei punti di incontro attorno ai quali far ruotare le loro proposte, anche tramite associazioni di idee 4. è essenziale che la fase di generazione delle idee sia separata dalla fase di giudizio del pensiero: al gruppo viene chiesto di produrre nuove idee rispetto ad una questione, senza preoccuparsi del loro valore. Le idee espresse da ciascun individuo non devono essere sottoposte immediatamente a critica o ad un giudizio di valore da parte degli altri, ma solo in una fase successiva di verifica.
Quando utilizzare un brainstorming - Il brainstorming è una tecnica di conduzione di un gruppo di lavoro, con una finalità prettamente creativa e propositiva, che si adatta ad un’infinità di campi di applicazione, dalle indagini di mercato alla promozione di un prodotto commerciale, dall’individuazione di interventi pubblici alla negoziazione tra controparti. In generale, tale strumento di lavoro può risultare ottimale in tutte quelle situazioni in cui possono essere particolarmente significativi i possibili effetti ottenuti sui partecipanti:
Il brainstorming è la principale tecnica di problem solving utilizzata, ma può diventare un potente strumento di ricerca per valutatori, ricercatori sociali e tutti coloro che intendono utilizzare la forza di un gruppo per trovare idee e soluzioni, esplorare concetti, rilevare informazioni altrimenti difficilmente osservabili. Assai più del noto focus group, il brainstorming è una tecnica coinvolgente, profonda, articolata che, opportunamente inserita in contesti professionali e di ricerca, contribuisce anche all'apprendimento organizzativo per il gruppo che partecipa. Semplificando li gruppo (es. aula 5) , con la guida di un moderatore, dato un obiettivo e delle chiavi di guida, fanno proposte, proposte, proposte, senza mai fermarsi, senza commentare, ma senza bloccare per alcun motivo il flusso. Il moderatore, se serve, riporta sul percorso, nel caso si stia divergendo eccessivamente.Quattro, cinque, sei, sette persone che rientrino nel target cui è destinato l'oggetto vengono instradate dal moderatore, spiegando cosa si vuol ottenere.... si mette su una vicina lavagna le chiavi o mappe mentali. Ad esempio, nel caso di un nome di un sito: www.tascanet.it ..........................................Si fissa un tempo tra i trenta ed i quaranta minuti massimi e si dà l'avvio. Le persone dovranno fare proposte secondo il proprio filo del pensiero, senza mai commentare ciò che dicono gli altri. Nel frattempo, il moderatore o uncomponente del gruppo, incaricato dal moderatore, registra le idee ( nel caso specifico della sperimentazione dell'aula 5 si è scelto di video registrare tutti gli interventi per poi inserirli nel Giornale di classe Tascanet), segnandole tutte senza esclusioni. Scaduto il tempo, si rilegge tutto l'elenco e si evidenziano le proposte che a qualcuno piacciono, anche senza un motivo particolare. Queste proposte potranno poi essere comunicate al committente che farà un'ulteriore scelta e sottoporrà due o tre opzioni che verranno ulteriormente filtrate e perfezionate. |
Post n°15 pubblicato il 12 Maggio 2008 da leonardoflamminio
Una delle sfide attuali per le aziende che operano su Internet è progettare un sito web che si adatti ai bisogni e alle aspettative dei navigatori/utenti. Realizzare un sito difficile da usare è come avere un esercizio in cui i clienti devono mettersi in fila tre volte prima di ordinare, oppure in cui gli acquirenti non trovano la cassa per effettuare il pagamento. Gli utenti/clienti scelgono siti semplici da utilizzare, richiedono un'interfaccia naturale e intuitiva. Il mercato opera dunque una selezione naturale. Gli utenti che trovano un sito confuso e difficile da utilizzare, non lo visiteranno una seconda volta. Questa è la ragione per cui l'usabilità è diventata una variabile critica per il vantaggio competitivo di un'impresa. Quello che va considerato, invece, è che un sito inusabile può essere quasi del tutto inutile ma soprattutto può danneggiare l'immagine dell'azienda; Se l’utente non capisce come utilizzare qualcosa, non la utilizzerà, se troverè difficile effettuare una transazione non la effettueà. Esistono due parametri importanti per valutare l'efficacia di un sito. Il primo è indicato con la sigla SPR (Site Penetration Rate) e indica la percentuale dei navigatori che accedono alle pagine interne del sito attraverso la home page: le statistiche indicano che il 40-50% dei navigatori non va oltre la home page. Un altro parametro fondamentale è rappresentato dal CCR (Consumer Conversion Rate) e rappresenta la percentuale degli utenti che da semplici visitatori diventano clienti. Analizzando i dati relativi al comportamento d'acquisto osserviamo che gli utenti che acquistano online per la prima volta spendono mediamente $125; quelli che lo fanno per la 2° volta spengono circa il doppio, $250. Analizzando i dati sopra riportati possiamo affermare che per il successo di un progetto usabile sia necessario considerare essenziali i seguenti obiettivi:
I vantaggi riscontrati dall'utente finale si trasformino in ritorni economici a lungo termine per l'azienda........Vantaggi per l'utente:
I vantaggi per l'utente si traducono in vantaggi per l'azienda:
Per comprendere come può l'usabilità di un sito Web impattare sul processo di acquisto e quindi sul numero degli acquisti e di conseguenza sui profitti, è interessante analizzare il concetto di "User success rate". "User success rate" indica la percentuale dei compiti che un utente riesce a completare correttamente all'interno di un sito Web. In un recente studio Jacob Nielsen ha dimostrato che il tasso di successo di un utente su un sito di commercio elettronico è del 56%. Vi citerò un semplice esempioper terminare il mio intervento: Un utente deve ordinare 12 rose rosse da regalare alla madre per il compleanno. Il compito viene portato a termine se la madre riceve una dozzina di rose per il suo compleanno. Se nel test l'utente lascia il sito quando ha eseguito correttamente il compito possiamo sicuramente considerarlo un successo. Se l'utente fallisce il luogo dell'ordine, possiamo considerare la transazione un fallimento. Questo semplice esempio impone delle considerazioni per un azienda che affida l’e-commerce in un sito web. |
Inviato da: leonardoflamminio
il 20/08/2014 alle 16:01