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Un blog creato da Kaos_101 il 23/10/2006

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Messaggi del 14/04/2008

Marta ...finale

Post n°225 pubblicato il 14 Aprile 2008 da Kaos_101
 

                        Marta dei colori

Ma la vita dona e la vita toglie. Così una sera d’estate, Marta fu svegliata dal crepitio delle fiamme che stavano divorando la sua casa.
“Il nonno, devo aiutare il nonno!”
Si precipitò nella sua stanza e amorevolmente lo sorresse e lo accompagnò fuori dal rogo.
Il destino volle che proprio, mentre varcava la porta di casa, lo stipite cedesse colpendola violentemente alla nuca e lasciandola priva di sensi riversa sull’aia.


Si risvegliò nel buio assoluto, strani rumori e ancor più strani odori attraversavano quell’oscurità e le davano la percezione di un mondo sconosciuto attorno a lei.
Chiamò il nonno senza ricevere risposta urlò  fino a che una voce gentile e una mano delicata la calmarono un poco.
Era in ospedale, il colpo era stato violentissimo e, a detta dei medici, era già sorprendente che lei fosse ancora viva. Però, c’era un però, il suo cervello aveva subito dei danni la cui entità e portata al momento non erano ancora prevedibili.
Marta chiese immediatamente del nonno.
Stava bene, le dissero, nonno Michele era illeso. Proprio con quell’ultimo gesto cosciente la ragazza gli aveva salvato la vita. Quando, pochi giorni dopo, il nonno la venne a trovare le pese la mano e  gliela strinse silenziosamente per lunghi, interminabili minuti, poi le parlò con quella voce dolce e pacata che usava quando lei, ancora bambina, si rifugiava nelle sue braccia per farsi consolare da una pena o per lenire un dolore. C’era però in quella voce un’angoscia sconosciuta a Marta, un’angoscia che era presagio di nuovi dolori.
I giorni passavano lenti e sempre uguali ma il buio in cui giaceva Marta non accennava a dipanarsi finché, un triste giorno, la sua agghiacciante luce non la folgorò: era cieca e lo sarebbe rimasta per sempre.


I medici, alla fine, non poterono che confermarle quello che già aveva intuito e a nulla valsero i loro tentativi di consolarla ricordandole doveva ritenersi fortunata per essere ancora viva.
Marta fu ricondotta a casa il nonno l’accolse con una voce che non gli aveva mai sentito in cui, più che il dispiacere per la sua cecità, riecheggiava un sentore di rinuncia alla vita.
Nonno Michele non voleva più vivere. Non sopportava l’idea che la sua nipotina fosse ridotta in quelle condizioni per colpa sua, non accettava quel buio che la voce della ragazza sapeva rischiarare e che ora invece avvolgeva entrambi come un plumbeo sudario. Cominciò a non uscire più dalla sua stanza, a rifiutare il cibo, arrivò persino a evitare il contatto con Marta: troppo era il dolore, il senso di colpa per ciò che le aveva causato.


Marta, che si era specchiata per tutta la vita negli occhi di quell’uomo, si sentiva impotente di aiutare il suo adorato nonnino, quel nonno che le era tanto caro; le sembrava di essere inadeguata a strapparlo dalla prostrazione in cui versava e si tormentava perché era convinta che fosse quella sua impossibilità a raccontargli i colori la causa del dolore dell’uomo.
Marta era una ragazza speciale e il suo grande cuore ripescò da qualche parte come sopita in un lungo letargo una frase che spesso aveva sentito pronunciare dal nonno in tempi lontani: “ Tu vedi con la testa! Non vedi col cuore”.
Ma come si fa a vedere col cuore? Marta era tormentata da quella domanda; voleva capire, voleva imparare, doveva riuscire!
Una mattina di buon’ora, il pensiero oramai quasi ossessivo di quella frase l’aveva tenuta sveglia tutta la notte, entrò nella camera di nonno Michele: “Cosa intendevi dire quando mi dicevi che avrei dovuto vedere col cuore?”, gli chiese senza nemmeno salutarlo.
Il nonno si riscosse dall’abituale apatia in cui era precipitato e, brancicando in quel gelido buio che li circondava, le prese dolcemente la mano e la attirò a sé. Lei prese il logoro sgabello su cui tante volte si era seduta e, come tante altre volte, posò il capo sul petto di nonno Michele.
Con la mano delicatamente serrata sulla sua e l’altra che le carezzava i capelli, il nonno prese a  parlare.

