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« Prodi ed il giro del gov...1 mese da Campioni del Mondo »

Università allo stremo. E il governo che fa ?

Post n°113 pubblicato il 05 Agosto 2006 da fabri.t
 

La maturità ha la sua riforma. Per l'università cosa c'è?

Mentre il Cdm ha approvato la riforma della maturità proposta dal ministro Fioroni, (il suo dicastero sembra sia uscito indenne della manovra-bis) non è arrivata finora dal governo la stessa attenzione all' università ed alla ricerca come molti si sarebbero aspettati. Molti giovani, tanti studenti, avevano creduto nei buoni propositi enunciati e scritti durante la campagna elettorale. Questi giovani sono stati senza dubbio decisivi per la vittoria dell’Unione, che si è potuta vantare di vedersi riconosciuta una chiara scelta di voto giovanile, basti pensare allo scarto di voti appannaggio dei partiti del centro sinistra alla Camera piuttosto che al Senato. Il ministro Mussi, per molti studenti una sorpresa in Viale Kennedy (sede del Ministero dell’Università), perché mai era circolato il suo nome tra i pretendenti, si è subito impegnato in favore di un’università e di una ricerca scientifica bisognosa urgentemente di essere moderna, di stare al passo dei partners europei ed allo stesso tempo di conservare un’antico sapere non mercificato. L’istruzione, l’università ha espresso il proprio appello alle risorse, umane ma necessariamente anche finanziarie e Prodi si era prodigato a promettere che ci sarebbe stata una nuova attenzione, cruciale perché “la strategia della conoscenza è fondamentale per la crescita economica e sociale del paese”. Invece sembra proprio che tale promessa elettorale sia retrocessa dall’agenda delle priorità, adagiandosi sui tagli che il precedente governo aveva già operato. Se per il governo precedente si parlava di promesse agli illusi elettori, di quello attuale si comincia a parlare di tradimento dei disillusi.

Fatta questa premessa, riporto un articolo (tratto da “Il Mattino del 27/06/06), a firma di Guido Trombetti, Rettore dell’Università Federico II di Napoli e Presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), una lettera che denuncia la delusione del mondo accademico, seguita dalle proteste ed ipotesi di dimissioni del Ministro Mussi.

 

 "Ma serve questa università?"   

Un governo ha il diritto-dovere di compiere scelte di politica finanziaria. Di fissare priorità. In particolare in un momento di estrema difficoltà come quello attuale. Ci mancherebbe altro. I cittadini, da parte loro, hanno il diritto di interpretare le scelte. Di capire l’ordine di priorità fissato dal governo. Da questo punto di vista la lettura del decreto Bersani è solare. Chiarificatrice. L’alta formazione e la ricerca non sono una priorità per il governo. Al di là degli impegni elettorali. Al di là di slogan ripetitivi quali: viviamo nella società della conoscenza, non c’è sviluppo (né ripresa) senza la crescita della ricerca scientifica...

Difficile, infatti, immaginare un inizio peggiore della politica del governo Prodi verso l’Università e gli Enti di ricerca. Evidentemente a nulla è valso l’impegno del ministro Mussi in Consiglio dei ministri. I fatti sono quanto mai eloquenti. Si dice, e ormai sono in molti a riconoscerlo, che il sistema universitario italiano è vicino allo stremo. Che ha urgente bisogno di risorse aggiuntive. Succede invece che il maxiemendamento al decreto Bersani mantenga le Università e gli enti di ricerca tra i soggetti obbligati a riduzioni forzose. La scelta è talmente grave da aver suscitato l’immediata presa di posizione forte e chiara del ministro Mussi, che ha minacciato le dimissioni, e che io, come presidente della Conferenza dei rettori, ho molto apprezzato. Ma cosa dice l’art. 22 del decreto Bersani? A costo di far crescere la barba al lettore lo riporto integralmente «...per il triennio 2007-2009, le previsioni (di spesa sui consumi intermedi) non potranno superare l’ottanta per cento di quelle iniziali dell’anno 2006... Le somme corrispondenti alla riduzione dei costi e delle spese per effetto del presente comma sono appositamente accantonate per essere versate da ciascun ente, entro il 30 giugno di ciascun anno, all’entrata del bilancio dello Stato».

