Post n°15556 pubblicato il
30 Novembre 2015 da
forddisseche
Anche Rignano è terra di cinema, ecco il “Rimorso” di Elio Piccon, girato nel 1970In lieve misura l’umanità e le tradizioni, soggette continuamente ad essere “inquinate” in quanto paese di frontiera costretto ad operare tra monti e pianuraph adv
Di: Redazione
Rignano Garganico. Parimenti ad altri centri del Gargano, anche Rignano Garganico e il suo paesaggio ha suscitato l’interesse dei cineasti. In lieve misura l’umanità e le tradizioni, soggette continuamente ad essere “inquinate” in quanto paese di frontiera costretto ad operare tra monti e pianura. Alla memoria restano, però, solo pezzi di “fiction” e cortometraggi, come quello sulla vita di Padre Pio , girato nel 1997 alla Madonna di Cristo , per via dell’originalità dei luoghi e della fabbrica ritenuti simili, dopo qualche opportuno adattamento, alla Chiesa della Madonna delle Grazie in San Giovanni Rotondo. Furono ripresi anche degli interni ed operarono decine e decine di comparse locali. Il 19 dicembre dello stesso anno, alle ore 23.00, il film con il titolo Padre Pio da Pietrelcina (regia: Alberto Rondali; idem la sceneggiatura condivisa con Marcello Siena; interpreti principali: Antonio Buil Pueyo (nella parte del Santo), Lucio Allocca, Renato Carpentieri; produzione: Ipotesi Cinema Sire; distribuzione: Medusa video – Mondadori video, durata 100 minuti) fu trasmesso da Rai 3 e poi sparito da ogni archivio, non si sa perché . Negli anni successivi un altro “spaccato” del paese e della gente fu rappresentato dal cortometraggio sul Presepe Vivente, con la partecipazione di circa trecento comparse. Ed ora eccovi in scena il cortometraggio “Rimorso” del 1970 , la cui regia e fotografia è interamente di Elio Piccon ( Bordighera, 1925 – Roma, 1988), appassionato e prolifico autore di tantissimi film tra gli anni 50 . 70. Tra l’altro, i cortometraggi: Il Gargano e altro , Lesina(1958); Il Pantano, Lesina (1958); Fatima, speranza del mondo, Peschici –Sannicandro, 1965; Cavalli ciechi, Checchella, Il Padrone, tutti e tre in Peschici (1967); Gli uccelli del piccolo cielo, Ischitella(1969); Non la toccate è infetta, Sannicandro G. (1969); Statale 89, forse Rignano, 1969 e tanti altri ancora. Riprendendo il discorso di cronaca, va detto che il film – documentario “Rimorso” (Regia e fotografia di Elio Piccon; Aiuto operatore: Carlo Neroni; Musiche: Sandro Brugnolini; Aldo Raparelli; produzione: Corona Cinematografica; 35mm, colore, durata 12 minuti) è girato interamente nel Gargano e tutto il cortometraggio è parlato in dialetto. Il carro funebre, con dietro la macchina dei familiari, percorre un paesaggio brullo, una strada stretta, tortuosa e tutta in salita fino a Rignano Garganico.
Il feretro contiene il corpo di Incoronata Nardella, vedova di Saverio Montenegro (nome forse fittizi). Quest’ultima, prima di morire, precisamente il 24 ottobre 1967, stende il suo testamento, lasciando in eredità ai due figli Faluccio e Vincenzo i terreni agricoli (alla figlia che non è citata, sicuramente qualche fabbricato urbano). Nello scritto, dove la defunta parla in prima persona attraverso l’immaginario del figlio, manifesta la volontà di essere seppellita nel cimitero del paese natale, accanto al marito “zi Saverio” ( i termini zi’ e compa’ si sprecano tra la gente delle passate generazioni; e stanno ad indicare i vincoli stretti di rispetto che intercorrono tra i diversi componenti). Quindi, sempre attraverso il “subconscio” di Falluccio, la defunta conclude il sermone materno, ricordando ai figli di tenere in debita considerazione i beni a loro lasciati, in quanto rappresentano i duri sacrifici compiuti dai genitori per il loro accumulo. Da qui l’apprensione e il “rimorso” del beneficiario, che cerca di tranquillizzare la propria coscienza con la fatidica frase: “la mamma è sempre la mamma!”. Oltre ai due fratelli e alla sorella, c’è la ragazzina figlia di quest’ultima e l’autista. Di questi si tace il nome e neppure interloquiscono. Forse perché non sanno parlare il dialetto. Possiamo immaginare che siano la moglie del regista e la figlia Natalia, la stessa, appunto, che negli ultimi tempi ha tirato fuori dal cassetto le opere filmiche più importanti lasciatele in eredità dal padre, al fine di onorarne la memoria. L’auto in cui viaggiano i famigliari (sicuramente presa a noleggio) è una balilla di colore chiaro.
Sul carro funebre, vi sono i due autisti, uno dei quali per quasi tutto il tempo è appisolato. Il “rimorso” di Falluccio viene accentuato ulteriormente attraverso una serie di voci fuori campo in dialetto stretto (forse molisano), mischiate a preghiere, canti funebri e grida, che si intensificano nel finale, quando è ormai sopraggiunto il tramonto. Il montaggio è veloce e accosta il volto del protagonista a vari dettagli del feretro. Nel tragitto, i due automezzi si fermano a un passaggio a livello, l’autista del carro funebre si ferma a fare pipì. Dal canto loro, i famigliari su richiesta della piccola, (tranne Falluccio) mangiano pane e formaggio. Altrettanto fa l’autista del carro funebre che sveglia il suo compagno per passargli la bottiglia. Sul sentiero tortuoso Falluccio ad un certo punto, non si sa se per il rimorso-dolore, o per le giravolte della salita, ad un certo punto si sente male e scende a vomitare sul ciglio della strada. Dopo si rimette in macchina, permettendo al mesto corteo di compiere l’ultima e ripida rampa per il paese, accompagnato dalla sua musica di grida, pianti e rumori infernali.
(A cura di Antonio Del Vecchio, Rignano Garganico)
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