« abitano il pianeta da mi...

Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 30 Novembre 2008 da kenjo2008
 

La lunghezza media è scesa da sette a cinque metri in un decennio ed è a rischio la loro capacità di riprodursi
DARWIN (AUSTRALIA) – Lo squalo-balena è una specie da primato: è uno degli animali più longevi del pianeta (alcuni esemplari possono raggiungere i 150 anni di vita), e soprattutto è il pesce più lungo del mondo, potendo raggiungere anche i 18 metri (e ben 34 tonnellate di peso). Eppure, proprio dal punto di vista delle dimensioni alcuni ricercatori australiani lanciano l’allarme: gli squali-balena dell’isola-continente starebbero diventando «più piccoli».



IL SOGNO DI OGNI SUB – Lo squalo-balena è un animale assolutamente innocuo (si nutre di plancton e piccoli pesci, ingerendoli con una grande bocca e trattenendoli attraverso filtri posti nelle branchie), e persino placido. I suoi avvistamenti sono rari, ma ogni sub sogna di incontrarne uno nella vita: ci si può tranquillamente avvicinare al «bestione», lo si può toccare, se ne possono seguire per un tratto i lenti movimenti. E’ un animale diffuso in tutti i mari caldi e temperati del mondo, dal Mediterraneo ai Caraibi, dalla California all’Australia, e, seppure non è facile avvistarne qualcuno (tra l’altro si tratta di animali solitari), in alcune aree è in grado di alimentare un’industria turistica specializzata. In Australia, per esempio, è uno di quegli squali che non creano grattacapi ai bagnanti: nella Riserva Marina di Ningaloo (nel nord-ovest del Paese) fioriscono compagnie «ecoturistiche» che garantiscono un «bagno» con questi giganti del mare. I loro gestori registrano le dimensioni di ogni esemplare avvistato e le comunicano all’Istituto di Scienze Marine Australiane (Aims), che può così tenere sotto controllo una specie di cui non si sa molto.

LA DENUNCIA – Proprio analizzando i dati forniti dalle compagnie «ecoturistiche» è emerso un dato che può sembrare solo una curiosità statistica, ma tale non è. Negli ultimi dieci anni, denuncia l’Aims, la taglia media degli squali-balena si è ridotta da sette a cinque metri. «Ora, se si considera che questi squali non sono in grado di riprodursi fino a che raggiungono i sette metri, si tratta di un segnale molto preoccupante», ha commentato il prof. Mark Meekan dell’Aims. In sostanza, visto che si ritiene che tali animali raggiungano i sette metri di lunghezza (e la maturità sessuale) all’età di trent’anni, la popolazione di squali-balena australiani starebbe «ringiovanendo», e nelle acque dell’isola starebbero scomparendo gli esemplari più anziani, cioè quelli in grado di riprodursi. «Il declino della taglia media – spiega Meekan – potrebbe essere dovuto alla consistente cattura degli esemplari più grandi».

LA PESCA INDISCRIMINATA – Lo squalo-balena sarebbe insomma vittima di una massiccia attività peschereccia, cosa che accade anche ai suoi «cugini» più piccoli. Per la cucina di molti Paesi orientali (Cina e Taiwan su tutti) la carne di tale animale, sia cotta che cruda, è una prelibatezza, e l’olio del suo fegato è usato a livello industriale e nella medicina tradizionale. La specie non è classificata come «in pericolo di estinzione», ma come «vulnerabile». Per questo, la sua pesca non è proibita; il massimo che si fa per proteggere lo squalo-balena a livello mondiale è vietare il commercio internazionale delle sue carni («Convenzione di Bonn»).

LA SOLUZIONE – Il prof. Meekan propone una soluzione per porre fine alla caccia indiscriminata del gigantesco animale. «Molti pescatori di questa specie sono abitanti di piccoli villaggi senza alternative lavorative. Se scopriamo chi sono, possiamo dare loro un’altra opzione, e per giunta molto lucrativa; il turismo legato allo squalo-balena nell’Area Marina di Ningaloo genera un flusso di 70 milioni di dollari australiani (circa 60 milioni di euro) all’anno, abbastanza per sostentare un’intera cittadina». Qualcosa in più per salvare lo squalo balena potrà essere fatto anche approfondendo gli studi sulle rotte e le abitudini di questo animale, di cui fino a pochi anni fa (quando si iniziò a monitorare rigorosamente alcuni esemplari) non si sapeva quasi nulla. Dal 2005, inoltre, è possibile osservare i primi esemplari di questa specie in cattività, presso gli acquari di Okinawa (Giappone) e Atlanta (Usa).

 
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