La voce fioca e rotta riprese di colpo l’antica vivacità e la profonda dolcezza che aveva avvolto Marta per tutta l’infanzia e, nel buio improvvisamente rassicurante che li abbracciava, le raccontò una storia.
“Devi sapere, piccola mia, che tanti tanti anni fa in un luogo lontano lontano viveva un signore ricco e gentile la cui fortuna, però, era stata accumulata, generazione dopo generazione sul sangue e la fatica della povera gente. Tale era la sua sensibilità e la sua onestà che, vergognandosi dell’origine della sua ricchezza, aveva cominciato a utilizzare  una  larga parte dei suoi beni per ripagare chiunque in passato avesse sofferto per dell’avidità della sua famiglia.
Si dava da fare in mille modi: organizzava opere di beneficenza e si occupava di casi pietosi, ma nulla sembrava sufficiente a tacitare la sua coscienza.
Tentò di impegnarsi maggiormente, raddoppiando quasi con rabbia i suoi sforzi e spendendo ancor di più, invano! Quel vuoto che sentiva non lo abbandonava e non lo abbandonò nemmeno quando, speso fino all’ultimo centesimo, restò solo e inappagato.

Una sera al tramonto vide un bambino che piangeva a pochi passi da lui e si frugò in tasca per trovare qualche spicciolo per comprargli un regalo. La mano non trovò altro che qualche briciola di pane e la percezione della sua totale miseria lo attraversò dolorosamente, come anche la scoperta di non poter fare nulla per consolare quel pianto.


L’angoscia mai spenta lo prese di nuovo, ma questa volta, lui si fermò a pensare. “Ci dev’essere un altro modo!” si disse.
Si avvicinò al bimbo, lo prese sulle sue ginocchia, lo abbracciò e se lo strinse forte. Gli cantò una vecchia canzone e il bimbo smise di piangere e si strinse a lui.
“Vedi Marta” disse il nonno, “quell’uomo aveva passato l’intera vita a pianificare la sua bontà ma non l’aveva mai esercitata in proprio. Dio ci ha donato l’intelligenza perché noi ne facciamo buon uso, ma ci ha anche donato un cuore per arrivare dove la ragione non sa e non può arrivare. A volte bisogna abbandonare la ragione e percorrere sentieri diversi, a volte bisogna che il cuore ci prenda per mano e ci guidi. Il cuore però ha una voce leggera: se non si ascolta attentamente e in assoluto silenzio la sua voce è coperta del rombo rutilante della ragione. Bisogna saper cedere e avere il coraggio di affidarsi, non resistere, non irrigidirsi per paura di quello che non si conosce e di quello che si potrebbe scoprire di noi. Tu sei una ragazza stupenda, il tuo cuore è grande e generoso; ascoltalo piccola mia”.
Marta aveva gli occhi colmi di lacrime, lacrime di gratitudine e di consapevolezza, lacrime calde e consolatorie, lacrime che scioglievano un nodo doloroso in fondo al suo cuore.
Aveva capito che non doveva far altro che quello che sentiva, che non c’era fatica o dovere ma solo accettazione e consapevolezza.
E la gioia di quella scoperta illuminò la sua notte con una luce così abbagliante che anche il nonno ne fu partecipe.

Il nonno la strinse ancor di più a se e le disse: “Hai finalmente capito. piccola mia!”.
Lei chiuse gli occhi della mente e aprì le porte, solo socchiuse, del suo immenso cuore e realmente sentì. Arrivò leggero, quasi impercettibile. Dapprima non riuscì a comprenderne la natura e nemmeno l'origine, ma poco alla volta il profumo invase le sue narici, le riempì la mente, le esplose nel cuore e, con l'anima che danzava, lo riconobbe inequivocabilmente: era il profumo dell'esatta sfumatura d'azzurro acquamarina degli occhi di nonno Michele.

 
 
 
 

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