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« SESTA ED ULTIMA PARTE......

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 07 Gennaio 2008 da free_internet_micso
 
Foto di free_internet_micso

Il 23 gennaio 2001 la Corte di cassazione ha reso definitiva la condanna per il generale dei carabinieri Francesco Delfino: tre anni e quattro mesi di reclusione, per truffa aggravata. Secondo la sentenza, Delfino avrebbe approfittato del rapimento del suo amico Giuseppe Soffiantini, per truffare alla famiglia 800 milioni, in cambio della promessa di far liberare il sequestrato. Ma Delfino ha una lunga storia nera alle spalle. Eccola.

PARTE PRIMA

Campioni d’Italia

Francesco Delfino


1. La leggenda sull’eroico capitano

Quante leggende, attorno all’«ufficiale più decorato dei Carabinieri», oggi condannato in via definitiva per aver estorto quasi un miliardo alla famiglia Soffiantini. Ma anche quante imprecisioni, ambiguità, bugie, diffuse grazie a un’ottima capacità di tessere rapporti con la stampa. Delfino è abilissimo a costruire il proprio personaggio, a nutrire il mito. Sparge informazioni che lo accreditano come l’uomo che ha arrestato Curcio nel 1976, anche se non è vero. Non ha mai lavorato all’antiterrorismo insieme al generale Carlo Alberto dalla Chiesa, malgrado lo abbia lasciato credere. Non ha avuto un ruolo determinante nell’arresto di Riina, benché se lo sia attribuito.

Le imprecisioni e le bugie iniziano fin dalla fondazione della sua leggenda: lo scrittore Corrado Alvaro avrebbe «cantato le gesta di Massaru Peppi», al secolo Giuseppe Delfino, brigadiere dei Carabinieri e padre del generale. Ma Alvaro, in Gente in Aspromonte, Massaru Peppi non lo nomina proprio. In un racconto di Alvaro, Il canto di Cosima, compare sì un carabiniere, chiamato «il Delfino», ma trattato non proprio con deferenza: «Ma sì, il Delfino serviva la legge; altrimenti, così malizioso, sarebbe stato un ladro che non lo avrebbe acchiappato nessuno».

Quasi una profezia. Semmai è il fratello del generale, Antonio Delfino, insegnante, preside e giornalista, a creare, insieme, il mito del padre (Massaru Peppi lo sbirro) e del suo antagonista (Nirta il pecoraio): nel libro Gente di Calabria celebra l’epopea di un carabiniere in lotta contro una criminalità contadina dedita ai furti di capre e pecore, ben diversa dalla ’Ndrangheta organizzata, cresciuta nel secondo dopoguerra. Oggi, dopo che «il Delfino» è stato «acchiappato», qualcuno ha scritto che l’arresto di un generale dei Carabinieri è un cattivo segnale per il Paese.

Ma perfino dentro l’Arma ora qualcuno ha il coraggio di dire che il cattivo segnale è un altro, è che certi personaggi in questo Paese abbiano potuto diventare generali, è che quel generale non sia stato fermato prima. La storia di Delfino è la storia degli incubi della Repubblica. La sua carriera ha attraversato tutti i grumi oscuri del paese, dall’eversione nera alle stragi, dal terrorismo rosso alla mafia siciliana, dai sequestri di persona della ’Ndrangheta calabrese fino a quelli dell’Anonima sarda. Fino all’arresto e alla condanna per il sequestro Soffiantini, occasione per mettere in fila tanti capitoli che formano, insieme, la vita di un uomo spregiudicato e la storia di un paese a legalità limitata.
CONTINUA.........

 
 
 
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