Arte nei dintorni

La collega Martina di francese aveva preso un congedo per malattia, e sarebbe stato abbastanza lungo per quanto avevo intuito. Quella mattinata, così ordinaria e uguale alle tante altre, si stava consumando come la sigaretta che fumavo, seduto sui gradoni del porticato. Insolitamente in anticipo, prima che suonasse la campana della terza ora, mi avviavi verso la porta dell’aula. Bussando, aprì la porta e diedi un’occhiata alla classe. Seduta alla cattedra, c’era la nuova collega che la sostituiva. Mi presentai con un certo impaccio, e scambiai poche parole e frasi formali. Quasi infastidito dalla novità, vedendo la classe già in fermento mi rivolsi ai ragazzi, e specie a Ciccio tra i più scalmanati, raccomandando di tenere modi cordiali ed educati con la supplente. Dopo aver posato la valigia smisuratamente gonfia, sulla cattedra, girai lo sguardo verso la collega. Distratto come solitamente sono, all’inizio non mi ero nemmeno preso il disturbo di osservarla, né tantomeno di esaminarla. Ma appena incrociammo lo sguardo ebbi la sensazione di averla già conosciuta. Erano i suoi occhi e il suo sorriso di giovane donna a essermi familiari. Nel dubbio, e per evitarmi una delle solite magre figure, le espressi subito il senso di déjà–vu che avevo. In genere ho la tendenza a scordare i nomi, ma mai la fisionomia delle persone. Cercai velocemente anch’io di scavare nei ricordi; ma non riuscì a collegare la sua faccia con nessun posto o occasione in cui potevamo esserci incrociati. Durò poco, perché la risposta altrettanto diretta fu senza incertezza negativa. Rimasi lì un attimo scettico, ma presto dovetti farmene una ragione e convincermi: mi ero sbagliato.