Creato da Frammenti_dellEssere il 05/06/2011

Caos ed Essere

Un viaggio, sette emozioni: l'essere e i suoi frammenti.

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Non si scappa da se stessi...



 

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L’abilità della labilità

 

La giostra, il manicomio, muri bianchi e poi imbrattati, tinte stinte di un funerale ilare in cui il cadavere in rigoroso livor mortis pronuncia la blasfemia del suo trapasso...full immersion nei pensieri viandanti arrendevoli ma battaglieri, apnea costante di un istante in cui il verbo cambia sembiante...riemergere dal flutto, rielaborare il lutto, essere messia e sinestesia col virtuosismo monco di chi arranca a respirare...

 

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Il possesso, la lentezza, l'infinito

Post n°5 pubblicato il 14 Giugno 2011 da Frammenti_dellEssere

 

“Il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio.” Dice Kundera…


Sarà per questo motivo che paralizzo il tempo nel mio eone interiore, sventrando l’animo per gustare intensamente ogni eternità. Lo stato di sospensione nel quale naufraga il mio pensiero è la condizione imprescindibile di lentezza attraverso cui la memoria rivela tutta la sua violenza. È come la frequenza di un’onda d’urto che dirada il suo flusso per prolungare il piacere di ogni singolo movimento. È dolce sentirmi respirare in questo spasmo profondo del petto che si contrae per poi espandersi come un bacino offerto all’amplesso. Il corpo suda nel ventre dell’emozione, affondando il colpo con regolare sinfonia, ritarda l’orgasmo perché nella soddisfazione si cela la morte dell’attesa. Consumo la voglia nel brivido dell’addome che sprigiona il languore di cui mi nutro, come un suono di requiem per ogni frammento di me che scivola nell’infinito…

 
 
 

Autopsia di un niente

Post n°4 pubblicato il 10 Giugno 2011 da Frammenti_dellEssere

Ho sempre provato una sorta repulsione e attrazione per la vita, una fame indistinta al confine tra il bulimico e l’anoressico che mi portava a divorare me stesso chiuso nel rumore ovattato di una gabbia a misura di pensiero della quale essere scomodo e compiacente concubino..ho sempre spiato quei fotogrammi  a sbarre al di la del mio sguardo, oltre l’incapacità delle mie autopsie, per regalarmi il sordido piacere di non essere nel contrasto con le immagini di un altrove indistinto di cui annusare l’urina madida di emozioni, mentre io, immobile col mio catetere, non mi accorgevo neanche di pisciare..l’agonia, il capogiro, l’autolesionismo di una frustrazione atavica nella quale disperdere lacrime come fossero domande senza perchè urlate al dio del vuoto solo per accorgermi dal ritorno sbiadito della loro eco che anche io esisto..probabilmente il  respiro è solamente il più dolce e subdolo degli inganni, e nella vibrazione del suo impeto  sputato nell’occhio del silenzio mi cullo come se questo nulla accondiscendente potesse donarmi l’esatta dimensione del mio essere niente. Niente, sono io, niente, sono me, niente, è un termine di cui si fa un tale abuso senza riuscire mai penetrare realmente la violenza della sua destrutturazione.. niente, un coltello che rivolta la sua lama nell’adulterio infimo che l’animo consuma col suo riflesso, amplesso sul confine delle ipotesi in frantumi, decesso per asfissia tra le ragnatele del proprio es.. niente, fagocita l’azione rendendo inerzia il tutto, e inerziale è il mio abbandono al marasma convulso che si avviluppa al midollo, leccando la leucemia astenica della mia stasi…gratto un pensiero che scivola via veloce, l’oscurità ingioiella questo istante rendendolo figlio illegittimo di una visione surreale, spengo gli occhi, perché mentre tutto intorno tace posso giocare ancora ad essere anch’io qualcosa…


 
 
 

