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Peschici 24/lug/2007 per non dimendicare

 

 

Pizzomunno con gerani rossi.

 

 
Pizzomunno

Lungo il tratto meridionale della costa viestana, ritroviamo una piccola spiaggia che deve il suo nome all’ imponente faraglione che dalle acque cristalline si erge sovrano a sorvegliare la città ed i suoi abitanti: la Spiaggia del Pizzomunno.

Qui sembra aver avuto luogo un’ interessante e fantastica vicenda che ha come protagonisti due giovani innamorati , entrambi originari di Vieste .

Pizzomunno , giovane ed attraente pescatore, e Cristalda , ragazza bellissima dai lunghissimi capelli color dell’ oro, si amavano teneramente e vivevano nella convinzione che nulla al mondo potesse intaccare un sentimento tanto forte e sincero.

Ogni sera, Cristalda scendeva in spiaggia per salutare il suo bel Pizzomunno prima che con la sua barca andasse incontro al mare aperto.

Ogni notte, in mare, Pizzomunno riceveva la visita delle sirene che cercavano di ammaliarlo con i loro canti soavi. Le regine del mare desideravano ardentemente che Pizzomunno diventasse il loro re ed amante.

Il giovane, però, non cedette mai alle avance delle sirene tentatrici , avendo già donato il suo cuore alla candida Cristalda.

I reiterati rifiuti del giovane, scatenarono la furia delle sirene .

Una sera, le sirene raggiunsero i due amanti sulla spiaggia ed aggredirono Cristalda con grande ferocia, inghiottendola nelle profondità del mare.

Pizzomunno
fu colto da un dolore devastante, talmente grande da pietrificarlo per sempre.

Il giorno seguente, i pescatori di Vieste trovarono Pizzomunno pietrificato sulla roccia che oggi porta il suo nome.

La leggenda vuole che, ogni cento anni, Cristalda riemerga dalle profondità del mare per incontrare Pizzomunno e rivivere con lui l’ emozione di una notte d’amore sulla spiaggia che li fece incontrare.

 

 

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Promontorio del Gargano

Il più delle volte si pensa che la storia antropologica ebbe inizio sul promontorio del Gargano con l'apparizione dell'Arcangelo Michele più di sedici secoli or sono quando ancora il Cristianesimo conviveva con le allora attuali religioni pagane. Ma se analizziamo le carte romane si nota che gli insediamenti sedentari sono precedenti all'apparizione dell'Arcangelo e si trovavano sulla costa e ai piedi del sontuoso monte (Ergitium ,Sipontum ,Merinum ,Teanum , ,Apulum ,Urium).
Si trovano degli insediamenti umani persino precedenti a questi ultimi, ma bisogna risalire addiritturà all'età del bronzo, tanto è vero che lungo la provinciale che collega Foggia con San Marco in Lamis, a qualche chilometro da Borgo Celano, in zona"Chiancata La Civita-Valle di Vitturo"  è stato ritrovato la necropoli più antica della intera Europa. Altre testimonianze sono date dagli insediamenti rupestri e dalla innumerevole presenza di oggetti litici e di mura megalitiche che si sono scoperti nel corso degli anni sul Gargano.
 

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Per non morire di inedia, vieni sul Gargano! Nel reportage “Gargano Magico” (1964) Francesco Rosso

Post n°24270 pubblicato il 30 Agosto 2019 da forddisseche

Per non morire di inedia, vieni sul Gargano! Nel reportage “Gargano Magico” (1964) Francesco Rosso racconta la quiete di Peschici e le nenie di Carpino 

 
Per non morire di inedia, vieni sul Gargano! Nel reportage “Gargano Magico” (1964) Francesco Rosso racconta la quiete di Peschici e le nenie di Carpino
 
 

Un selvaggio, bellissimo Gargano emerge dalle note di viaggio di chi lo percorse in lungo e in largo nel corso del Novecento: giornalisti, letterati, storici dell’arte. Il gusto della scoperta antropologica si unisce alla descrizione delle bellezze naturali che stupiscono anche i più “scafati” osservatori. Come Francesco Rosso, una «firma» di prima grandezza de «La Stampa». I suoi reportage sono vere e proprie inchieste sociali: raccontano i fermenti delle popolazioni africane avviate alla difficile indipendenza o ancora afflitte dal colonialismo; parlano di Cuba e della rivoluzione castrista, del Centro e Sud America scossi da sanguinose rivolte e da fermenti populisti; indagano l’Asia afflitta dalla fame, il Medio Oriente agitato dai tumulti di Bagdad, Damasco, Gerusalemme e Ankara.

 

Nel volume “Gargano magico” (Torino, Teca, 1964), Rosso descrive la realtà complessa dello Sperone d’Italia. Un Gargano dalla bellezza ancora intatta, in cui Peschici rappresenta il “porto sepolto” dove egli desidera rigenerarsi prima di chiudere una vita tumultuosa:  «Un mattino – scrive nello struggente incipit –  lo so per certo, mi sveglierò nell’inquietante stato d’animo della predisposizione all’ultimo consuntivo, pronto a riconoscere che, forse, ho sbagliato tutto. Il foglio bianco, la macchina per scrivere, gli aerei, i transatlantici, i viaggi nei paesi lontani non potrebbero essere soltanto una finzione in cui  soltanto io e quelli che mi sono intorno ci siamo ostinati a credere? Quel mattino, non molto lontano se giudico dal malessere che monta, se fossi saggio accatasterei nella valigia un abito e scarsi indumenti, un solo libro per le ore disperate, e salirei su un vagone di seconda classe diretto a San Severo di Puglia. Col trenino Garganico raggiungerei la pastorale quiete di Calenella. Da qui, solcando il soave silenzio della baia, la cigolante corriera mi porterebbe a Peschici nel viaggio delle rinunce definitive, verso l’ambiente che mi è congeniale. Trascorrerei le ore al bar di Rocco, seduto in cerchio con gli altri uomini, in lunghi silenzi. A completare il silenzio, giungerebbe talvolta Manlio (Guberti), scontroso pittore ravennate chiuso in libera solitudine nella casina immersa fra i pini verso la baia di Calenella. Verrebbe (Romano) Conversano, fortunato fra gli uomini per la trasfiguratrice pittura e per il castello proiettato con l’arduo sperone di Peschici nella luminosità senza orizzonti, nel quale mi invita spesso ad un tuffo nell’infinito dalla finestra del suo studio, un largo oblò spalancato su cielo e mare senza riferimenti con la terra. Forse verrebbe anche Libero (Montesi), lo scrittore; si è costruita la casa a Procinisco, oltre Peschici, sul versante deserto affacciato alla pineta di Manacore».

