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La democrazia e il principio di maggioranza

Post n°16 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da lukasky

La cronaca recente e l’inflazione del pensiero populista stimolano ad una riflessione sulla portata delle parole che nella discussione politica spesso servono a giustificare un pensiero sottostante sostanzialmente autoritario, quello fondato sul principio che basti il solo consenso popolare maggioritario per  definire democratico l’esercizio del potere, per cui la maggioranza individuata nel suo referente massimo non debba essere infastidita nella sua azione da lacci e lacciuoli (il controllo degli altri organi istituzionali di contrappeso e della minoranza parlamentare)

In sostanza chi governa per volontà di dio e della Nazione non deve essere ostacolato e contraddetto nell’esplicazione della sua attività di governo e di potere , perché altrimenti l’opporre ostacolo, in qualsiasi modo si moduli tale tipo di conflitto, urterebbe contro il principio democratico.

A questo punto l’analisi del concetto di democrazia diventa fondamentale per giudicare se l’enfasi posta sulla pregiudiziale, che la patente di democrazia si acquisti o meno al solo libero mercato del suffragio elettorale, sia del tutto fondata. Per cui il voto, comunque si acquisti, diventa il prezzo  con cui il governante  ha ricevuto dagli elettori  il mandato temporale irrevocabile ed in bianco, ex  legibus solutus, di cui dovrà rendere conto al suo elettorato, alla luce delle informazioni che vorrà dare, nel momento del successivo suffragio, sempre che non abbia maturato la volontà e ne abbia avuto la possibilità fattuale di cambiare legalmente,  ma definitivamente, le regole del giuoco, al solo scopo di acquistare  il proseguimento del mandato.

Basta riflettere come già le regole del giuoco nel non lontano passato  vennero cambiate passando da un regime cosiddetto democratico ad un regime cosiddetto dittatoriale in modo legale, grazie ad un vastissimo  consenso popolare e a seguito di formali consultazioni elettorali, sia in Italia da Mussolini che in Germania da Hitler.

Cominceremo con il dire che un regime per definizione non è mai democratico, e neppure repubblicano, perché già nel nucleo centrale del concetto di democrazia è implicito l’esistenza del limite del potere.  E noi definiamo invece già nello stesso concetto di regime una tipologia  di potere che è prevalente su tutti gli altri e che rifiuta di porre se stesso  in equiparazione subordinata e paritaria con tutti gli altri poteri all’interno del sistema.

La stessa espressione che usa la nostra carta costituzionale allorché indica che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, non dà una nozione specifica della parola popolo e comunque indica dei limiti e delle modalità di esplicazione della sovranità. La sovranità è sub lege. L’esplicazione dell’attività politica non può essere affidata ad un regime. Nel concetto di popolo delle democrazie occidentali moderne  il popolo non coincide esattamente con il corpo elettorale, perché non consiste nel solo corpo elettorale, che appare anch’esso come organo all’interno del sistema costituzionale. Anche organi e funzionari  pubblici, sia elettivi che di carriera, esplicano il loro mandato nel nome del popolo italiano, alla stessa stregua dei rappresentanti del popolo eletti nel Parlamento.

L’esempio più noto è quello della magistratura, ma anche tutti i funzionari pubblici dal più modesto al più importante , ad esempio il governatore della Banca d’Italia, sono espressioni del e rappresentano per le rispettive funzioni il popolo italiano.

Tralasciando nello specifico la nozione di popolo, che merita per la sua complessità un approfondimento apposito, anche in contrapposizione ad altre espressioni, come quella di Nazione,  sarà opportuno ritornare all’argomento iniziale di definizione del concetto di democrazia, parola inflazionata che corre sulla bocca di tutti (dagli scolaretti ai massimi uomini politici) e in tutti i paesi del mondo, specie in quelli in cui essa in realtà non esiste e che molti utilizzano strumentalmente senza  che ne conoscano la vera natura o, pur conoscendola, scientemente calpestandone l’essenza.

Cominciamo, data la complessità della nozione, ad effettuare una ricognizione in negativo del concetto, dicendo quello che non è.

