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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Messaggi di Aprile 2008

...Scuse....

Post n°228 pubblicato il 28 Aprile 2008 da Kaos_101
 

Postilla: viste le numerose prese di posizione di signore e signorine, sulla modalità che il sondaggio ipotizza, vorrei solo chiarire che trattasi esclusivamente di un divertissement e non di un'indagine sociologica!
Non avevo la minima intenzione di insinuare che si tratti di prassi comune.
Ciò detto:
NON FATE LE VERGINI DAI CANDIDI MANTI!!!

                         V  O  T  A  T  E

Avete avuto la malaugurata idea di concedervi ad un corteggiatore insistente con la speranza che si levi dalle palle una volta ottenuto il tanto agognato frutto del peccato.
Purtroppo, adesso che ti ha assaggiata quello vorrebbe averti in esclusiva.
Qual è il modo più convincente per convincerlo a desistere dal suo insano proposito?
(volendo potete aggiungere un vostra personale suggerimento)

CLICCA QUI

 
 
 

Pasta al forno...

Post n°227 pubblicato il 26 Aprile 2008 da Kaos_101
 
Tag: Cucina

Pasta al forno speck gorgonzola e noci

Dosi per 6/8 persone

500   gr  Pasta corta (meglio rigatoni o conchiglie)
200    gr gongorzola
200    gr asiago fresco
150    gr speck
100    gr gherigli di noce
  50    gr parmigiano grattuggiato

Per la besciamella
1     Lt   di latte
80   gr  di burro
80   gr  di farina setacciata
             noce moscata


Preparazione:

Far bollire la pasta in abbondante acqua salata in cui avrete versato un cucchiaio di olio di oliva.
Nel frattempo preparate la besciamella e fate sciogliere i formaggi in una capace ciotola o a bagno maria o nel microonde.
Scolare la pasta molto al dente e condirla rapidamente con i formaggi la besciamella non troppo densa lo speck tagliato a dadini e i gherigli di noci grossolanamente pestati.
Cospargere la superficie con parmigiano grattugiato ed infornare a 180/200° per 30 minuti circa.
E’ consigliabile coprire la teglia con un foglio di alluminio che verrà rimosso una decina di minuti prima del termine della cottura. Così facendo si otterrà una gratinatura perfetta evitando che si formi la crosta in superficie.

Preparazione besciamella: far sciogliere a fuoco dolce il burro in una casseruola, aggiungere la farina setacciata e mescolare con un cucchiaio di legno fino a che si formi una pasta omogenea.
Aggiungere a filo il latte caldo.  mescolando energicamente per evitare la formazione di grumi. Continuare a mescolare fino a che la besciamella non raggiunga la consistenza desiderata. Salare, insaporire con noce moscata e levare dal fuoco.

 
 
 

la musa venale...

Post n°226 pubblicato il 21 Aprile 2008 da Kaos_101
 

...lettera aperta ad una persona che dubito la leggerà mai e che, anche qualora la leggesse, probabilmente non vi si riconoscerebbe...

Ieri, gironzolando per il blog, mi sono imbattuto nel post del nostro primo incontro e mi sono ritrovato, senza un vero perchè, a ripensare alla parabola di quel rapporto.
Probabilmente sei ancora convinta che io non fossi il Padrone che meritavi e che, tutto sommato, la scelta di chiudere con me sia stata tua e del tutto giustificata.
Ricordi? Mi dicevi che non ero abbastanza “cattivo”, che non ti usavo e non ti punivo col rigore e la brutalità che ti aspettavi, al punto di accusarmi di non essermi impegnato abbastanza e, stando così le cose, non te la sentivi di continuare ad essere la mia schiava.
Dubito tu lo sappia o che lo capirai mai, ma, dal mio punto di vista, tutto si è svolto esattamente all'opposto di quel che credi.
Sì è vero non ero affatto “cattivo” con te, ma vedi, anche la cattiveria va suscitata, nasce da una speciale sintonia che ti fa provare il desiderio di usare l'altro fino a  brutalizzarlo.
Purtroppo, più che la voglia di abusare di te, i tuoi atteggiamenti mi suscitavamo un senso di infinita noia, una noia così profonda da spingermi ad incoraggiare la tua decisione di interrompere il rapporto.
Sei una bella donna e sarebbe difficile non riconoscerlo, ma la tua bellezza si annacqua fino a sparire nelle tue seghe mentali, nel tuo falso autocompiacimmento, nel tuo cercare nell'approvazione altrui le conferme che dovresti trovare solo in te stessa.
Non basta svolgere con diligenza il compitino impartito, non basta fingersi schiava, non basta aprire le gambe e girare senza slip, quando poi non traspare da te il minimo afflato ideale, la minima voglia di appartenere davvero.

