Creato da tommyknocker_5 il 05/04/2008
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Succo amaro

Post n°9 pubblicato il 05 Dicembre 2008 da tommyknocker_5
 

All'alba una luce radente dilata sulla pianura un chiarore tenue che, lentamente, si propaga su tutte le cose. Dalla collina su cui è raccolto il paese si scorge una sottile nebbiolina che decora dolcemente il solco dei fossi in mezzo alle campagne. Il verde fitto degli agrumeti è interrotto dal tracciato sinuoso del fiume, sottolineato dall'imponenza dei salici che crescono sulle sue rive. Il segno netto della ferrovia trancia di netto il paesaggio con una decisa linea dritta. I vecchi archi del ponte, sulla statale, non sembrano mostrare la loro età, anzi da così lontano sembrano avere un disegno modernissimo. Per arrivarci, bisogna scendere dalla via che fende la collina, e che dalla piazza del duomo porta in fondo, al piano. Proprio all'incrocio, ai bordi della strada, trovi sempre capannelli di persone, che lì aspettano. Nell'aria umida appaiono le piccole ombre di una umanità raccolta in abiti sgangherati. Attendono sparsi in silenzio e con pazienza che qualcuno li raccolga, così alla ventura; qualcuno che gli conceda un quotidiano brandello di speranza. Loro in cambio hanno da offrire le uniche risorse che possiedono: i loro corpi, le loro braccia. Sono qui a offrire sudore per il lavoro più duro. Affondano con i loro stivali nel terreno limoso, nelle campagne strappate alle paludi dalle bonifiche. Sulla terra dove in tempi lontani, altre braccia e altri uomini, imbrigliando le acque di fiumi e fiumare, hanno ordinato uno spazio amorfo e malsano. La fatica, gli stenti, il freddo, la fame sono lì, stampati nella tristezza profonda dei loro occhi scuri e dei loro visi stranieri. Irregolari: ma in cosa? In tutto questo, invece, c'è qualcosa di orribilmente regolato, di orrendamente già visto. E' così da molti secoli, da molte stagioni. Il mercato dei braccianti c'è sempre stato; la piazza dei vignaiuoli si è solamente spostata. Da luogo che aveva una sua dignità, a cui era stato dato persino un nome, vicino al centro della comunità, si è trasferito in un luogo tragicamente anonimo, del tutto indeterminato. Certo ci saranno stati motivi di opportunità a far compiere una scelta simile. Ma a nessuno sfugge che è un indizio chiaro del poco rispetto e della poca considerazione che questi tempi riservano al lavoro. E a queste persone che lavorano. Ci si può fare l'abitudine a queste presenze; con leggerezza si può persino ignorarli o considerarli come un arredo del paesaggio. Ma solamente il loro mostrarsi, così sofferto, non può assolutamente assolvere nessuna coscienza. L'essere fratelli, appartenenti ad un'unica specie, che vive sotto lo stesso cielo, dovrebbe spingerci concretamente a fare un passo in più. A muovere un pensiero che, invece, stagna come quella nebbiolina sopra i fossi. E rimane lì fermo, tra gli alberi di agrumi, e si dissolve con l'avanzare della luce del sole. E quegli sbuffi di vapore candido che vedi alzarsi dalle cime d'alluminio delle industrie, fanno veramente fatica a nascondere tutto il sudicio che alberga nelle nostra comunità.

 

 
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