‘’Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano: è l’unico modo per sperare che quell’indicibile orrore non si ripeta, è l’unico modo per farci uscire dall’oscurità’’. Questa è una citazione di Elisa Springer, scrittrice austriaca naturalizzata italiana, che sopravvisse all’Olocausto e, più nel dettaglio, all’internamento nel campo di concentramento di Auschwitz, probabilmente il più ricordato fra tanti. Ricordare, appunto, è il compito più importante che spetta alla nostra generazione: lo dice la Springer in questa frase, e lo dimostra, da 15 anni ormai, l’associazione ‘’Treno della Memoria’’, che si impegna a far rivivere, passando per le tappe fondamentali, ciò che è stata la Seconda Guerra Mondiale e in particolare ciò che è stata la Shoah. Io e i miei amici, accompagnati dal docente responsabile, abbiamo avuto la fortuna di partecipare a questo viaggio, anche se definirlo tale è assolutamente riduttivo. Il viaggio è principalmente introspettivo, e parlo anche per i miei compagni quando lo dico: tutti noi siamo tornati cambiati, più consapevoli e in grado di riflettere nella maniera più oggettiva possibile su ciò che è la situazione razzismo oggi, nelle sue varie manifestazioni. L’obiettivo del Treno non è quello di vedere i luoghi dello sterminio, o almeno non solo: l’obiettivo principale è quello di svegliare le coscienze dei 40.000 partecipanti, perché ultimamente si sta rafforzando troppo il pensiero che ciò che è stato 70 anni fa non può capitare ancora: sembra quasi che tutti ci siamo ‘’abituati’’ ad aspettare il 27 gennaio, per fare la commemorazione, e finirla lì, fino ad aspettare l’anno seguente. Se invece si aprono gli occhi e la mente, quando si cammina per quei luoghi di orrore mentre la guida ti lumeggia sugli accaduti, ci si accorge che queste realtà non sono poi così lontane come sembrano.
Non voglio addentrarmi in campi sociali di cui non ho competenza, ma ciò che sta succedendo oggi in tutta Europa e non solo, con la chiusura dei porti o con l’innalzamento di barriere anche fisiche tra un Paese e l’altro, desta grossa preoccupazione: facendo un giro sui vari siti web si leggono quotidianamente notizie di razzismo ‘gratuito’ e assolutamente ingiustificabile: si ricordano gli episodi di ‘’tiro al nero’’ avvenuti a Macerata e provincia, oppure l’episodio dell’autista di Rovereto che, vedendo migranti alla fermata, non si è accostato, impedendo a delle persone di salire sul bus comunale, solo perché di colore. Non serve di certo un sociologo per capire che certa società moderna è tutt’altro che aperta, alle altre culture: va altresì detto che, l’immigrazione così come è gestita oggi, non funziona, tanto che l’ingresso non controllato dei migranti si rivela ancora più pericoloso della chiusura dei porti stessi. Troppe persone sono decedute, e continuano a morire, nei nostri mari, solo per l’aspirazione di avere una vita normale, come quella che viviamo noi ogni giorno, lamentandoci delle futilità. La soluzione quindi, è quella dell’integrazione: permettere dunque a queste persone di entrare nella società occidentale con degli obiettivi, dei documenti, con delle aspirazioni identiche alle nostre. Devono avere tutti il diritto di diventare medici, avvocati, o semplicemente camerieri in un ristorante, senza che nessuno ne rimanga sorpreso, come troppe volte succede. Infondo, era ciò che sognava quel ragazzino, di appena 14 anni, trovato con una pagella cucita nella tasca, testimone della sua bravura a scuola e delle sue buone intenzioni... il suo sogno è stato spezzato nel mare, come la sua vita e quella di centinaia di suoi coetanei e non, nel silenzio e l’omertà generale.
Il compito di ogni partecipante del Treno quindi, dai semplici viaggianti, ai responsabili tutti, compresi gli educatori, è quello di inibire questo sentimento intrinseco di astio che si prova verso il diverso. Diversi lo siamo tutti, il mondo è bello perché vario, ma proprio per questo le differenze non devono essere motivo di discriminazione, in ogni sua circostanza.
Inoltre, questa esperienza è utile anche a maturare lo spirito di adattamento in ognuno dei suoi partecipanti: si impara a convivere negli ostelli con persone che non hai mai incontrato nella tua vita, impari a condividere orari, bagni, cibo... impari a condividere emozioni, sensazioni, lacrime... impari quanto sia importante l’umanità, quanto sia importante l’essere uniti, l’essere comprensivi e aperti nella conoscenza del prossimo... Tutte queste sensazioni possono essere capite soltanto da chi il Treno lo vive, per questo una città Vieste, dovrebbe, a partire dai prossimi anni, dare la possibilità di partecipare a questo viaggio anche ai non studenti, come succede in altri comuni pugliesi, cosicchè possano partecipare tutte le persone scettiche o semplicemente incuriosite. Nel nostro viaggio erano presenti anche diversi assessori e funzionari comunali che spinti dalla voglia di conoscere e comprendere, hanno intrapreso la via del Treno con noi, e sono tornati cambiati, come loro stessi hanno raccontato nell’assemblea finale tenutasi nell’auditorium dell’università di Cracovia.
Ci tengo, infine, a ringraziare il mio istituto, il ‘’Fazzini-Giuliani’’, per avermi permesso di partecipare a questa magnifica esperienza; ci tengo a ringraziare i miei colleghi studenti e il mio professore, che sono stati dei compagni di viaggio eccezionali. Non va dimenticato lo staff del Treno della Memoria, che ogni anno si impegna nella realizzazione di questo progetto e, per ultimi, ma non di certo per importanza, tutti i mie compagni del ‘’Gruppo G’’, con cui ho trascorso nove giorni indimenticabili, comprendendo anche gli educatori, ragazzi giovani come noi, che sono stati una vera e propria luce guida per tutti noi. ‘’Spirito forte, cuore tenero’’, questo il mantra che ci ha accompagnato, e difficilmente ci sarebbe stata frase più azzeccata. Sta a noi essere testimoni di ciò che è stato, seguendo una filosofia ben precisa: dire ciò che non dice nessuno, ma ognuno pensa, perché sognare in un mondo migliore, non significa stare lì a dormire, ma sperare e credere in una ‘’pace’’, che si passa troppo tempo a rimpiangere piuttosto che vivere.
MARIO DI PINTO
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