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Post n°37 pubblicato il 30 Ottobre 2005 da salbarbio
Ero contento, stavo bene. Avevo un bel gruppo di colleghi che coordinavo. Giovani ma con la voglia di imparare e molto in gamba (oggi uno è vicedirettore e un’altra caporedattore di due ottimi giornali). Dopo i primi mesi di rodaggio dei meccanismi redazionali, le cose cominciavano a filare, stavamo facendo un discreto prodotto, le vendite andavano benino, il direttore e l’editore erano contenti di noi. Morale: potevo andare in ferie una decina di giorni, dopo mesi fatti di 12 ore di lavoro al giorno, spesso senza riposo settimanale. Avvisai il direttore, lui mi disse di stare tranquillo che avrebbe mandato un sostituto all’altezza. Così partii senza remore. Ero tranquillo perché in redazione restò una collega, diciamo così, a me molto fedele. Il collega che doveva sostituirmi arrivò puntualmente il giorno dopo che ero partito. Prese in mano la redazione e per un paio di giorni filò tutto liscio. Ma dopo aver conosciuto meglio i colleghi, cominciò a fare strani discorsi. Come antefatto bisogna sottolineare che lui era più alto in grado di me: io ero un caposervizio, lui un caporedattore. Ma il giornale che aveva coordinato fino a pochi mesi prima aveva chiuso: la piazza gli era stata sfavorevole. Così era a spasso, inutilizzato come tanti colleghi in altrettanti giornali. Accettò di buon grado le due settimane di sostituzione-ferie: ma solo perché aveva in mente un piano diabolico. Dopo qualche giorno che era arrivato, iniziò a parlare di cambiamenti, di possibilità di diventare più forti, più organizzati, meglio strutturati. Man mano che passavano i giorni, i suoi veri propositi prendevano sempre più forma. “Sapete, anche il direttore è con me: io farò per così dire da ammiraglio, mentre il vostro capo resterà il capitano della nave. Saremo una squadra fortissima!”. Insomma, voleva fregarmi il bastone del comando. Voleva insediarsi al mio posto e coordinare la redazione, magari facendomi sgobbare mentre lui stava a guardare e si prendeva il merito dei buoni risultati. Per fortuna, come detto, avevo una collega molto fedele, che mi informava giornalmente delle novità sul nuovo arrivato. Quando mi fu chiaro il quadro mi recai dal direttore e, infuriato come una bestia, lo apostrofai di tradimento: “Ma come, vado in ferie due settimane, e ti mi invii uno che vuole prendere il mio posto, senza dirmi nulla?” Il direttore cadde dalle nuvole e mi garantì che avrebbe preso provvedimenti. “O io o lui! Quando torno non voglio neanche vederlo: potrei anche menarlo!!!”, minacciai incazzatissimo. Il dir mi rassicurò che non avevo nulla da temere, ma io mi coprii le spalle con una telefonata all’editore: “Ragioniere (lo chiamavamo così), ma lo sa che c’è uno che vuole fregarmi il posto? Non si fanno queste cose…A meno che lei non abbia perso la fiducia in me”. Ma per fortuna non l’aveva persa, avevamo un buon rapporto. E anche lui mi rassicurò: “Nessuno ti monterà sulla testa. Torna pure al tuo lavoro”. E così andò. Tornato in sede, seppi che il tipo non si faceva vedere da due giorni, dopo aver salutato frettolosamente i colleghi, alcuni dei quali stavano per passare dalla sua parte (il giornalista che vuole fare carriera sceglie quasi sempre di stare dalla parte dei suoi nuovi capi, chissà perché…). Mi ripresi quello che mi era stato dato grazie al sudore del mio lavoro. Ma i rapporti interni alla redazione erano ormai irrimediabilmente compromessi. E dopo un paio d’anni le nostre strade si separarono definitivamente. Ma non porto rancore per nessuno di loro: mi hanno tutti insegnato qualcosa. Soprattutto a non stare mai troppo tranquilli, anche quando le cose vanno nel migliore dei modi. Può sempre arrivare uno stronzo o una stronza a rovinare tutto. |
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