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Post N° 59

Post n°59 pubblicato il 30 Giugno 2008 da helen_1960

 

Voglio essere schedato

Sono passati pochi anni, quando con un primo abbozzo di campagna mediatica, alcuni giornalisti, associazioni antirazziste e di migranti, semplici cittadini, venne lanciato un allarme dal titolo “Le parole lasciano impronte”. Era un tentativo di proporre, soprattutto agli operatori dell’informazione, l’utilizzo di un linguaggio più corretto, di parole più chiare, nel parlare di immigrazione. Perché le parole sono divenute come impronte, il “rom”, il “clandestino” sono divenute parole temute, evocano scenari foschi, strutturalmente appaiono come carichi di negatività implicita. Accadeva in realtà ere politiche fa.

Oggi, quasi contemporaneamente ai settanta anni dalla promulgazione delle orrende leggi razziali che ufficialmente tutti condannano, le impronte vengono proposte come strumento di controllo, non a pericolosi capi criminali, ma a bambini, bambini rom. Leggere che lo si vuole fare per proteggere i diritti dei bambini, è insieme grottesco e raccapricciante, leggere che fa parte del piano per censire tutte le presenze (anche dei neonati?), dà l’idea della miseria umana che sottintende misure simili. Si, miseria umana, quella che, sempre settanta anni fa, dopo martellanti campagne di opinione e con un consenso forse altrettanto diffuso, portò all’imposizione delle stelle gialle sui vestiti come segno di riconoscimento.

Con qualche sublime e post moderna differenza: allora l’espulsione dalle scuole avvenne dopo, per docenti e studenti, ora è già stata resa possibile con la politica degli sgomberi e della distruzione di abitazioni  non ritenute compatibili con il decoro urbano. Ora è stato possibile non permettendo ai bambini e alle bambine di arrivare a scuola con un quaderno, una penna, un vestito pulito. Prima si rende loro impossibile una frequenza regolare, li si ghettizza e li si porta a fuggire dai plessi scolastici, poi quando il sogno di un progetto comune si è interrotto, quando i bambini finiscono con le madri a elemosinare pochi euro per campare, allora scatta la caccia, il bisogno di identificare, schedare.

E se i soldi utilizzati per questa inutile e propagandistica sceneggiata venissero invece utilizzati per garantire realmente il diritto ad andare a scuola? Sostenendo le famiglie (quelle con cui ci si riempie la bocca quando sono italiane) privilegiando i percorsi intrapresi con alcuni istituti scolastici, incoraggiando buone pratiche che già ci sono in piedi, garantendo la possibilità di alloggiare in condizioni compatibili con la dignità umana?

Le impronte ai bambini su cui – come è già stato detto da altri – pesa ancora il silenzio pesante della Chiesa – sono un punto di non ritorno. Chi considera, anche per la più nobile delle ragioni, questa una misura “normale” ha scelto di stare da un'altra parte, ha scelto di accettare le leggi razziali, come in tanti, nel silenzio e nella indifferenza, lo fecero 70 anni fa. 

Ma settanta anni fa ci furono anche pochi che rifiutarono con sdegno etico prima che politico, di costruire il nemico etnico. Minoranze, si, forse siamo questo, ma dobbiamo assumercene la responsabilità.

Quando inizierà la raccolta delle impronte dovremmo essere in tante e in tanti a pretendere di essere schedati, in nome del fatto che si appartiene tutte e tutti alla stessa specie. Non ci aspettiamo che segnali positivi giungano dal parlamento, la foga repressiva ed identitaria ha contagiato quasi tutti i rappresentanti nelle istituzioni nazionali, facciamolo noi, a partire dalla rabbia e dal senso di impotenza che si prova ogni volta che si incontra lo sguardo intenso, adulto, a volte gioioso altre volte troppo serio, di un bambino o di una bambina che hanno avuto la sventura di nascere in un paese sbagliato, in anni di cui un giorno ci dovremo vergognare.

di Stefano Galieni

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