Creato da: fulvia1953 il 14/11/2011
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"Un  eremo non è un guscio di lumaca"  di Adriana Zarri

Con i suoi giorni brevi e le notti lunghissime, l'inverno è un abisso di luce e di buio; col suo silenzio è una stagione di ascolto, di attesa, di incontro: un incontro piu' intimo e segreto di quanto non sia dato in altre stagioni dell'anno: un incontro che ha sapore di casa, di madia, di stufe accese e di polenta. Bisogna per forza guardare dentro perchè di fuori non c'è nulla: solo stupende sfumature di grigio: dal piombo al perla, al luminescente al quasi bianco; e, se la nebbia si dirada, emergono le  braccia nude degli alberi, protese al cielo, inutilmente, come preghiere inascoltate. L'esaudimento, il calore, l'amore, si rifugia all'interno delle case; con le lampade accese, le tinte vive per contrastare gli smorti colori della terra. Ridimensiono la casa:Per risparmiare carburante mi rifugio in una sola stanza, a mezzogiorno. Tutto è piu' piccolo e raccolto. E dalla finestra guardo cadere le foglie, guardo scrosciare la pioggia, guardo salire la nebbia.

 

 

 

 
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Ricordi della mia città

Post n°6 pubblicato il 15 Novembre 2011 da fulvia1953

  Una domenica pomeriggio, le strade silenziose, è ancora presto ed io mi ritrovo ancora una volta per il Corso. Tutti i miei giri finiscono sempre qui, perchè sono i ricordi a guidare i miei passi ed in questo silenzio prendono vita...si anima la pescheria davanti a me.  Era un po' malridotta ai miei tempi, non mi sembra nemmeno che ci fossero le due vasche che ora sono all'entrata, ma tutti quei vecchi pescatori seduti lì davanti me li ricordo bene, perchè il mio cuore di bambina batteva sempre un po' piu' forte quando riconoscevo fra loro mio nonno.  Si assomigliavano un po' tutti, con quel basco sulla testa e mezzo sigaro in bocca e parlavano e si animavano chiusi nel loro mondo fatto di parole a me sconosciute, termini che solo loro sapevano e dove ognuno era conosciuto con un nomignolo che, gli piacesse o no, lo marchiava.  Ma tutta la pescheria era un vociare, urlare,chiamare, quello che a me colpiva era l'odore forte del pesce, forse per questo quegli anziani non se ne andavano da lì, per loro era come tornare a casa, sul mare.  Per non parlare poi dell'acqua che scorreva abbondante sul pavimento-erano le fontanelle aperte di chi puliva il pesce- fatto sta che uscendo dalla pescheria ci si ritrovava sempre le scarpe bagnate.  Dalla tabaccheria di fronte dove mio nonno mi mandava a prendere i suoi mezzi toscani, guardo con gli occhi di bambina quel gruppetto di anziani pescatori, cerco mio nonno, il ricordo mi va ad una scatola che lui nascondeva come fosse un tesoro e che io ogni volta ritrovavo; c'erano dentro tanti fili di naylon avvolti intorno a pezzi di sughero, ogni filo terminava con diversi ami, alcuni avevano addirittura quattro punte che entravano così facilmente nei polpastrelli delle dita che lì per lì nemmeno mi accorgevo.  A volte il nonno si sedeva nel piccolo terrazzo della cucina, tirava fuori dalla tasca il suo inseparabile coltello a serramanico e si metteva a sfrondare dei piccoli rami di "tamarigi".  Erano movimenti lenti, pazienti, piano piano il ramo era spogliato di tutto anche della fine corteccia che lo rivestiva, poi cominciava a fargli la punta...ecco, erano pronti gli spiedini, bastava solo infilare quelle tenere seppioline ed accendere la carbonella.  Povero nonno, una mina in mare ti era scoppiata così vicino da farti rinunciare al mare per sempre, in famiglia sei stato poco compreso, ma io solo nell'osservarti ho capito ed imparato tanto, io insieme a te vedevo le vele che si gonfiavano e le barche che lasciavano il porto verso il mare aperto: era avventura, curiosità della scoperta, voleva dire lasciarsi portare lontano da un sogno, avere sempre il cuore aperto a nuove scoperte. 

venerdi, 10 dicembre 2010

 
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