Quello che vedevo in te ogni volta che tu eseguivi un ordine, o facevi qualcosa per compiacermi, era una sorta di display luminoso che ti passava sulla fronte su cui scorreva un sottotitolo invisibile e nello stesso tempo evidentissimo che diceva “oh come sono brava, ma guarda che schiava perfetta che sono!”
In fondo avrei dovuto capirlo leggendo il tuo blog.
Le storie di cui parlavi allora non differivano di molto da ciò che hai tentato di fare con me.
Certo prima di me deliziavi il tuo avido pubblico di avidi e affezionati lettori con avventure sessuali “convenzionali” mentre con l’Orko, per la prima volta ti avventuravi in un territorio a te ignoto, ma che prometteva di offrirti un nuovo e ancor più rutilante palcoscenico su cui esibirti.
Peccato che quello che cercavo non fosse l’appariscente starlett di un B-movie, ma una donna che sapesse davvero affidarsi e donarsi a me.
E’ vero, come negarlo, sei arrivata nel momento peggiore, così a ridosso di quella storia di cui non hai assolutamente compreso la profondità e che non sei riuscita a surrogare nemmeno in intensità.
Non è però di questo che ti faccio una colpa, quanto di come ti sia subito data da fare, con encomiabile impegno, per rendere questa nuova avventura funzionale alle tue esigenze.
Ti ricordi com’eri allarmata la mattina che scopristi un commento “dell’altra” nel mio blog.
Usasti un’immagine colorita per commentare la cosa: “ E’ tornata! E’ una cagna che vuol marcare il territorio”; elegante, non c’è che dire, perfettamente adeguata al nick che avevo coniato per te.
Proprio tu che tentavi di farti accreditare per la schiava diligente, hai finito per comportarti esattamente allo stesso modo. Dubito sia stato un caso che tu abbia voluto, in poco più di un mese, essere al mio fianco ostentando il tuo ruolo di schiava, alle cene di due delle più importanti community BDSM. Se non è marcare il territorio questo!
Quello che non hai capito, e che penso non capirai mai, è che io non ero uno dei tuoi tanti amanti, un simpatico ometto pronto a correre al tuo comando non appena tu riuscivi a ritagliarti qualche ora per te.
Il particolare, affatto irrilevante, che ti è sfuggito è che io, a differenza dei tuoi passati amanti, non ero per nulla interessato a una donna che si "concedessei" a me, quanto, piuttosto, ad una di cui prendermi cura.
Non l’hai capito e ti sei fermata alla superficie delle cose.
Hai letto leggiucchiato tra la peggiore letteratura di genere e hai tratto l’erronea convinzione che non fossi poi un Master così straordinario  da poterne menar vanto e visto che era la straordinarietà a cui miravi, mi hai chiesto di essere più “duro” nella speranza di avere qualcosa di eclatante da sfoggiare.
Così quanto di ho detto che non avevo alcuna intenzione di modificare il mio operato hai deciso di volare altrove.
Come stupirsene quando è la forma a far premio sulla sostanza, quando si cerca l'eccezionalità nelle prestazioni, ignorando che essa invece abita nelle emozioni, come stupirsi allora nello scoprire come tu fossi priva di qualsiasi percezione di cosa sia l’appartenenza, l’accettazione di una volontà altrui che si sovrappone alla tua, la rinuncia alla propria individualità per diventare docile strumento dell’altrui volere.
Come avresti potuto tu rinuncare al centro della scena, farti piccola e docile ai miei piedi, tu che ti nutri di gesti, di prestazioni da esibire, di specchi in cui riflettere la tua immagine, tutte cose lecite beninteso, ma che nulla hanno a che vedere col tuo a più riprese proclamato bisogno di essere schiava.
Mi dicono che ora ostenti la tua appartenenza nei riguardi di una coppia con la quale, non dubito, ti esibirai alle feste e nei luoghi deputati alla liturgia BDSM
Sono certo che questa tua nuova condizione ti soddisfi pienamente: è quello che cercavi e, in fondo, ed è il massimo che tu possa aspirare di ottenere.