 

Ma Francesco Rosso, in questo suo ultimo viaggio, non vuole ricostituire questo facile sodalizio intellettuale. Stavolta vuole mescolarsi alla gente del Gargano, immergersi in un’esistenza sensuale, fatta solo di elementari necessità che mettano a tacere le sue inquietudini. Vuole conoscere il Gargano vero: senza veli né ipocrisie, povero ma civile. Un continente umano contraddittorio e bellissimo, elementare e complesso. Per scoprirlo bisogna “violentarlo” dolcemente, accostarsi ad esso senza destare sospetti, penetrandone le pieghe intime come e meglio di tanti garganici, inconsci del loro selvaggio Eden. Una scoperta ricca di sorprese: «I contatti col mondo slavo e arabo – osserva Rosso – sono evidenti, gli scambi con la vicina Balcania, la Grecia e quelli meno desiderati con i corsari saraceni si riscontrano nell’aspetto fisico e nel temperamento della gente che, alle antiche influenze islamiche di costumi rigidissimi, alterna improvvisi abbandoni dionisiaci di sapore ellenico».

 

Da attento analista del presente,  Rosso osserva che “Il Gargano sembra popolato da donne, vecchi e bambini”. I giovani, gli uomini validi vanno a cercar lavoro in Svizzera e Germania, Francia e Belgio, Milano e Torino. Tornano a casa per la festa patronale, lasciando alle mogli il ricordo del loro passaggio con l’attesa di una nuova maternità. Ripartono pochi giorni dopo, tornando a consolare le compagne lasciate a Lione, Amburgo, Berna, Charleroy.

 

Il paese più povero del Gargano è Carpino. Mezzo nascosto nella stretta valle tagliata nelle pietrose profondità garganiche, è il risultato di una gara anarchica, un gioco urbanistico che alla fine ha trovato una perfetta, compiutissima unità». Un miracolo di cui sono stati artefici contadini e muratori analfabeti. Una civiltà del gusto imparata dall’armonia del paesaggio in cui questa gente vive, fra montagna, pianura, lago e mare.

 

Rosso sfata un dannoso stereotipo che grava sullo “scenografico” villaggio: esso gode l’immeritata fama di paese insicuro. Gliela procurò un libro, tradotto in film, che ha denigrato l’intero Gargano. Il riferimento è al romanzo di Roger Vailland “La Loi”, vincitore di un premio Goncourt. Il regista Jules Dassin ne aveva tratto un film, ma neppure interpreti come Yves Montand, Gina Lollobrigida, Marcello Mastroianni, erano riusciti a riscattarlo dalla desolante mediocrità narrativa. «Nel romanzo dello scrittore francese – scrive Rosso – non c’è un personaggio pulito: prostitute, ruffiani, pervertiti, aguzzini si rincorrono in lubrico carosello nel perfetto scenario garganico ruotando attorno al tema di un vecchio      gioco ormai in disuso, appunto “La legge”. E’ un vecchio, abusato cliché cui ci ha abituati la letteratura sull’Italia Meridionale, ma il Gargano non può entrare nel gusto di scrittori criminal-folcloristici, nella sua storia non ci sono tradizioni fosche». I carpinesi sono sì uomini di scorza ruvida, spinosi come i giganteschi fichi d’india che crescono nella pianura spalancata verso il lago, forse inclini all’abigeato di capre, giumente, muli, sorpresi liberi nel pascolo, ma basta conoscerli per capire che sarebbero generosi, ospitali, se soltanto lo potessero.

 

La chiusa di Francesco Rosso racchiude tutto il “senso della vita” di un paese del Sud condannato ad un triste destino precarietà: «Carpino è un paese bellissimo e malinconico. Qui nessuno canta, nemmeno le donne che al tramonto, strette nell’ombra avara delle case basse, rammendano panni lavati e rattoppati fino allo spasimo. L’esistenza non è gioconda per questi uomini, persino le cantilene per addormentare i bambini sembrano tramate di pianto; echeggiano la tristezza congenita di questa gente che ha come scenario il fantasioso villaggio arroccato sul pinnacolo di una collina battuta dal vento e folgorata dal sole. Sono nenie che parlano di morte già vicino alla culla, una preparazione all’esistenza dura, quasi disumana, da incominciare subito; coloro che sono appena giunti devono abituarsi presto alla realtà della fatica tremenda cui, per sopravvivere, saranno dannati nel paesaggio di struggente seduzione, ma ostile all’uomo».

 

Riflessioni profonde, che disvelano il senso esistenziale delle suggestive ninne-nanne del vetusto cantore Antonio Piccininno. Scoprono alle radici l’identità e la vera essenza del ricco patrimonio musicale del Gargano, portato oggi all’attenzione nazionale dal Carpino Folk Festival.

 

Teresa Maria Rauzino

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