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Garetta della domenica sì, garetta della domenica no...

C'è un argomento in particolare che appassiona i golfisti amatoriali. Quella che ho già avuto modo di definire come la malattia del secolo: la torneite.

Nei circoli italiani, da nord a sud, ci sono due armate che si fronteggiano: i torneisti della domenica e i golfisti passeggiatori.

Sono due fenomenologie davvero interessanti da studiare.

I primi, i torneisti, aspettano la domenica con ansia: tempo permettendo, il loro circolo organizza sempre una bella garetta. I tornei del weekend hanno i nomi più assurdi, ma tutto pur di giustificare l'ambaradan. E allora giù a sudare sul campo, a litigare per un colpo con il marcatore di turno, a rubacchiare qualche centimetro sul green, a far finta di dimenticare le penalità. Tutto pur di essere chiamato al tavolo delle presidenza per ritirare la coppetta della domenica. O, almeno, evitare la temutissima virgola.

Gli altri, i passeggiatori, soffrono da matti qesta situazione. Aspettano la domenica per poter trascorrere quattro o cinque ore all'aria aperta, in relax, senza fretta e senza tensione. Già venerdì telefono alla segreteria del circolo per fare la fatidica domanda: "Domenica posso giocare o c'è una gara?". Nove volte su dieci la gara c'è. Addio lunghe passeggiate, addio relax, addio tranquillità. Giocare mentre quella banda di scalmanati - i torneisti della domenica - si dà addosso, pretendendo che chi non partecipa al circo si faccia da parte anche se è molto più veloce, può essere un incubo. L'unica possibilità è svegliarsi all'alba per essere sul tee della 1 almeno due ore prima dell'inizio della garetta. E rimpiangere i giorni lavorativi, che almeno puoi stare a letto un po' di più...

Aspettando la scintilla...

Forse è successo anche a te, golfista di vecchia data. Arriva il giorno dei dubbi, dopo anni di altalenanti prestazioni. Ma il golf è lo sport giusto per me?

In fondo si tratta di una cosa semplice: hai in mano un bastone con cui colpire forte una pallina da spedire il più lontano possibile. E invece no. Non è per niente facile. Dopo due anni due di pratica, di domeniche spese sul driving range, di lezioni, arriva il giorno dei dubbi: possibile che dopo tanto tempo non sia ancora in grado di colpire bene per più di tre o quattro volte di fila?

A ogni errore si ricomincia daccapo. Lo swing non funziona, il trasferimento del peso non va, il polso è un po' così, il drive non ne vuole proprio sapere di filare via dritto...

Eppure, nonostante tutto, so già che domenica prossima sarò tra i primi a presentarsi sul tee di partenza dell'ennesimo torneo di circolo. Sarà grave?

Il golf è tutta questione di testa

Il successo o la sconfitta nel golf sono tutti nella testa. Se vado in campo scarico, senza ambizioni, il mio gioco ne risente moltissimo. Non c'è verso: lo swing diventa orribile, le palline fanno fatica ad alzarsi, i putt sono incontrollabili.

Se, al contrario, ho ben chiaro in testa l'obiettivo del giro (chiudere un minimo di buche in par, fare almeno xy punti Stableford etc.) le cose migliorano sensibilmente.

Negli ultimo tempi, però, è accaduta una cosa nuova: non riesco più a giocare bene da solo. Ho bisogno del confronto con un altro giocatore. La paura di fare brutta figura diventa uno stimolo importante, anche se in palio non c'è nulla.

E ora i par fioccano…

Due par nello stesso giro non mi era mai capitato. E potevano essere tre se non fosse stato per un putt da mezzo metro tirato con un eccesso di sufficienza alla buca 2 (mai farlo, il dio del golf vede e punisce sempre).

Comunque, dopo un bel par 3 alla cinque, con ferro otto a bordo green e chip a pochi centimetri dalla bandiera, alla buca 8 la vera magia di giornata. Par 4 con legno 3, approccio a bordo green, chip e putt. Per me, handicap 35, otto punti in due sole buche.

Ok, mi direte, non era un torneo. 18 buche la domenica in amicizia non si giocano certo con la pressione dello score. Ma per me resta un buon segno. I giri di allenamento sono sempre più proficui. Flappe, slice e hook diminuiscono. E per adesso tanto basta.   

Hcp 35, il post che non vedevo l'ora di scrivere