Senza alcun rancore, ma con infinita tristezza…

 La Musa venale

 

 Avrai tu almeno, o musa del mio cuore,
amante dei palazzi, quando fredde
bore sguinzaglierà Gennaio, lungo
le nere noie delle lente sere
nevose, un po’ di fuoco pei tuoi piedi
violacei? Le spalle scalderai, 
fredde, di marmo, coi notturni raggi
che tra le imposte filtrano? Accorgendoti
d’aver la borsa ed il palazzo a secco,
raccoglierai tu l’oro delle volte
azzurrine? Tu devi tutti i giorni,
per guadagnarti il pane, dondolare,
come fa il chierichetto, l’incensiere
e cantare Te Deum  cui non credi;
oppure, saltimbanco a pancia vuota,
far mostra dei tuoi vezzi e del tuo riso
molle d’un pianto che  nessuno vede,
per far scoppiare dalle risa il volgo.

Charles Baudelaire

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Marta ...finale

Post n°225 pubblicato il 14 Aprile 2008 da Kaos_101
 

                        Marta dei colori

Ma la vita dona e la vita toglie. Così una sera d’estate, Marta fu svegliata dal crepitio delle fiamme che stavano divorando la sua casa.
“Il nonno, devo aiutare il nonno!”
Si precipitò nella sua stanza e amorevolmente lo sorresse e lo accompagnò fuori dal rogo.
Il destino volle che proprio, mentre varcava la porta di casa, lo stipite cedesse colpendola violentemente alla nuca e lasciandola priva di sensi riversa sull’aia.


Si risvegliò nel buio assoluto, strani rumori e ancor più strani odori attraversavano quell’oscurità e le davano la percezione di un mondo sconosciuto attorno a lei.
Chiamò il nonno senza ricevere risposta urlò  fino a che una voce gentile e una mano delicata la calmarono un poco.
Era in ospedale, il colpo era stato violentissimo e, a detta dei medici, era già sorprendente che lei fosse ancora viva. Però, c’era un però, il suo cervello aveva subito dei danni la cui entità e portata al momento non erano ancora prevedibili.
Marta chiese immediatamente del nonno.
Stava bene, le dissero, nonno Michele era illeso. Proprio con quell’ultimo gesto cosciente la ragazza gli aveva salvato la vita. Quando, pochi giorni dopo, il nonno la venne a trovare le pese la mano e  gliela strinse silenziosamente per lunghi, interminabili minuti, poi le parlò con quella voce dolce e pacata che usava quando lei, ancora bambina, si rifugiava nelle sue braccia per farsi consolare da una pena o per lenire un dolore. C’era però in quella voce un’angoscia sconosciuta a Marta, un’angoscia che era presagio di nuovi dolori.
I giorni passavano lenti e sempre uguali ma il buio in cui giaceva Marta non accennava a dipanarsi finché, un triste giorno, la sua agghiacciante luce non la folgorò: era cieca e lo sarebbe rimasta per sempre.


I medici, alla fine, non poterono che confermarle quello che già aveva intuito e a nulla valsero i loro tentativi di consolarla ricordandole doveva ritenersi fortunata per essere ancora viva.
Marta fu ricondotta a casa il nonno l’accolse con una voce che non gli aveva mai sentito in cui, più che il dispiacere per la sua cecità, riecheggiava un sentore di rinuncia alla vita.
Nonno Michele non voleva più vivere. Non sopportava l’idea che la sua nipotina fosse ridotta in quelle condizioni per colpa sua, non accettava quel buio che la voce della ragazza sapeva rischiarare e che ora invece avvolgeva entrambi come un plumbeo sudario. Cominciò a non uscire più dalla sua stanza, a rifiutare il cibo, arrivò persino a evitare il contatto con Marta: troppo era il dolore, il senso di colpa per ciò che le aveva causato.


