Creato da poverotroviero il 07/10/2006

Il gioco

delle schegge di vetro

 

Ultimi Commenti

occhiodivolpe2
occhiodivolpe2 il 14/07/13 alle 09:42 via WEB
questi tedeschi !!! direi .. che lungi dal pensar di sé che NN SI SIA , nonostante se stessi SI DIVIENE verso le tempie bianche ... ;))))
 
occhiodivolpe2
occhiodivolpe2 il 17/06/13 alle 23:39 via WEB
questo x il tema del brano ... sul lato della narrativa ho risposto da me .. 'notte troviero :))
 
occhiodivolpe2
occhiodivolpe2 il 17/06/13 alle 23:38 via WEB
il plagio e l oppressione , quandanche sia desiderato e accettato , li disprezzo ; gli schiavi e i servi si sn sempre compiaciuti del loro stato e quasi mai si sn ribellati ... nella sfera privata ovviamente è un po' diverso ma i limiti restano .. la psicanalisi dice che la submissive desidera scontare colpe che pensa di aver compiuto da bambina e il master un frustrato che cerca di riscattarsi col dominio di una persona ... il fatto che ci sia una traslazione erotica , che le due patologie si rivestano di seduttività nn maschera le cose ...
 
occhiodivolpe2
occhiodivolpe2 il 03/11/12 alle 10:52 via WEB
uhm .. io sostituirei alla parola 'terra' quella di 'morte' ...
 
poverotroviero
poverotroviero il 01/11/12 alle 00:08 via WEB
Guardarsi dentro non deve significare necessariamente non incontrare l'altro, al di là di quello che la società ci impone dall'incontro con il prossimo possono scaturire sempre nuove opportunità, conseguenze inaspettate. Non credo si debba nè si possa rinunciare a questo.
 
Lei.nonsachisonoIo
Lei.nonsachisonoIo il 29/10/12 alle 15:11 via WEB
Ciao (pensavo che il mio commento fosse caduto senza lasciar traccia)! "Il desiderio di star soli è un sintomo di distacco nevrotico soltanto quando l'associarsi alla gente richiede uno sforzo insopportabile". Secondo quello che riporti, dal malessere nell'associarsi alla gente, scaturisce il desiderio patologico di star soli, giacchè "la maggior parte dei nevrotici rifugge dalle proprie profondità interiori". Io pongo il caso in cui il desiderio di star soli, scaturisce proprio dall'acquisizione della propria interiorità come qualcosa di profondo. Se il ns mondo viene visto come inconciliabile con i fast food esistenziali della società odierna, ciò non potrebbe ugualmente portare all'isolamento, più che ad una forma di solitudine consapevole-costruttiva? Forse chi si guarda troppo dentro, non è sottoposto a nevrosi negativa, proprio per la sua diversità (nel verso della profondità)? Come se la profondità fosse una condanna. Spero di essere stata più chiara...
 
poverotroviero
poverotroviero il 29/10/12 alle 08:15 via WEB
Ciao! Non ho capito bene l'esempio che fai, comunque sono d'accordo con te nel dire che certe affermazioni non vadano intese in senso assoluto; del resto anche l'autrice parla di una solitudine "sana" e di una solitudine patologica, appunto "nevrotica". A presto e grazie!!!
 
Lei.nonsachisonoIo
Lei.nonsachisonoIo il 28/10/12 alle 10:48 via WEB
In quale categoria si colloca chi, proprio per lo sprofondarsi nella propria interiorità, non può che compiere "uno sforzo insopportabile" nell'associarsi alla gente? Quantunque si adivenga ad una legge perfetta, c'è sempre qualche nuova incognita, che ne riscrive l'impalcatura. Molto più semplicemente: la cosa più tangibile nella realtà, è il suo relativismo. (ogni volta che lascio un commento da qualche parte, mi sento una goccia d'acqua che cade nel mare. Ritornerò qui, penso, per controllare se l'acqua del mare si è colorata. Bye e scusa dell'intrusione, qualora non fosse gradita)
 
occhiodivolpe2
occhiodivolpe2 il 15/10/12 alle 19:54 via WEB
sarebbe abolire il mondo , e l uomo ... xk senza intelletto e storia nn ci sarebbe arte e poesia ... mi pare una frase suggestiva x ciò che pare a cui alluda , e di quelle che nn si spiegano se nn ripetendola ... :))
 
poverotroviero
poverotroviero il 15/10/12 alle 19:47 via WEB
Sono d'accordo, senz'altro e mi inchino di fronte al poeta... Ma quello che dice houellebeq mi affascina molto: abolire la catena causale, mi viene da pensare alle poesie di Dino campana
 

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L'Altoparlante

Si dice che dell'impianto hi-fi, tardi anni '70, ereditato da suo cugino, ormai più di vent'anni fa, Andrea abbia conservato un solo  altoparlante: stromento idoneo alla diffusione d'intrattenenti alchimie sonore.

Sembra, però, che tale dispositivo, smarrita presto la propria attrattività, sia a lungo rimasto inoperoso, adagiato su una mensola, seducente polveri dalla stanza.

Si dice, inoltre, che due cavi elettrici pendenti dagli elettrodi dell'altoparlante, animati da una misteriosa tensione magnetica, abbiano trovato agio, di volta in volta, di collegarsi all'antenna della radio, alla presa del telefono - insolenti, capaci per sino di raggiungere il web.

Sembra che sì furbescamente intercettate voci maligne e ingiuriose, chiacchiere e commenti maliziosi, il diffusore acustico, frustrato dal lungo oblio, scuotendo l'annosa polvere dalla propria membrana, abbia cominciato a parlare; riferendogli chiacchiere e pettegolezzi, raccolti via telefono, radio e internet.

Si dice che Andrea, ascoltata la gracchiante voce del vecchio apparecchio, abbia deciso di restituire alla erratica lettura dei blogger la sintesi di tali mormorazioni.

Sembra che in Trastevere, in luogo abitato da voci poetiche, egli stesso le abbia bisbigliate, leggendole per non doverle ricordare.

 

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Morta parte da me

la mia voce,

per approdare alla deriva

dei sensi scolpiti

nelle candide rocce;

ove il tuo viso m'apparve,

ombra d'un sorriso sterile,

solido velario

d'una scena tragica.

 

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Quando l'orizzonte di riferimento non è più in ordine a ciò che è "permesso", ma in ordine a ciò che è "possibile", la domanda che si pone alle soglie del vissuto depressivo non è più: "Ho il diritto di compiere quest'azione?", ma "Sono in grado di compiere quest'azione?"

Umberto Galimberti.

 
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