Dall’antica civiltà contadina del Gargano
1° Maggio -Anni Cinquanta
–
Gli effetti devastanti dell’ultima guerra mondiale misero a dura prova la maggior parte
della popolazione Garganica. Le famiglie provate da lutti e da malattie diventarono ancor
più povere e la classe operaia ancora più segnata dalla miseria. Molti genitori furono
costretti ad affidare i propri figli a gestori artigianali ed agricoli per garantire loro un pezzo
di pane.
I ragazzi venivano messi a disposizione delle maestranze per l’intera giornata, impediti di
fatto a frequentare la scuola dell’obbligo. Gli scapaccioni erano consentiti ai superiori
anche per qualche errore banale e talvolta utilizzati per placare i loro cattivi umori.
Apprendere un mestiere era un obbligo. L’apprendistato, per chi intraprendeva l’arte della
campagna, consisteva nel pascolare le bestie ricevendo come retribuzione: il pane
quotidiano, un litro di olio e un chilo di sale al mese, una forma di cacio a Natale ( la
grandezza a discrezione del padrone) e una piccola paghetta.
I ragazzi erano maturi e consapevoli della situazione economica familiare tanto da
risparmiare l’olio e il sale e riportare la quantità residua alle proprie case.
I genitori pattuivano con i datori di lavoro: il salario e due giorni di riposo bimensile e la
garanzia della festività del 1° Maggio.
I giovani lavoratori, oltre alla fatica del lavoro quotidiano, dovevano sottostare agli ordini
degli anziani garzoni: prelevare l’acqua dai pozzi e dalle cisterne, raccogliere la legna per
il fuoco serale, lavare la pentola e il piatto (unico per tutti), attendere che gli anziani
iniziassero l’assaggio dei pasti.
Il rispetto e l’obbedienza verso l’anziano e il padrone erano doveri indiscutibili.
Il Segno della Croce era l’unica preghiera che conoscevano per ringraziare il Signore dopo
aver portato la mandria nella stalla ogniqualvolta le intemperie incombevano in aperta
campagna e quando le bestie spaventate da vento, tuoni e fulmini, non erano più
controllabili e prendevano direzioni diverse.
La festa del 1° Maggio, in tale contesto, diventava il mezzo per onorare le prestazioni di
tutti i lavoratori, per mostrare il coraggio represso che si sprigionava attraverso lo sfogo
collettivo, ed era rivalsa di tutte le ingiustizie accumulate durante l’anno.
I preparativi iniziavano alcuni giorni prima della festa. I ragazzi e le donne raccoglievano
nei campi fiori rossi e bianchi per poterne poi utilizzare i petali .
La mattina del primo Maggio la popolazione si radunava nella piazza davanti alla camera
del lavoro per formare il corteo. I più piccoli in prima fila, vestiti di camice rosse e in
mano le bandierine con lo stemma della falce e del martello; seguivano le donne con il
capo ornato di ghirlande rosse. Alcune di esse sostenevano grossi cesti pieni di petali di
rose e papaveri lanciati per terra al passaggio di rappresentanti sindacali e di partito.
Gli esponenti di spicco portavano all’occhiello il garofano rosso e con il megafono
pronunciavano frasi di rivendicazioni oppure davano inizio all’inno del partito: “Avanti
popolo alla riscossa, bandiera rossa, trionferà” mentre tutte le bandiere sventolavano.
Gli uomini si accodavano con i propri mezzi di lavoro: biciclette ornate di fiori rossi; asini e
muli ricoperti di mantelli rossi, tutti allineati, che non mancavano di ragliare per lo spavento,
non appena la banda attaccava.
Il corteo, in prossimità dell’abitazione di qualche benestante aumentava la tonalità degli
inni provocatori ; e chiaramente si udivano versi come: “ mangiatillo e sugatillo il limone ,
lo sappiamo che non ti piace ma oggi devi farti capace che il limone devi mangiare,” ,
proprio perchè il primo maggio era l’unico giorno in cui i padroni si sostituivano ai loro
garzoni per i fabbisogni della campagna.
L’altro corteo più contenuto, quello della democrazia cristiana, partiva dalla parte opposta
ed era composto da impiegati, professionisti e praticanti religiosi con le bandiere bianche
marchiate dallo stemma dello scudo crociato. Meno numeroso dell’altro si presentava però
più ricco di mezzi. Al seguito, infatti, i primi trattori della storia trainavano rimorchi da cui
donne lanciavano petali di rose bianche e di margherite; i cavalli con criniere intrecciate e
ricoperti da mantelli bianchi, sembravano essere stati preparati come a partecipare ad
antichi rodei medioevali. Scalpitavano storditi dal canto di “ oh bianco fiore simbolo
d’amore” o dagli applausi ricevuti dall’esponente del partito in risposta alle battute
pronunciate al megafono.
I due cortei si svolgevano nel pieno rispetto reciproco, per ordine e per compostezza.
Si scioglievano dopo i comizi tenuti dai rispettivi rappresentanti politici e sindacali e dopo
aver fissato l’appuntamento nel pomeriggio per la scampagnata organizzata in località
diverse.
Nei luoghi prefissati, in aperta campagna, era un vero assalto: frittate, formaggi,
lampascioni al forno, salsicce, taralli e ciambelle erano letteralmente divorati mentre il
vinello aspro nostrano, nei fiaschi, passava di mano in mano, liberando risate ma anche
frasi e battute di provocazione verso maestranze e padroni.
Per l’occasione si organizzavano diverse attività agonistiche: il tiro alla fune, la corsa nei
sacchi e il noto palo della cuccagna: l’uno sormontato da prodotti alimentari legati dallo
stendardo rosso per il partito comunista e l’altro dallo stendardo bianco per il partito della
democrazia cristiana.
La corsa degli asini era lo spettacolo più divertente. Gli animali non sempre ubbidivano al
proprio fantino, si fermavano di colpo disarcionandolo oppure prendevano direzioni
diverse.
Si organizzava anche una gara ciclistica con la partecipazione di corridori provenienti da
regioni limitrofi e la strada faceva da vera trincea ai manifestanti dei due partiti.
Prima dell’arrivo dei corridori era il direttore di gara, affacciato allo sportello della balilla,
unica macchina al seguito, che dettagliava a megafono l’andamento della corsa.
Quando annunciava la fuga di qualche corridore nostrano, il boato di gioia s’innalzava nei
pressi dell’arrivo, la folla si ammucchiava velocemente lasciando pochissimo spazio al
passaggio dell’autovettura.
I nostri atleti si allenavano dopo aver zappato l’orto, unica loro palestra, sostenuti da
un’alimentazione fatta di “pane, scorza e mollica”.
Spesso per partecipare alle gare in altri paesi, si partiva in bici al mattino presto, qualche
volta si vinceva e poi si faceva ritorno sempre in bici.
Inviato da: GiuliettaScaglietti
il 13/06/2024 alle 16:24
Inviato da: cassetta2
il 12/10/2023 alle 19:22
Inviato da: Dott.Ficcaglia
il 28/06/2023 alle 13:50
Inviato da: cassetta2
il 22/08/2022 alle 16:08
Inviato da: amistad.siempre
il 30/06/2022 alle 17:12