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Resa dei conti per il petrolio

Post n°9 pubblicato il 13 Luglio 2007 da fuoriii

Francesco Piccioni

La potenza della fisicità fa crollare come un castello di carte
l'ottimismo di chi ha fin qui prosperato sull'illusione
della "crescita infinita". L'ultimo rapporto
dell'International Energy Agency (Iea) - emanazione dell'Ocse -
mette un limite preciso, con minime variazioni, al momento fatidico
in cui la produzione di petrolio non ce la farà più a tener dietro
alla domanda: cinque anni a partire da oggi.

E' il famoso "peak oil" previsto dal geofisico Marion King Hubbert,
capace già nel 1956 di predire il momento in cui la capacità
estrattiva Usa avrebbe cominciato a decrescere (il 1970, come in
effetti avvenne). Centinaia di geofisici - irrisi dalle compagnie
petrolifere e dai media sotto controllo (come questo giornale prova
a raccontare almeno dal 2000) - stanno da anni elaborando i
dati per identificare il "picco globale" entro una forchetta che
oscilla tra il 2006 e il 2013. Insomma, ci siamo.
Le incertezze derivano dal fatto che sulle "riserve accertate" vige
un segreto quasi militare; con compagnie e paesi produttori alleati
nel "gonfiarle". Basti pensare che per oltre 10 anni tutti i paesi
Opec hanno dichiarato riserve stabili nonostante gli aumenti di
produzione e il rarefarsi delle scoperte di nuovi giacimenti. In
Kuwait, due giorni fa, alcuni deputati hanno minacciato di votare
contro la legge finanziaria se il governo non
rivelerà 'ammontare "vero" delle riserve del paese; dove il dato è
un segreto da quando, nel gennaio 2006, il Petroleum Intelligence
Weekly aveva citato documenti interni secondo cui l'emirato potrebbe
contare solo su 48 miliardi di barili di greggio. Meno della metà
dei 99 delle stime ufficiali.

La domanda globale di energia è invece costante. La Iea prevede che
aumenterà del 2,2% annuo, sempre che la crescita economica mondiale
continui al ritmo del 4.5%. In pratica si passerebbe da un consumo
di 86 milioni di barili al giorno a 95. Cina e India, del resto, non
possono più rallentare, visto che sono diventate la manifattura del
mondo. L'unica "speranza" è che la crescita rallenti un poco; ma
servirebbe solo a rimandare di qualche mese il big crunch. Un
elemento fin qui tranquillizzante era la spare capacity (capacità di
supplire ai "buchi" produttivi) dell'Arabia Saudita. Che però,
spiega la Iea, sta passando dal 5% ad appena l'1,6. Anche per questo
i prezzi del greggio sono da giorni in costante rialzo, al punto che
qualche analista "vede" per settembre un record da 83 dollari al
barile.

La seconda notizia è che non ci sono alternative. Il mercato del
metano rischia di fare la stessa fine e con gli stessi tempi.
La "bufala" dei biocombustibili non ha alcuna influenza sul prezzo
del petrolio; ma ne ha una devastante sui prezzi delle derrate
alimentari. L'idrogeno non esiste in forma libera, ma va prodotto
(con spesa energetica) a partire da altre fonti. L'eolico ha una
bassa diffusione potenziale e il solare è già alle prese con la
crisi del silicio per i pannelli. Resta il nucleare, su cui già
montano gli appetiti delle lobby (e la guerriglia in Niger,
primo fornitore di uranio).

La stampa italiana ancora prova a minimizzarne le conseguenze, con
esercizi di stile ("a piedi, al freddo, al buio", conclude un ameno
articolo di Repubblica) e scaramanzie. Ma il tempo di reagire è ora,
anche se è forse già tardi.
Un'occasione per far sentire la voce dei movimenti si presenterà nei
prossimi mesi. Il World Energy Council - organismo privato,
solo "accreditato" all'Onu - terrà a Roma, dall'11 al 15 novembre,
il suo "forum" globale su energia e clima.
Il tam tam del "controvertice" sta già risuonando: ma è il caso di
cominciare a capire che quello energetico-ambienta le non è più
un "tema" su cui far campagna elettorale, ma il problema che aspira
nella stessa voragine l'umanità e il capitalismo che ce l'ha spinta.

Il Manifesto, venerdì, 13 luglio 2007

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volpoca0
volpoca0 il 14/07/07 alle 00:41 via WEB
vedo... manara, lassù'?
 
 
fuoriii
fuoriii il 29/07/07 alle 23:28 via WEB
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