Marta, che si era specchiata per tutta la vita negli occhi di quell’uomo, si sentiva impotente di aiutare il suo adorato nonnino, quel nonno che le era tanto caro; le sembrava di essere inadeguata a strapparlo dalla prostrazione in cui versava e si tormentava perché era convinta che fosse quella sua impossibilità a raccontargli i colori la causa del dolore dell’uomo.
Marta era una ragazza speciale e il suo grande cuore ripescò da qualche parte come sopita in un lungo letargo una frase che spesso aveva sentito pronunciare dal nonno in tempi lontani: “ Tu vedi con la testa! Non vedi col cuore”.
Ma come si fa a vedere col cuore? Marta era tormentata da quella domanda; voleva capire, voleva imparare, doveva riuscire!
Una mattina di buon’ora, il pensiero oramai quasi ossessivo di quella frase l’aveva tenuta sveglia tutta la notte, entrò nella camera di nonno Michele: “Cosa intendevi dire quando mi dicevi che avrei dovuto vedere col cuore?”, gli chiese senza nemmeno salutarlo.
Il nonno si riscosse dall’abituale apatia in cui era precipitato e, brancicando in quel gelido buio che li circondava, le prese dolcemente la mano e la attirò a sé. Lei prese il logoro sgabello su cui tante volte si era seduta e, come tante altre volte, posò il capo sul petto di nonno Michele.
Con la mano delicatamente serrata sulla sua e l’altra che le carezzava i capelli, il nonno prese a  parlare.

La voce fioca e rotta riprese di colpo l’antica vivacità e la profonda dolcezza che aveva avvolto Marta per tutta l’infanzia e, nel buio improvvisamente rassicurante che li abbracciava, le raccontò una storia.
“Devi sapere, piccola mia, che tanti tanti anni fa in un luogo lontano lontano viveva un signore ricco e gentile la cui fortuna, però, era stata accumulata, generazione dopo generazione sul sangue e la fatica della povera gente. Tale era la sua sensibilità e la sua onestà che, vergognandosi dell’origine della sua ricchezza, aveva cominciato a utilizzare  una  larga parte dei suoi beni per ripagare chiunque in passato avesse sofferto per dell’avidità della sua famiglia.
Si dava da fare in mille modi: organizzava opere di beneficenza e si occupava di casi pietosi, ma nulla sembrava sufficiente a tacitare la sua coscienza.
Tentò di impegnarsi maggiormente, raddoppiando quasi con rabbia i suoi sforzi e spendendo ancor di più, invano! Quel vuoto che sentiva non lo abbandonava e non lo abbandonò nemmeno quando, speso fino all’ultimo centesimo, restò solo e inappagato.

Una sera al tramonto vide un bambino che piangeva a pochi passi da lui e si frugò in tasca per trovare qualche spicciolo per comprargli un regalo. La mano non trovò altro che qualche briciola di pane e la percezione della sua totale miseria lo attraversò dolorosamente, come anche la scoperta di non poter fare nulla per consolare quel pianto.


L’angoscia mai spenta lo prese di nuovo, ma questa volta, lui si fermò a pensare. “Ci dev’essere un altro modo!” si disse.
Si avvicinò al bimbo, lo prese sulle sue ginocchia, lo abbracciò e se lo strinse forte. Gli cantò una vecchia canzone e il bimbo smise di piangere e si strinse a lui.
“Vedi Marta” disse il nonno, “quell’uomo aveva passato l’intera vita a pianificare la sua bontà ma non l’aveva mai esercitata in proprio. Dio ci ha donato l’intelligenza perché noi ne facciamo buon uso, ma ci ha anche donato un cuore per arrivare dove la ragione non sa e non può arrivare. A volte bisogna abbandonare la ragione e percorrere sentieri diversi, a volte bisogna che il cuore ci prenda per mano e ci guidi. Il cuore però ha una voce leggera: se non si ascolta attentamente e in assoluto silenzio la sua voce è coperta del rombo rutilante della ragione. Bisogna saper cedere e avere il coraggio di affidarsi, non resistere, non irrigidirsi per paura di quello che non si conosce e di quello che si potrebbe scoprire di noi. Tu sei una ragazza stupenda, il tuo cuore è grande e generoso; ascoltalo piccola mia”.
Marta aveva gli occhi colmi di lacrime, lacrime di gratitudine e di consapevolezza, lacrime calde e consolatorie, lacrime che scioglievano un nodo doloroso in fondo al suo cuore.
Aveva capito che non doveva far altro che quello che sentiva, che non c’era fatica o dovere ma solo accettazione e consapevolezza.
E la gioia di quella scoperta illuminò la sua notte con una luce così abbagliante che anche il nonno ne fu partecipe.

