Delirium

lunedì 3 dicembre

Sono sul sagrato della chiesa degli angeli caduti.

La luce soffusa del centro storico mi avvolge, c’è un bel freddo che mi fa sentire viva.

Indosso stivali neri, jeans, piumino bianco e maxi cerchi alle orecchie (il corrispettivo di cerchi da 17 per le auto).

Aspetto che mio fratello arrivi a prendermi dal lavoro.

Ritarda di quindici minuti.

Sono l’ultima delle persone che si può incazzare per i ritardi altrui.

Sono in via O.

Guardo casa con nostalgia.

Le luci sono spente, i camini restano inutilizzati da anni e le stanze vuote non risuonano più delle voci allegre di noi bambini.

Non l’abbiamo venduta, nè ci è stata pignorata.

Non è mai stata mia, almeno non a partire dall’ottobre 1980.

E per me, la mia case, perchè è così che la sento, è una scoperta piuttosto recente.

L’altra settimana ero in un ufficio diverso dal solito, mi sono affacciata dalla finestra  e ho visto la casa che sogno da anni, senza sapere dove fosse, con gli alberi secolari, la sua torretta ela collinetta che domina in maniera decisa, ma al tempo stesso delicata e dimessa.

Erano anni che mi chiedevo dove fosse e non era tanto lontano dai miei occhi

Ho nostalgia.

Ricordi di una vita non mia mi sono riaffiorati di all’improvviso, una vita di benessere, ma anche carica di ansia per le brutte cose che sono successe li dentro, ora gli alberi la proteggono come maestosi guardiani dall’orrore che c’è all’esterno.

Ho sognato spesso le vie intorno, ma non ai giorni nostri, il periodo è il 1910, ci sono alti palazzi e strade lastricate di pietra, tanti abiti alle finestre e odori penetranti di cibi poveri e di umori umani, io cammino, sono un uomo e prendo una scorciatoia per i sotterranei, cammino lungo le mura.

Verso casa.

La mia.