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28 settimane dopo - Juan C. Fresnadillo - 2007

Post n°38 pubblicato il 17 Giugno 2007 da wellburnthesky
Foto di wellburnthesky

Circa sei mesi dopo l’iniziale scoppio dell’epidemia (vista in 28 giorni dopo) tutti gli infetti sono ormai morti di fame e l’Inghilterra può lentamente uscire dall’isolamento mondiale cui era stata sottoposta per impedire al morbo di raggiungere anche le altre parti del globo. Con l’aiuto dell’esercito statunitense, i pochi inglesi che si trovavano all’estero durante quel periodo vengono reintrodotti in patria e alcuni hanno la fortuna di ritrovare i loro parenti ancora in vita. Si comincia a ricostruire, partendo da un particolare settore di Londra, ben sorvegliato dai militari. Un padre (che durante quelle terribili settimane ha purtroppo perso, facendosi vincere dalla paura, la moglie) accoglie con gioia il ritorno dei suoi figli, ma una terribile sorpresa attende tutti gli occupanti della zona quando il morbo esploderà di nuovo in tutta la sua virulenza tramite un portatore sano…

Bisogna riconoscere ai produttori di 28 settimane dopo una buona dose d’intuizione nell’individuare in J. C. Fresnadillo il regista capace di raccogliere l’eredità di D. Boyle e riportare in pista gli infetti e rabbiosi protagonisti del primo, importante 28 giorni dopo. Il regista spagnolo aveva dimostrato buono stile e brillanti intuizioni qualche anno fa con Intacto ma il suo modo di girare non sembrava certo, a prima vista, quello più adatto per mettere nuovamente in scena gli pseudo-zombi iper-frenetici che tanto avevano stupito nel 2002.

Ecco invece la sorpresa di assistere a un sequel che, pur drasticamente inferiore all’originale e spesso in assurdo debito d’ossigeno causa scellerate sviste a livello di sceneggiatura, riesce a destar più di un motivo d’interesse nel critico e nel pubblico, vuoi per alcune buone intuizioni nello sviluppo dei personaggi, vuoi per l’ottima mano mostrata nella gestione di alcune scene nodali, vuoi per un alto tasso di violenza/splatter che non è mai fine a se stesso.
Il film, intrappolato in un una intro e outro claustrofobiche e tesissime (entrambi poi sfocianti in scene all’aperto similari ma di impatto ben diverso), vive i suoi momenti più indecisi quando impone allo spettatore di digerire l’intera meccanica dell’incidente che riporta l’epidemia ai massimi livelli, un insieme di scene condotte come peggio non si può sia a livello di credibilità dei fatti che per quanto concerne il montaggio del girato, davvero troppo frammentario e veloce.
Ed è frustrante pensare a quanto questo singolo aspetto riesca a inficiare la resa finale della pellicola, che avrebbe potuto raggiungere ben altro status.
Juan Carlos Fresnadillo però si mostra assai capace sia a gestire l’emoglobina che a pitturare una Londra in rovina, deserta e piena di cumuli di cartacce e immondizia, sorvegliata dall’alto dai pochi snipers disposti dall’esercito USA.

Non riesco ad avvallare del tutto la chiave interpretativa offerta da alcuni critici che vedono nell’intera vicenda un forte e manifesto riferimento all’occupazione statunitense in Iraq, ma dopotutto ognuno vede quel che vuol vedere!
Don perde la moglie e i figli a causa dell’epidemia, poi riesce a ritrovare la prole salvo vedersela portare di nuovo via sempre a causa del morbo. A quel punto intervengono una dottoressa e un marine che scortano i due bambini diventandone i genitori putativi e si riaggrega quindi la famiglia, ma la rabbia interviene di nuovo a scindere questo nucleo per organizzarne infine uno nuovo, in tutti i sensi…

Il regista offre appunto il meglio di sé nel costruire questa complessa serie di distruzioni e ricostruzioni (che, in senso più largo, possono valere anche per una parte di Londra) ed è aiutato efficacemente da tutti gli attori coinvolti fra cui troviamo un Rorbert Carlyle fin troppo bravo nel passare, in una scena memorabile per intensità recitativa e uso del gore, dalla figura del padre codardo e pieno di rimorsi a quella di novello Saturno, capace di piegare la malattia rabbiosa ai suoi fini e scopi.
Pur eccedendo in alcune scene di massa (specie quando viene coinvolto l’esercito con tanto di bombardamenti intensivi) la pellicola riesce sempre a recuperare l’interesse dello spettatore quando torna a puntare la lente dal macroverso al microverso della personale odissea dei due bambini, sballottati come pacchi dall’inizio alla fine del film.

Voto: 8


 
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