Per capire di cosa stiamo parlando sono «spese intermedie» quelle relative agli affitti, all’elettricità, all’acqua, ai telefoni, alle pulizie, alla guardiania, ai convegni, ai computer, alla carta, alle penne... su cui tagliare il 20% versando il risparmio nelle casse dello Stato. Ciò agendo su voci che chiunque sia dotato di un minimo di buon senso comprende essere incomprimibili. Non voglio intrattenermi sugli aspetti lesivi del principio dell’autonomia universitaria di tale provvedimento. Che pure sono fondamentali. Voglio restare su un piano di logica elementare. Possiamo pagare il 20% in meno sugli affitti regolati da contratti pluriennali? Possiamo togliere l’energia ai laboratori per il 20% del tempo? E possiamo non pulire il 20% delle aule? Magari potremmo chiedere agli studenti di bere il 20% in meno d’acqua, portandosene una scorta da casa. Questo sì. Possiamo certamente farlo. Ma bando agli scherzi. In sostanza, il decreto ci obbliga a tener chiusi dipartimenti, aule e uffici per due mesi. Poiché i fondi statali coprono a stento le spese di personale il governo ci sta chiedendo di versare nelle casse dello Stato parte degli introiti che vengono dalle tasse degli studenti e da entrate proprie (convenzioni con privati, fondi regionali, ecc.). Una riduzione insostenibile per chi ha subito in questi anni contrazioni drastiche di risorse. Le conseguenze del nuovo taglio, misurabili in non meno di duecento milioni di euro dall’anno prossimo, avranno conseguenze devastanti sulla qualità della didattica e della ricerca. Altro che risorse aggiuntive: il messaggio è chiarissimo. E ha, a dir poco, un sapore di beffa e di provocazione, che il maxi-emendamento consti in decine di pagine che accolgono qui e lì esigenze corporative. Francamente, mi sfugge il senso di questa manovra. Ci deve essere qualcuno che pensa che le Università siano un ritrovo di perdigiorno. Invece di perdere tempo nei laboratori a giochicchiare con le provette questi signori potrebbero rimanere a casa. Quello che chiediamo al governo è la risposta a una sola domanda: servono ancora le università a questo paese? O sono un lusso che non si può più permettere. O forse semplicemente l’idea vera che si ha del destino del nostro paese è di farne un parco giochi - per carità, protetto - del mondo avanzato ed emergente. Davvero, per chiunque nel governo se ne sia assunta la responsabilità, una mossa felice e incoraggiante... Un dovere per noi informare i giovani e le famiglie che il sistema universitario italiano non sarà in grado di reggere tali misure”. Guido Trombetti

 

Il ministro Mussi ha minacciato le dimissioni. Ecco stralci di una sua intervista

 «Togliere i soldi alle università è un grave errore. Siamo pronti a stringere la cinghia, ma non nella finanziaria 2007». Poi la precisazione, che vale da avvertimento: «Lo si potrebbe anche fare nel qual caso ci vorrà un altro ministro». Il ministro Mussi afferma di «aver tentato di farlo capire, inutilmente, in consiglio dei ministri» l'errore di questi tagli. «È una decisione - osserva - che contrasta con il programma dell'Unione, le dichiarazioni programmatiche di Prodi alle Camere, il programma del mio Ministero presentato in Parlamento, il Dpef che recita: ”Una ripresa duratura della crescita e un graduale innalzamento del tasso di crescita potenziale dell’ economia postulano che la produttività totale dei fattori esca dalla lunga stasi degli ultimi anni. Ciò a sua volta implica più investimenti, più innovazione, più ricerca e sviluppo, come previsto dalla Strategia di Lisbona”». «Ora - aggiunge Mussi - per il 2006, me la sento di chiedere uno sforzo eccezionale alla Comunità scientifica (che già è stata vittima di ripetuti tagli con il governo di centrodestra), per contribuire al risanamento delle finanze pubbliche: stringiamo la cinghia e guardiamo avanti. Ma è del tutto evidente che la legge finanziaria per il 2007 deve correggere l'errore. Nessuno si aspetta miracoli e abbondanza ma se l'Italia, di fronte alla tendenza esplosiva globale, della spesa in ricerca e formazione superiore, annuncia provvedimenti di definanziamento, il mondo ride e noi piangiamo".

Che il governo rifletta sulla strategia portata avanti in questo settore così importante per il presente ed il futuro del nostro paese, della sua classe dirigente e della cultura italiana tutta

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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