E’ da respingere l’immagine della democrazia come regime plebiscitario, basato sul principio che la maggioranza può fare ciò che vuole: dunque fondato sulla confusione, penetrata nel senso comune, tra democrazia e principio di maggioranza.

La democrazia non sarebbe in tal modo altro che l’onnipotenza della maggioranza legittimata dal voto popolare, il quale varrebbe a consentire ogni abuso, compreso il conflitto tra interessi pubblici e interessi privati;  così come il liberalismo equivarrebbe a sua volta all’assenza di regole e  limiti alla libertà di impresa. In tal modo di fatto l’espressione liberal-democrazia ha finito in certi ambienti a designare  in un certo lessico due forme convergenti di assolutismo, entrambe ostili al sistema di vincoli e contrappesi, nel quale il garantismo consiste: l’assolutismo della maggioranza e l’assolutismo del mercato, dei poteri politici come di quelli economici, sempre più, oltretutto, minacciosamente confusi.

Mentre per contro nel concetto di democrazia è ancora valido il principio della divisione dei poteri, individuati come pesi e contrappesi tra funzioni  (e più che di bilanciamento di poteri dovremmo riferirci ad un bilanciamento di funzioni, e non solo a proposito dell’ordine giudiziario, ma anche dello stesso Parlamento, composto non da titolari di poteri,  ma di rappresentanti del solo titolare del potere politico, esplicanti pertanto una funzione di rappresentanza in nome e per conto del popolo italiano e non un loro potere autonomo.)

Dalla società del tempo di Montesquieu è sicuramente cambiata l’organizzazione sociale dei titolari degli interessi  da rappresentare, che allora erano più nettamente individuabili, essendo la contrapposizione delle classi sociali al loro interno visibili in modo più netto. Oggi esiste una maggiore trasversalità che impedisce una individuazione netta degli interessi in senso classista, per cui tale bilanciamento assume sempre di più una complessità di livello istituzionale.  Permane comunque ancora oggi la attualità di un sistema di balance of power indispensabile per assicurare un corretto funzionamento del sistema e a preservarlo dalle spinte autoritarie, da qualunque parte provengano, assicurando al contempo la garanzia della conservazione dello stato di diritto.

Obiettano i sostenitori della assoluta sacralità dell’investitura popolare:  a che scopo assicurare un bilanciamento del potere, se il governo è il governo del popolo, in quanto rispecchia la volontà della maggioranza degli italiani? Ma il governo è veramente del Popolo? All’origine  della democrazia, nella polis, dove tutti si conoscevano, la scelta doveva andare ai migliori. Ma chi doveva stabilire chi fossero i migliori? Si dirà: il demos, che era un insieme di tribù legate ad un certo territorio, dove si abitava e si era iscritti, e che sanciva degli iscritti non solo l’appartenenza giuridica, ma anche psicologica , antropologica e morale. Ma anche in una situazione così semplificata, che poneva minori problemi rispetto all’attuale realtà degli stati moderni, Pericle stesso sembrò essere convinto che la democrazia ateniese non fosse governo del popolo, e che un governo del popolo non possa semplicemente esistere.  Difatti nel suo grande discorso, come viene riportato da Tucidite, asserì: “ Benché siamo in pochi capaci a dar vita ad una politica, siamo però tutti capaci di giudicarla”. E questo significa: non possiamo tutti governare o dirigere, ma possiamo tutti giudicare un governo, possiamo fungere da giudici. Per il popolo la vera partecipazione alla vita democratica nel paese non avviene tanto nella scelta del governante, quanto nel suo controllo e nella limitazione dei suoi poteri,  perché non diventino eccessivi o si trasformino in abusi per interesse personale, economico o comunque di potere.

Perché attraverso lo scudo della volontà del popolo è possibile giustificare qualsiasi cosa, cosicchè la democrazia diviene un vuoto simulacro, e come dicono i francesi Flers e Caglaret  è il nome che diamo al popolo tutte le volte che abbiamo bisogno di lui.

 

 

 
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