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La scalata

Post n°54 pubblicato il 22 Agosto 2005 da frangiadicielo
Foto di frangiadicielo

Oggi piove a dirotto… Allagamenti e fiumi che si allargano sulle strade, nei cortili. Povere le mie cagnoline che stanno rintanate nelle loro cucce…so che vorrebbero scorrazzare intorno e che soffrono a stare chiuse…Lo spazio chiuso richiama aperte distese, e la mente va alla mia ultima impresa: Ho voluto fare la “scalata al monte Pizzone” un monte dalla cima del quale si domina tutta la piana pontina, compreso il mare e le isole. L’impresa è stata quanto mai azzardata vista la mancanza pressoché totale di preparazione atletica, visto il mio ultimo impegno con la tesi… La salita è andata pressoché bene, i miei compagni di scalata erano quattro baldi giovani, con qualche anno in avanzo, ma con grande esperienza della montagna, tanto che, al ritorno, sono riusciti a sbagliare strada ben due volte (hehe!). Meno male che, finchè si scende, da qualche parte si arriva! Il fatidico raggiungimento della vetta è stato di un emozione sconvolgente: una cresta di roccia di quelle che si vedono nei documentari di Messner, mi ha fatto sentire quella professionista che non sarò mai, ma è bello crederci, almeno una volta. Le mie gambe si sono comportate egregiamente, non così le mie scarpe, che, in barba al fatto di essere state acquistate sulle Dolomiti ed aver lavorato per diversi anni senza problemi, si sono scollate lasciandomi praticamente senza para, ma questo è successo dopo…. La vetta mi ha lasciato una piacevole sensazione di accoglienza e riposo. Abbiamo allegramente bivaccato. Come per magia dagli zaini dei miei compagni di scalata sono venuti fuori viveri di ogni tipo, e, per non scontentare nessuno ho dovuto mangiare un po’ di tutto. Meraviglioso è stato il pane e salame del posto, sarà stata la fame, chissà, ma mi sembrava il migliore che avessi mai mangiato. Ci hanno addirittura raggiunto altri due scalatori dall’altro versante, amici della brigata, e anche loro mi hanno offerto dolci del posto…guai a rifiutarli…Beh, l’essere l’unica donna ha avuto i suoi vantaggi in quel frangente…E poi il panorama…finalmente ho potuto rendermi conto sul posto che quanto avevo studiato sui libri di geografia aveva una sua realtà fisica: Si dominavano ben sei paesi: Bassiano dalla destra, poi Sezze, Priverno, Roccagorga, Roccasecca (è proprio così, non è un errore!) e Maenza, dietro la cima conica sull’estrema sinistra c’era Prossedi, il mio paese di provenienza paterna, diciamo così. Oltre, la striscia del mare, costeggiata a sinistra dal Promontorio Circeo c’erano le isole di Ponza, Palmarola e Ventotene. Il territorio era chiaramente delineato su un antico fondale marino, a lungo lavorato dagli elementi: le rocce, chiaramente sedimentarie e sollevate obliquamente da movimenti tettonici, racchiudevano spesso orme fossili di ammoniti preistoriche. C’è stata anche la scoperta di un’ampia cavità nel terreno roccioso, ai piedi di un albero, profonda, secondo stime rilevate con l’ausilio di lunghi rami, all’incirca cinque metri e larga due, con una stretta imboccatura in cima. La grotta è stata allegramente battezzata “grotta Giacinto” dal nome dell’ardito scopritore, chiaramente parte della nostra compagnia. Scendendo il terreno alternava fitte pietraie con zone di pascolo, in cui le pietre erano più sporadiche e piane. La tromba d’aria di questo inverno lasciava dietro le sue vittime vegetali, e si poteva vedere più di qualche fusto schiantato dalla forza del vento. Purtroppo abbiamo incontrato anche un piccolo cadavere di puledro, probabilmente caduto alla nascita e non più in grado di alzarsi. Davvero un triste spettacolo, ma la montagna, si sa, può essere implacabile. Per un lungo tratto ho dovuto procedere con il piede destro completamente privo di aggancio al terreno, visto il forfait decretato dalla para, e ho rischiato, con una scivolata, di farmi veramente male. Sono atterrata sulla gamba sinistra ripiegata, per evitare di finire sulle pietre, e il ginocchio ha dato uno strappo che lasciava ben poco sperare. Evidentemente lassù qualcuno mi ama, visto che dopo qualche minuto mi sono rialzata indenne. Qualcuno ha poi avuto l’idea di fissare le pare con i lacci delle scarpe (visto che nel frattempo stava partendo anche la seconda) e ho potuto così fare il resto della discesa in relativa tranquillità. Scesi a valle ci aspettava l’”eremo di S. Erasmo” con la sua prelibata cucina e le sue musiche tipiche, che facevano atmosfera. Il mio appetito non era dei più robusti, vista la quantità di cibarie già incamerate in precedenza, ma, in compenso, quello degli altri era quanto mai in salute, ed hanno abbondantemente pareggiato i conti. Lì vicino c’era la cappella di S. Erasmo, per l’appunto, e da lui sono passata per doveroso ringraziamento prima di andare via. La storia dell’eremo è quanto mai interessante: insediamento monastico del Duecento circa, ha conosciuto alterne vicende, ed è rimasto nella memoria storica degli abitanti del luogo perché fu minacciato di spoliazione dai tedeschi durante l’ultima guerra. Una spedizione di valorosi guidata dal prete è giunta di notte oltre le linee del coprifuoco per prelevare il busto del santo e nasconderlo in una delle numerose grotte del territorio, cosa che fu fatta  a rischio della vita. L’eremo versava in condizioni pietose quando un volenteroso e sognatore abitante del luogo, tale Arnaldo, decise di chiedere il permesso di adibire il posto a rifugio. Costruì tetto, cucina, qualche stanza, bagni a norma di legge. Dopo un po’ qualche meritoria delibera decretò la costruzione della strada asfaltata, prima c’era solo una mulattiera, ed ora il posto pullula di gente…E’ bello sapere che l’idea di qualche sognatore si trasforma in ricchezza per tutti…

 
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