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PRIMA PARTE

Post n°31 pubblicato il 04 Luglio 2007 da riccardogirotto
 
Tag: focus

MAXI SANZIONE: LA PRASSI NON CHIARISCE LA COMPETENZA

La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n°35 del 30/05/2007, recepisce puntualmente la nota part. n. 30494 dell’8 marzo 2007 dell’Avvocatura generale dello Stato (cs. 40697/06) riguardo la competenza sull’irrogazione della cosiddetta maxi sanzione.

Il confronto tra questa e la tempestiva Lettera Circolare del 1 giugno 2007, prot. n. 6980 del Min. del Lavoro, offre due interpretazioni contrastanti.

La sanzione è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 3 del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, convertito dalla Legge 23 aprile 2002, n. 73 poi modificata dal D.L. 223/2006 (Bersani-Visco) e in particolare dall’art. 36 bis inserito nello stesso dalla successiva Legge di conversione 248/2006, comma 7 lettera a) e b).

Le interpretazioni che andremo ad analizzare di seguito, esprimono diversi principi riferiti al medesimo problema, non più rinviabile da parte delle amministrazioni interessate, dell’irrogazione della menzionata sanzione nel periodo transitorio che va dal 12 agosto 2006 ad oggi.

Riguardo a tale periodo infatti non è stato ancora individuato un chiaro modus operandi, di conseguenza si è configurata una sorte di congelamento delle constatazioni (1) in possesso dell’amministrazione finanziaria.

Da notare come la situazione di interregno in cui vive questo profilo di sanzionabilità, stia portando un sicuro giovamento alle aziende indiziate ad essere assoggettate a tali provvedimenti, le quali vedono configurarsi i profili della prescrizione, non avendo perciò nessun interesse a sollevare il problema.

Ciò posto, neanche il Ministero del Lavoro si è mai espresso su tale disputa, se non nel momento in cui la stessa Agenzia delle Entrate, su input dell’ Avvocatura generale dello Stato ne ha demandato la nuova competenza.

LA MAXI SANZIONE ISTITUZIONE ED EVOLUZIONE

La maxi sanzione sul lavoro nero è stata introdotta, come posto in premessa, dall’art. 3 comma 3 del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, convertito dalla Legge 23 aprile 2002, n. 73 poi modificata dal D.L. 223/2006.

 

A dire il vero già al momento dell’entrata in vigore della stessa, la dottrina maggioritaria aveva espresso notevoli dubbi sulla competenza dell’Agenzia delle Entrate in materia di lavoro nero, argomento da sempre oggetto di trattazione lavoristica e solitamente sanzionato dagli organi territoriali del Ministero del Lavoro.

Elemento di particolare importanza inoltre, considerata l’imputazione della suddetta competenza agli uffici delle entrate, risulta essere la conseguenza che le sanzioni una volta irrogate dovessero seguire l’ordinario iter del processo tributario.

Tale iter, tuttora in vigore per le constatazioni anteriori al 12 agosto 2006, prevede la proposizione dell’eventuale ricorso presso le commissioni tributarie provinciali ed eventuale appello presso le commissioni tributarie regionali, tribunali non certo consoni a giudicare in materia di lavoro.

Il processo del lavoro infatti segue un iter di tipo totalmente diverso, prova ne è che proprio le modalità operative del processo tributario hanno evidenziato i maggiori ostacoli al funzionamento della disposizione legislativa previgente.

A completamento della questione della competenza, pare opportuno però ricordare che le Sezioni Unite Civili della Cassazione dopo un iter processuale articolato, con l’ordinanza 10 febbraio 2006, n. 2888 hanno sancito definitivamente la giurisdizione del giudice tributario relativamente alla sanzione in questione.

Resta il fatto che le sporadiche e sommarie applicazioni di tale procedimento, hanno presentato non pochi problemi a partire dagli interventi atti ad innescare tali azioni.

Appare utile sottolineare infatti che, nonostante la Legge 73/2002 prevedesse e preveda quali deputati alla rilevazione delle situazioni irregolari “…tutti gli organi preposti ai controlli in materia fiscale, contributiva e del lavoro…”, il principale braccio operativo dell’Agenzia delle Entrate risulta essere la Guardia di finanza, la quale solo marginalmente è competente in materia di lavoro, prevalendo nel suo operato la verifica di ben’altri aspetti aziendali.

Tale questione infatti ha prodotto sanzioni chiaramente contestabili e prive di fondamento giuridico.

