Creato da marino.giannuzzo il 08/10/2009
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Realtà
Unica e sola
la realtà vivente.
È il nostro umor che detta
gli attributi a lei
in tempi e luoghi
che al sentire nostro
il mondo adattano
e gli eventi suoi.
Il vero d’uno
non è il vero altrui
e il grande e smisurato
dell’essere formica
è il piccolo e ristretto
d’elefante.
Infinita e una
per ognun che osserva,
diverso dal vicino,
pure da se stesso,
tra un momento e un altro.
Ognun l’adatta e limita
perennemente a sé:
unica realtà
la realtà dei sogni.
Resurrezione Come l’aratro, nella terra nera, che rinnova l’aria alle radici delle dormienti piante così la fanciullezza tormentata e triste i dolci frutti dà in primavera. Tormento e pioggia di giornate grigie dànno la vita a giovani virgulti. I sudor nei solchi rinnovano la vita ad ogni chicco che ha sete di rugiada.
Ricchezza
Al possesso
dei terreni beni
è necessario
che ognun si dica:
basta.
Sono nemici
sono prigionia
quando ci hanno
in forma smoderata.
Sentimento insulso
attaccarsi ai beni.
Non aver paura
che te li portin via.
Colui che è saggio
distribuisce a tutti
quel che lascerà
per l’eterna via.
Non è cristiano
questo ragionare
ha solo nome
di buon senso umano.
Sarà lieve
dei poveri il fardello
d’eternità al casello.
Il poco basta
il molto è maledetto.
Rimembranze
Tra gli eucalipti
ombrosi del viale
che porta al monte
la brezza di maestrale
io m’assisi
sulla panchina
dai secoli consunta.
L’adolescenza
gli amori ormai perduti
ivo seguendo
sugli amati poggi.
Rivedevo Bina
gli occhi stralunati
tra l’erba e i fior dei prati.
Più in là Pinuccia
nell’arsura e al sole
aprir le braccia
ed anelare amore.
Erano i tempi,
i tempi ormai lontani,
della giovinezza.
Erano i tempi
infelici e duri
che la vecchiaia
rende cari a tutti.
Tra gli eucalipti
all’ombra del viale
passano i giovani,
ignari degli amanti
dei passati tempi,
che di poggio in poggio
lasciano i segnali
dei focosi giorni
e delle notti ardenti.
Io resto qui,
sulla panchina
dai secoli consunta,
a rimembrar Pinuccia,
Bina e Rosalinda
tra gli eucalipti
ombrosi del viale.
Roccia
La roccia frastagliata
ricadente a picco
sull’acque azzurre
nel mare dello Zingaro
in pieno giorno vidi
al solleon di luglio.
L’espandersi leggero
dell’onda senza schiuma
nel profondo incavo
vecchio di mill’anni
giungeva dolce
ai sopiti sensi
in incavata roccia
nell’estate ardente
siciliana.
Furono i sensi
alfine in gran tripudio
abbarbicati alle membra tue
dolce fanciulla
sorta dalle acque
che gli anni miei rendesti
amabili e sospesi
tra il Nulla e il Tutto.
Con la risacca
rotolando l’onda
ora impetuosa e nera
dall’incavata roccia
nei profondi abissi
anima e corpo
risucchiati ci ha
e divisi.
Contro la roccia
frastagliata e bruna
la battente onda
di spumeggiante schiuma
nel vecchio incavo
vecchio di mill’anni
con fragor si schianta.
La fanciulla dolce
sorta dalle acque
e dai profondi abissi
eterna è diventata.
Rose Ladro di rose fui nel mezzo del giardino comunale. Colsi la rosa nera che altrove non trovai, mi punsi con la gialla e le rose porpora con quelle strinsi. Profumate e vive nella notte candida sotto la luna piena sul finir di maggio di tanti anni fa. Eran le rose che non potei comprare, rose per l’amante che placida dormiva. Con le rose rosse e nere di velluto all’alba la svegliai. Nell’abbraccio tenero mi punsi e il labbro dolce il sangue mio leccò. Leccò il mio sangue il petto e l’ombelico. Giacemmo tra le rose giacemmo tra i profumi con l’amante mia respirando amore sul finir di maggio di tanto tempo fa.
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Inviato da: giorgia19.90
il 06/12/2009 alle 01:22