Sotto assedio di me

Post n°3 pubblicato il 08 Giugno 2011 da Frammenti_dellEssere

Sotto assedio, tre paia di scarpe, calzini sporchi, jeans senza corpo, e un corpo senza anima che respira l’inerzia di un tempo senza dimensione. Perduto nel disordine, epicentro del mio disordine, in cui naufrago rassegnato alla ridondanza astenica e priva di spigoli ai quali aggrapparmi per riemergere da un’apnea trans-onirica che mi ingoia nella sua bulina capovolta verso l’infimo più osceno  dell’ossessione. Spompino con cautela l’ultima sigaretta per lenire, oltre le possibilità intrinseche di quel limitato braccio di tabacco, l’ansia, conficcata tra costole e polmoni con la maestria chirurgica di un necromante monco. Vorrei fottere i pensieri, prima che siano loro a fottere me, carne sacrificale di un’orgia impalpabile che si consuma sulle scissure cerebrali, nutrendosi delle scosse incostanti nell’attimo in cui l’ictus propaga l’emozione, intensa e satura della sua stessa violenza. Oscillo tra i “vorrei” e gli “avrei potuto”, si illuminano ad oltranza come spettri che pisciano la propria inconsistenza sulla mia sconfitta. Inciampo, però, sui limiti dell’inevitabilità che si maschera del mio volto per lasciarmi specchiare tra le rughe degli inganni con i quali ho tentato di celare a me stesso l’ospite che mi spappola il petto con gli impulsi di una radice malata alla quale - come siamesi - siamo entrambi indistricabilmente aggrovigliati. L’orchidea, il profumo, la rabbia, il desiderio, il pistillo clitorideo sul quale lecco l’odore della paura, controversa e contraddittoria nella sua spinta verso direzioni contrapposte..e mi squarto nello scontro dicotomico delle ipotesi, oltraggiando ancora le lapidi poste a nascondere cicatrici mai sanate tra le quali avanzo per suturarne almeno i punti più slabbrati…ma mi ritrovo lurido, ancora una volta sporco di me stesso, tra ricordi che gemono ed occhi che non sanno più di niente…


 
 
 

Sinossi dei frammenti

Post n°1 pubblicato il 05 Giugno 2011 da Frammenti_dellEssere

Ring composition nel nome del caos. Building roman inverso che percorre l’involuzione, la degenerazione dell’essere verso le intimità più nascoste, quelle inconsce, che lavorano in silenzio piantando i semi delle proprie fragilità in ogni comportamento, concimando il manto umorale, fino a vederne straripare i frutti nell’attimo repentino in cui la deformità dell’alter ego si rivela. La prefazione indica la lotta impari contro le necessità della vita, che lusinga, con le sue vane speranze, l’impossibilità di combattere, mortificando poi ogni impeto e frantumando l’emozione in un caleidoscopio confuso nel quale si alternano i lampi di ogni sensazione che si staglia sul chiaroscuro della voluttà: i frammenti dell’essere, cocci deformi di un puzzle incompleto in cui l’identità si perde, naufraga tra gli abissi dell’anima.  

L’amore solca la linea di inizio di una poesia nella cui delicata inconsapevolezza già cominciano a lavorare i ragni cerebrali, che, nell’istante stesso in cui il piacere esplode sulla pelle, preparano le impronte da percorrere, fino a raggiungere il burrone dei propri vuoti. Scivola la passione lungo gli istmi imperfetti del desiderio. La schiavitù incatena il pensiero sul brivido che languido si infrange lungo le linee di un profilo posto sull’altare di un tempio interiore nel quale consumare la devozione, sporca di una veemenza viscerale che implode di continuo nel punto in cui convogliano tutte le fantasie più ardite. Brucia la fiamma sciogliendo la cera, che come pianto scorre lungo lo stelo della malinconia. L’assenza rende densa l’aria di una presenza invisibile che si avverte palpabile in ogni respiro. Un urlo di fiato che colpisce l’aria, condensando le immagini che scorrono in sequenza, come diapositive sbiadite da un tempo interiore paralizzato nell’eone di un’era emotiva marchiata in filigrana sulle crepe di ogni rimbombo sordo del cuore.