 

A conferma di ciò un esempio di applicazione errata di tale sanzione da parte dell’Agenzia delle Entrate sono le maxi sanzioni applicate, in più riprese, ad aziende che occupavano irregolarmente lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno.

Queste situazioni infatti innescano il particolare istituto giuridico dell’ illecito amministrativo impossibile (2), spogliando quindi la maxi sanzione di qualsivoglia efficacia.

La particolarità di aver delegato a tale organo il procedimento sanzionatorio, è da ricercare presumibilmente nella coerenza tra l’amministrazione destinataria delle richieste di emersione dal lavoro nero e quella che poi avrebbe dovuto seguire ed eventualmente sanzionare il procedimento.

Tale norma sappiamo infatti non aver attenuto i risultati sperati, ad avviso di chi scrive le difficoltà riscontrate sono da addebitare alla complessità della procedura di emersione disposta a suo tempo, complessità che si è di fatto riflessa anche nell’applicazione dell’apparato sanzionatorio.

Pare quindi evidente che la scelta non felice di attribuire la competenza all’organo finanziario non abbia portato i risultati sperati, tanto che con la previsione successiva proprio il fattore della competenza risulta essere stato chiarito e modificato.

Il D.L. 223/2006 e in particolare dall’art. 36 bis inserito nello stesso dalla Legge di conversione 248/2006, comma 7 lettera a) e b) infatti, apporta due tipologie di variazioni essenziali alla normativa sulla maxi sanzione.

La prima di queste riguarda i metodi di calcolo e quindi l’ammontare della stessa. In principio infatti la Maxisanzione risultava pari ad una cifra che si aggirava dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali.

La nuova disposizione, invece, prevede una revisione dei criteri di calcolo che non si riferisce al costo del lavoro, bensì ad una somma fissa che si aggira da un minimo di € 1500,00 ad un massimo di € 12000,00 per ogni lavoratore non risultante da documentazione alcuna. A tale cifra, inoltre, è prevista la maggiorazione di € 150,00 per ogni giornata di effettivo impiego a partire dall’inizio dell’anno.

La seconda variazione rilevante, oggetto specifico della presente trattazione, risulta essere il trasferimento della competenza sanzionatoria degli uffici dall’Agenzia delle Entrate alle Direzioni Provinciali del Lavoro.

Con questa novella infatti pare evidente l’intento correttivo del Legislatore, Il quale evidenzia una tacita ammissione degli errori commessi in sede di prima stesura, ipotizzando una maggiore vicinanza dell’organo ispettivo alla materia del contendere.

Chiarito il quadro delle disposizioni ante e post 12 agosto 2006, non appare comunque risolto il problema di tutte quelle verifiche constatanti comportamenti irregolari che oltre a non aver ancora prodotto sanzione alcuna, nel corso del periodo transitorio sono state considerate come sospese in attesa di indicazioni sull’operatività delle stesse.

IL RICORSO ALL’AVVOCATURA DELLO STATO

A fronte di tale problema, che con il decorrere del tempo e con l’avvicinarsi del rischio prescrizione appare di non poco conto, l’Agenzia delle Entrate, al pari delle commissioni tributarie, si è trovata comunque in possesso di atti di accesso pendenti da tempo in attesa di norme transitorie.

Peraltro alcuni di questi risultano già essere stati trattati in primo grado ed appellati, come procedere dunque relativamente a questi casi?

L’interpretazione appoggiata dall’Agenzia delle Entrate, ha innescato un massiccio trasferimento delle situazioni pendenti al nuovo organo competente.

La ratio in sé appare condivisibile soprattutto se combinata con l’evidente riconoscimento dell’organo realmente competente in materia da parte della nuova previsione legislativa, supportata dal parere espresso in merito dall’Avvocatura generale dello Stato.

In data 8 marzo 2007 infatti l’Avvocatura generale dello Stato, con la citata nota part. n. 30494, cs. 40697/06 si pronuncia dando parere favorevole al trasferimento dei procedimenti pendenti e delle constatazioni verificate in materia, assegnando al nuovo organo ispettivo l’onere di concludere gli accertamenti ed irrogare le sanzioni del caso.

Alla luce di tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha emanato una circolare esplicativa che riprende tale interpretazione, smentita prontamente dal Ministero del Lavoro con una disposizione interna che ribalta l’interpretazione dell’Agenzia rivalutando punto per punto la decisione dell’Avvocatura.

 
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