-articolo di Stefano Benzi-
Si sono svolti questa mattina a Genova i funerali di Franco Rotella, indimenticata ala destra del Genoa di Franco Scoglio, scomparso lunedì scorso. Questo è il ricordo che il direttore della testata giornalistica Eurosport ha voluto dedicare a un caro amico, e a un grande uomo.
Da tempo sapevo che prima o poi avrei dovuto trovare il coraggio di scrivere queste righe. E ora che devo proprio farlo, e non posso rimandare oltre, mi trovo senza parole: sgomento.
Ho conosciuto Franco Rotella come calciatore, ma l'ho amato soprattutto come uomo, frequentando con lui uno studio televisivo e dividendo la nostra stessa passione, il calcio, in tante trasmissioni. Tv locale: niente di urlato, nessuno schieramento, come piaceva a noi. Si parlava di tutto con il sorriso, e con ironia. Alla gente piaceva: "si vede che siete amici" ci dicevano quando scendevamo in via Venti a prendere il caffè.
Era una persona speciale, riservata, umile ed estremamente umana e generosa. Aveva un modo tutto suo di esprimersi, ed era difficile strappargli in onda quelle risate e quelle battute che erano tipiche quando si chiacchierava a cena o fuori dalla diretta. Franco ripeteva spesso un tormentone, una sorta di mantra che pronunciava con tono monocorde strascicando le vocali: "Fai come vuoi", diceva sempre. Come dire, anche se sbagli, e io lo so che stai sbagliando, sono qui e ti sto vicino: non me ne vado.
Era un buon amico, Franco: uno dei migliori che abbia mai avuto. Mi è stato vicino quando ne ho avuto bisogno e avrei voluto stargli vicino io un centesimo di quanto lo aveva fatto lui con me: e quando sapevo di essere solo, un messaggino, una chiamata, un invito, mi ricordavano che solo non ero. Le ultime settimane, quando lo vedevo sofferente e consapevole della sua sofferenza, sono state le più difficili: ma anche quelle in cui l'ho sentito ancora più vicino. E vederlo ridere un'ultima volta alle mie battute mi ha sollevato, almeno per un attimo. Gli raccontavo le mie inutili sfighe, e lui rideva, facendo finta di non pensare alle sue, senza mai farle pesare.
Non ha avuto fortuna nel campo di calcio: bravo, elegantissimo, un talento infinito e una serie altrettanta infinita di infortuni gli avevano negato quella carriera che avrebbe meritato. Ero innamorato del suo ruolo e di come lui lo interpretava: credo sia per colpa sua che quel numero, il 7, e quella generazione di giocatori atipici (Van't Schip, Overmars, Savio, Denilson) mi è entrata nel cuore. Ora giocatori così non li fanno più: l'ala, in particolare quella destra, quella che calpesta la riga bianca e non ti fa vedere la palla, ti dà la giostra e arriva sempre al cross dandoti la sensazione che, senza cattiveria, voglia anche prendere un po' per il culo il terzino che gli sta davanti.
Franco in questo era un fenomeno: avrebbe meritato dal calcio molto, molto più di quello che il calcio gli ha dato. E quando aveva deciso di lasciare i professionisti, dopo l'ennesimo infortunio, eravamo stati noi a dirgli "fai come vuoi". Voleva pensare a sua moglie, a suo figlio e ai ragazzini della scuola calcio che avrebbe voluto formare con la sua stessa dedizione, la sua educazione, il suo senso del rispetto per le regole, il gioco e l'avversario. Magari insegnandogli a divertirsi prima ancora che a giocare. Agli Emiliani sono in tanti a rimpiangerlo: in un mondo di liti che cominciano troppo presto con allenatori che si arrogano il ruolo di scopritore o di stratega di campo prima di quello di educatori, schiacciati tra giocatorini incompresi e genitori incomprensibili, uno come Franco era merce rara. Ti insegnava la vita prima che il calcio.
Ho dozzine di aneddoti su di lui, A Bergamo quando giocò nell'Atalanta uno dei suoi passatempi preferiti era saltare in allenamento l'amico Montero. Che non la prendeva benissimo: anche se i due si volevano bene. Quando il difensore andò nella Juve le loro strade si incrociarono ancora: Franco giocava nell'Imperia che disputò un'amichevole con i bianconeri: Montero gli avrebbe sparato perché la palla non la vide mai. Uscirono abbracciati e si capì che Franco il calcio lo aveva lasciato davvero troppo presto. Ma d'altronde... "Fai come vuoi..."
Guardo suo figlio Simone, così simile a lui: l'ho visto giocare una volta sola. Ha la maglia rossoblu anche lui, la 7 ovviamente. E gioca a destra in un ruolo che ormai gli allenatori non usano più. Nasconde la palla, e va via: veloce. Come suo papà si fa male sul più bello. Ma se c'è una giustizia caro Simone, avrai la fortuna che meriti: la caviglia andrà a posto e tu diventerai un buon calciatore, capace di divertirsi e soprattutto di divertire. Non ho dubbi invece che diventerai uno splendido ragazzo, educato, responsabile e maturo: hai avuto un papà meraviglioso e hai una mamma altrettanto meravigliosa e molto forte.
Franco era una persona straordinariamente divertente: imitava come nessuno Franco Scoglio, che burbero com'era gli voleva bene come lo si vuole a un figlio un po' geniale e un po' ribelle. A causa sua il prof inventò quella catena di destra che con Rotella era un pugnale: perché se era in giornata quel 7 era imprendibile. In allenamento saltava i compagni come birilli: "Rotella, che minchia mi fai, così mi fai sbiellare l'allenamento e la squadra"... Lo riprendeva il prof interrompendo la partitella. Avranno modo di discutere ancora.
Farti ridere in trasmissione era una sfida che mi divertiva. Io non sembravo un giornalista, e tu non sembravi un ex calciatore. Forse è per questo che siamo diventati così amici. C'era bisogno di un'ala nel terzo anello della Nord. Ma io avrei ancora bisogno di quell'amico che mi manca già così tanto, tanto da stare male.
Fai come vuoi Franco, fai come vuoi.
Io non ti dimenticherò mai. E non è questione di volerlo fare o meno. Dimenticare un amico come te sarà impossibile. Per me, per chiunque ti abbia conosciuto davvero.
Stai sereno.
-Stefano Benzi- |