Post n°15952 pubblicato il
26 Gennaio 2016 da
forddisseche
Siponto, vista dalla poetessa del ‘500, Speranza Vittoria di BonaLungomare di Siponto di sera (ph: Michele Renzullo)
Di: Redazione
Manfredonia. Su Speranza Vittoria di Bona, poetessa sipontina del ‘500, ci siamo soffermati di recente, in alcuni nostri saggi, riportandone anche due suoi componimenti poetici dedicati alla Vergine. La stessa di Bona, nella sua raccolta poetica, o Canzoniere, ha modo di dedicare dei versi alla sua città natale: Siponto (e non anche Manfredonia). Degli stessi, riportiamo qui appresso un componimento, formato da due sonetti. E’ bene ricordare che la famiglia di Bona, per affermazione della stessa Speranza Vittoria, ha subito delle persecuzioni, a fine di lucro, a Manfredonia, tra il 1553 ed il 1569, per cui non è da meravigliarsi se i due sonetti, più che una elegia, sono delle vere e proprie invettive verso la sua città natale (e, naturalmente, contro la sua classe dirigente). L’analisi che qui formuliamo, volutamente breve, si limita solo all’aspetto socio-politico del contenuto dei sonetti, tralasciando di entrare nel merito sintattico-stilistico e nello studio della lingua, che non sono, poi, di difficile interpretazione.
Va subito messo in risalto che la di Bona non si definisce di Manfredonia, bensì di Siponto (dove dice di essere nata, forse nel 1536), Ma vengan meco à lamentar del fatto/ ch’io nacqui in Siponto e scopran come (Risposta. Alla signora Speranza di Bona il Giannattasio), avendo chiara la concettualità di un insediamento territoriale ed urbano di ampio respiro, che ancora perdura e di cui oggi ne rileviamo tutta la sua interezza (restando il toponimo “Manfredonia” la provvisoria circostanza temporale di una impostazione portuale, di vecchia data, gestita dagli Angioini). E l’esito “Manfredonia” non è ignoto alla poetessa, lo riscontriamo nel sonetto al Pellanegra: Solo sei in Manfredonia honesta e bella. E Siponto, la di Bona, la personifica, apostrofandola con spirito ironico, di sottile giovialità, quasi che dalla città (o da chi per lei) ne abbia ricevuto… una giusta ricompensa per le virtù da lei profuse per il bene della stessa (Guiderdon Siponto); ma ne evidenzia subito il suo modo cattivo di vivere (o di amministrare) (oprar tuo rio). E ne sentenzia il castigo (ne pagarai il fio). Dichiara pure che vorrà dimenticare le offese ricevute (le persecuzioni di cui si è detto), l’ingiuste offese tue mando in oblio; perchè il tutto è stato frutto dell’invidia, mentre d’invidia qui s’orna le chiome. E sul concetto di invidia ritorna in un’altra composizione (Al signor Giovambattista Pagano): All’hor l’invidia al fier scito terreno/ pose in oblio l’abominando speco/ e di Siponto entrò tosto nel seno.
E ci sembra che in questi versi la di Bona appaia quanto mai contemporanea; del resto, nel passato, come oggi, quanto lamentato dalla poetessa resta sempre di attualità.
Nella “stanza” A la signora Donna Violanta d’Angeretta, scrive: e ‘l sipontino popol stolto e cieco/ reprenderia, et non saria mai stanco. Ed ancora, nel componimento Nella morte del signor Francesco Bracaccio, riprende il tema delle offese ricevute: Io quanto mi hò doluta de l’affare/ da ch’egli entrò nel sipontino laccio/ tant’hor del caso acerbo suo mi doglio.
Nel secondo sonetto l’invettiva si fa incisiva; ella vede, nella comunità sipontina, insediate delle serpi velenose (“Cerastre”) che è meglio che vadano via dalla città (e le fiere Cerastre a te si infeste/ partite non sarian dal scito speco), con l’auspicio che, solo così, la vita comunitaria potrà tornare ad essere sana e senza ombra di cattiva condotta (“malversazioni”), sarebbe il vivere tuo senza sospetto/e forse essempio a la futura etade.
E a dire che questi versi sono stati scritti nel ‘500 e non anche oggi.
Siponto
E questo il Guiderdon Siponto ch’io
in ricompensa di virtù raccoglio
che fatte son da te fra l’onde scoglio
ne le tempeste de l’oprar tuo rio
Ahi quanto al ciel ne pagarai il fio
di questo tuo sfrenato e fiero orgoglio
ben ch’io con quello cor lieto soglio
l’ingiuste offese tue mando in oblio.
Ne si avolte in quell’onde se n’andranno
poi che tu l’accompagni col mio nome,
perche contra di te sempre staranno.
E con chiaro splendor vedrassi come
virtù s’acquista in cielo beato scanno
mentre d’invidia qui s’orna le chiome.
Dhe non potrai di quel savio Greco
da cui la prima origine traeste
imitar la virtude alma e celeste
e no ‘l vitio d’altrui Siponto cieco.
Che già il favor del Ciel sarebbe hor teco
ne l’altrui lodi te sarian moleste
e le fiere Cerastre a te sì infette
partite non sarian dal scito speco.
Onde lieto e gioioso in libertade
sarebbe il vivere tuo senza sospetto
e forse essempio a la futura etade.
Quanto sia grave in te questo difetto
de l’altro fondator la crudeltade
non te scusa appresso huomo d’intelletto.
(A cura del prof. Pasquale Ognissanti, Archivio Storico Sipontino)
Inviato da: GiuliettaScaglietti
il 13/06/2024 alle 16:24
Inviato da: cassetta2
il 12/10/2023 alle 19:22
Inviato da: Dott.Ficcaglia
il 28/06/2023 alle 13:50
Inviato da: cassetta2
il 22/08/2022 alle 16:08
Inviato da: amistad.siempre
il 30/06/2022 alle 17:12