Il nonno la strinse ancor di più a se e le disse: “Hai finalmente capito. piccola mia!”.
Lei chiuse gli occhi della mente e aprì le porte, solo socchiuse, del suo immenso cuore e realmente sentì. Arrivò leggero, quasi impercettibile. Dapprima non riuscì a comprenderne la natura e nemmeno l'origine, ma poco alla volta il profumo invase le sue narici, le riempì la mente, le esplose nel cuore e, con l'anima che danzava, lo riconobbe inequivocabilmente: era il profumo dell'esatta sfumatura d'azzurro acquamarina degli occhi di nonno Michele.

 
 
 

Marta (seconda parte)

Post n°224 pubblicato il 12 Aprile 2008 da Kaos_101
 

                    Marta dei colori

Da quel giorno tutte le mattine il nonno accompagnava la piccola a spasso e le raccontava i colori che incontravano.
Poco alla volta Marta iniziò a catalogare i nomi dei colori che il nonno le descriveva all’interno della sua personale tavolozza di grigi cercando di scomporli e aggregarli in strutture logiche che ne consentissero l’identificazione.
Era un lavoro complesso e faticoso che Marta viveva però come un gioco e con la gioia di vedere felice il suo amatissimo nonno.
All’inizio i risultati furono modesti:
“che colore è questo?”
“uhm...azzurro?”
 “Ma no! Si è mai visto un tarassaco azzurro?”
Il nonno rideva, senza mai perdere la pazienza e la incoraggiava con quella dolce calma che rasserenava la bambina e le infondeva una rinnovata fiducia.
Passarono le stagioni, Marta cresceva mentre il nonno si rimpiccioliva sempre più e, purtroppo, come sovente succede, la vecchiaia portò con sé un triste fardello: la vista del nonno cominciò rapidamente a scemare. Dapprima egli parve non accorgersene, sebbene Marta si domandasse come mai la sua vista solitamente così acuta all’improvviso non gli permettesse di distinguere particolari che per lei erano evidenti, poi anche la percezione del colore si ridusse drasticamente: era come se un velo grigio si frapponesse tra lui e il mondo. Marta cercò allora con rinnovato impegno di superare i suoi limiti; si rendeva conto di non avere più molto tempo per imparare dal nonno a distinguere i colori e, nel medesimo tempo, la consapevolezza di quanto quella perdita avrebbe rappresentato per lui la spingeva a voler diventare nel modo più veloce e accurato possibile “gli occhi” del suo amatissimo nonnino.
Così venne poi il tempo della logica.
Marta aveva oramai imparato ad associare i colori a ciò che vedeva: sapeva che il cielo era azzurro, le nuvole bianche, i prati verdi e, da queste nozioni di base, applicava la sua scala dei grigi per identificare nell’arco del medesimo colore la tonalità o la sfumatura dello stesso.
In tal modo distingueva il verde chiaro di una gemma dal verde cupo di un pino.
“Non va bene!”,
ripeteva il nonno.
 “Tu vedi col cervello. Non vedi col cuore!”
“Vedere col cuore?”
Marta per quanto si sforzasse proprio non riusciva a capire come si potesse vedere col cuore.
Eppure si rendeva conto che il nonno aveva ragione e che “vedere” non poteva essere una specie di ragionamento.
Il suo modo di interpretare i colori aveva poi delle ovvie limitazioni: come quella volta che, poco prima di cena, il nonno le indicò il cielo e le disse: ”Guarda che meraviglia”.
Candide nuvole ribollenti venivano inondate da un enorme sole rosso che le infiammava di un porpora intenso.
I raggi morenti si stagliavano netti formando una raggiera di fasci di luce che sembravano abbracciare l’intero orizzonte; più in alto, negli squarci tra le nubi, un cielo blu cobalto racchiudeva, abbracciandolo, il mondo ed era ravvivato dai primi sentori di stelle e da una falce di luna immacolata.