Il baratro ingoia l’essere, come uno specchio multidimensionale nel quale riflessa c’è la rappresentazione dei propri demoni. La disperazione li nutre, amplificandone la risonanza che, in climax ascendente, comincia ad impossessarsi di ogni pensiero, disegnando la prigione in cui ansimare la claustrofobia di una cattività della quale si è vittime e carnefici. Non esiste chiave per dischiudere le sbarre della galera dell’io. E nella cella delle proprie domande, al cospetto di spettri che stridono come graffi sulle pareti, sordida si insinua la rabbia. Violenza ferina di un’orgia con se stessi. Vomita anatemi, danzando al ritmo incessante di tutte le masturbazioni cerebrali che avide succhiano la ragione, occludendone il regolare scorrere. L’autismo è il ventre nel quale isolarsi, rinchiusi in una realtà parallela della quale l’ossessione è madre e puttana. Stasi apparente di un’apocalisse interiore che fiorisce veleno su ogni cicatrice atavica. La catabasi è un limbo nel quale geme la persecuzione delle proprie elucubrazioni. Ansima il mostro sulla nuca di ogni flash ridondante, paralisi di angosce leccate sulla tagliente lama di un mistero che all’improvviso si rivela nella sua crudele ineluttabilità. In ginocchio sulla soglia di un manicomio intimo, l’ossessione avanza, impugnando la camicia di forza con la quale legare la coscienza. Labile gusto di un’astenia recisa. La pazzia si scioglie tra cuore e reni, diramando  le metastasi di una possessione irreversibile. Io, superio, conscio, inconscio, alter ego, l’ibrido sperimenta la fusione, abbandonandosi ancora ai dettami del caos, padre invocato nel nome dell’insostenibilità di sé. La chiave spalanca le porte dell’esistere, nello scontro ripetuto e costante con le proprie fragilità, e nell’altrettanto ripetuto e costante impatto con la roulette truccata della vita. Non si scappa da se stessi, una lettera scarlatta  che viola l’identità, definendola.

Esegesi esoterica il numero, che involucra i frammenti in un dogma trascendentale del quale l’essere è la sintesi. Ciascuna emozione si rafforza di un significato evocativo che ne sublima il senso, nella lotta di un microcosmo antropomorfo costantemente in bilico sulla soglia dicotomica che sfonda  le divergenze comportamentali, fino ad appiattire la percezione verso un unico punto indefinito sul quale tendere lo spasmo di una liberazione che solo tra le braccia della non-vita può  avvenire.

 

L'autolesionismo è un piacere che non potrei permettermi...

 

 
Tra le cosce dei pensieri

ho leccato l'emozione,

involucro la pelle

nel sudore di quest'istante

in cui l'amplesso con la notte

gemita parole...

 
 
 

Ingoio la notte

Nella sua prospettiva dissonante

Placo la sete

Sotto le palpebre

Socchiuse

In quell’istmo inconsistente

Che tremula il desiderio

Di respirare luce..

Il fiato divarica le cosce

Sul bivio dell’insinuazione

Gocciola malinconia

Sull’altare profanato della luna



 

La purezza apre le cosce agli insulti della frustrazione, scabrosa la copula con i limiti dell’insoddisfazione in cui ritrovarsi immacolata e puttana, col ventre gravido di speranze consumate.

 

 

 

Barcollo

Estraneo ai miei stessi passi

Instabili

Come pensieri

In equilibrio

Sulla traccia del tuo abbandono

Annuso

La pelle dell’assenza

Tenera

Come la placenta

Di una patologia in travaglio

Che geme il respiro

Del suo incostante ritorno

Sbalordito

Il nonsenso

Naufraga ancora

Tra le vertigini delicate

Della memoria

 

 

Sull'incanto delle sue grazie scivola il piacere di un'euforia languida che taglia il silenzio col suono della sua pelle...dolce è la caduta nell'immagine di un profilo che diventa lare e venerazione...

 
 
 

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