“Che bello nonno!” disse la bambina, “peccato per quei nuvoloni grigi”.
 “Grigi?”, protestò il nonno. “Ma se sembra un incendio!”
Marta rimase perplessa: nel suo personale archivio le nubi andavano dal bianco al nero; erano anzi una riposante eccezione in quel mondo di colori virtuali. Le nuvole erano esattamente come lei le vedeva e invece...
Marta allora capì che non avrebbe mai potuto incasellare nella sua memoria l’intero mondo e i suoi colori che, per quanto si fosse sforzata di ricordare e catalogare, la vita le avrebbe sempre riservato delle sorprese e che la conoscenza non può essere un processo esclusivamente logico.
Si sentiva frastornata e delusa: tutto quel lavoro e quell’impegno profusi invano. Si era cacciata in un crudele vicolo cieco e, come se non bastasse, il pensiero di aver deluso il nonno le risultava insopportabile.
Eppure doveva riuscire! Non era più una questione di semplice conquista personale. Adesso c’era una ragione ben più importante: come un triste sipario la notte scendeva sempre più rapidamente sugli occhi del nonno e lei doveva trovare il modo per imparare a raccontare i colori a quell’uomo per alleviare la pena che, come le era facile intuire, quella cecità avrebbe causato.
Marta era una bambina speciale: cominciò a scrutare nei suoi grigi, chiuse gli occhi della mente e si concentrò su quello che “vedeva”. A poco a poco, con immensa fatica all’inizio e poi viva via sempre più agevolmente , si rese conto di una particolare “grana”, di una specifica “vibrazione” insita in ciascuna tonalità che la modificava e la differenziava da quello che prima gli sembrava essere il medesimo grigio.
Lentamente cominciò a ridefinire la sua scala e cominciò a vedere i colori distinti ciascuno nella sua peculiarità.
Ovviamente non avrebbe identificato lievi variazioni dello stesso colore. Non sarebbe per esempio riuscita a percepire l’esatta sfumatura dell’azzurro acquamarina degli occhi del nonno però ora i colori le apparivano come verità immediate e non come frutto di un ragionamento.
Sarà stata la visione col cuore di cui favoleggiava il nonno,  ma sicuramente rappresentava un enorme successo che riempiva Marta di legittimo orgoglio.
E così, mentre gli occhi del nonno si chiudevano definitivamente relegandolo nella spaventosa caverna del buio totale, gli occhi di Marta si dischiusero un poco di più e lei prese a sua volta il nonno per mano e lo condusse per quei sentieri per i quali tante volte era stata da lui condotta.
Così Marta riuscì a diventare gli occhi dell’amatissimo nonno. Gli sedeva vicino nelle giornate invernali leggendogli racconti o parlandogli delle loro passate avventure e, non appena il tempo lo consentiva, lo conduceva all’aperto dove lei gli descriveva il mondo circostante con la dovizia e la minuziosità di particolari di chi ha allenato per lunghi anni i suoi occhi a “vedere”.
C’era tutto l’amore di Marta per la vita in quelle descrizioni ed era proprio quell’amore e quell’entusiasmo a sorreggere il nonno oramai stanco e sfiduciato nella sua gabbia di buio.
La voce della ragazza, Marta oramai era cresciuta, perforava la cupa angoscia di quell’uomo vissuto con gli occhi e che non sapeva rassegnarsi a un mondo senza luce.
I racconti e le descrizioni di Marta aprivano squarci nella sua memoria, lo trascinavano fuori da quella  gabbia senza sbarre, gli ridonavano la gioia per una vita, forse oramai alla fine, che meritava di essere vissuta per la ricchezza dell’amore che riceveva.
Erano giorni sereni nonostante tutto. Marta sentiva di ripagare in qualche modo i lunghi anni di amorevole istruzione che il nonno le aveva dedicato e nello stesso tempo di godere dell’esclusivo privilegio di essere il centro delle sue attenzioni.


(continua...)

 
 
 
 

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