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La poltrona

Post n°11 pubblicato il 18 Marzo 2015 da hush_hush_news
 

La poltrona
Nicola pensava che finalmente la sua schiena ne avrebbe tratto giovamento; quel dolore continuo, come il vento che la notte fischia tra le persiane e non ti fa dormire, sarebbe scemato, scomparso forse.
Il citofono suonò puntuale, e l'addetto alle consegne confermò che la sua poltrona era arrivata.
Aprì il cancello e dalla finestra vide il piccolo furgone attraversare il vialetto fino alla porta d'ingresso, sul giardino. Si fece incontro, con i passi lenti che la sua età gli consentiva, e accolse l'addetto con un sorriso, ma con lo sguardo fermo sull'imballaggio.
Indicò ove doveva essere posizionata e quindi assistette alle manovre di sballaggio. L'addetto raccolse i cartoni, spiegò brevemente come funzionava e consegnò un piccolo libretto delle istruzioni; Nicola firmò la ricevuta e vide l'addetto uscire in giardino, salire sul furgone e allontanarsi sul vialetto, verso il cancello, rimasto aperto.
Rimasto solo nella sua casa, ancora una volta, Nicola si compiacque del silenzio intorno e della luce che obliqua a quell'ora della mattina, dava una forma diversa alle cose.
Attaccò la spina e provò il telecomando, a caso: la poltrona rispose immediatamente, vibrando e muovendo schienale e poggia piedi: il solo vederla già gli lasciava pregustare il piacere.
Spense il meccanismo e dispose la poltrona verso il televisore, quindi prese una confezione di crackers, una lattina di birra, il cellulare e il telecomando e li dispose sul comodino, vicino alla poltrona, raggiungibile senza doversi alzare.
Si accomodò lentamente, ogni volta che si piegava il dolore alla schiena era lancinante, e con un piccolo sforzo, a costo di una fitta dolorosissima, riuscì a sedersi. Il più era fatto. Ora il dolore era solo un fastidio.
Appoggiò il bastone accanto, ma non appena lo lasciò, cadde in terra. Fece una smorfia di disappunto, ma non volle alzarsi, il dolore che avrebbe sentito sarebbe stato troppo forte. Più tardi avrebbe recuperato il bastone, ora meritava un po' di riposo.
Prese il comando e alzo la pedana, il corpo, con le gambe alte, era più leggero e un senso di benessere lo avvolse, il dolore sembrava quasi scomparso, adesso.
Decise che un piccolo massaggio avrebbe solo giovato e con un piccolo pulsantino ordinò una vibrazione, al minimo, tanto per vedere com'era.
Decisamente era stato un acquisto straordinario. Con un sorriso di soddisfazione chiuse gli occhi, mentre, a memoria, premeva i tasti del telecomando per accendere la televisione: si sintonizzò su un documentario e sempre a occhi chiusi ne seguì per qualche minuto il racconto, poi si addormentò.
Si risvegliò che era quasi ora di pranzo, aveva dormito più di due ore. Valutò se valesse la pena alzarsi, ma stava tanti comodo, e poi non aveva fame, quindi decise che avrebbe mangiato più tardi. Prese il libro sul mobiletto, trasse il segnalibro e cominciò a leggere dal punto ove si era interrotto. Era abituato a interrompere la lettura solo alla fine di un capitolo, non riusciva a lasciare un paragrafo, una frase, un capitolo a metà, per poi riprenderlo più tardi. Anche quando, mentre leggeva, era improvvisamente richiamato d'urgenza, da qualcuno, o da un pensiero o da una commissione, comunque arrivava alla fine del paragrafo, anche se spesso, ciò, gli faceva dimenticare il pensiero, o la commissione.
Così riprese dall'inizio del nuovo capitolo, dopo aver letto le ultime righe di quello precedente, per richiamare alla mente lo stato con il quale aveva dovuto abbandonare la lettura.
Rifletté che leggere, su quella poltrona, era ancora più piacevole e si perse nel cercare di decifrare la ragione di tale sensazione; così facendo, dimenticò ciò che aveva appena letto, e ricominciò da capo.
Dopo qualche tempo, che non fu in grado di misurare, pensò che dopo la visita del corriere non aveva avuto nessun altro contatto umano, né per telefono, né in altro modo; la pace della sua casa gli sembrò ancora più profonda e si disse che non gli mancava affatto il contatto umano.
Provò improvvisamente una fitta alla schiena, quasi un controcanto a quel pensiero, un richiamo alla realtà, ma passò subito.
Fu distratto dalla televisione, che aveva lasciato accesa in sottofondo, a volume basso. Sul canale dei documentari stavano trasmettendo una vecchia replica di un vecchio format sui libri, e il tizio che lo conduceva stava parlando de Il vecchio e il mare, e di quel pesce aggrappato all'amo, che sta in profondità e che il vecchio non vede, ma sa che c'è e lo tiene appeso, o forse al quale sta appeso, visto che per catturarlo deve accondiscendere ai suoi movimenti.
Quel pesce, diceva il tizio, non è un vero pesce; è una metafora di qualcos'altro. Nicola ragionò che non ci aveva mai pensato; che per lui, ogni volta che aveva letto quel racconto, quel pesce era soltanto un pesce e mai gli era venuto in mente che potesse essere qualcos'altro: era un uomo contro un pesce, e l'unica metafora era che se vuoi qualcosa, alla fine, per quanti sforzi tu possa fare per averla, essa ti sfugge. Ma ora il tizio diceva un'altra cosa, e cioè che quel pesce non era qualcosa che il vecchio voleva, ma qualcosa da cui fuggiva: era il pesce insomma a inseguire il vecchio, e non viceversa. Il vecchio voleva solo vederlo, per conoscerlo, per riconoscerlo e così magari riuscire a sfuggirgli per sempre.
Nicola pensò che il tizio non poteva sapere cosa voleva davvero dire quel racconto, però ragionò anche che l'autore alla fine si era sparato e forse, pensò ancora, ciò aveva fatto perché quel pesce non era mai riuscito a vederlo.
Chiuse il libro che stava leggendo, era circa a metà, poco più, e provò a pensare ce anche il libro che stava leggendo in realtà non raccontava la storia che c'era scritta, ma ne raccontava un'altra e pensò allora che tutti i libri che aveva letto nella sua vita, e ne aveva letti moltissimi, forse non erano fatti delle storie che c'erano scritte, ma di altre storie, di cui quelle erano solo un'impronta, una scia.
Improvvisamente fu scosso dal pensiero che anche la sua vita, quello che stava facendo in quel momento non era effettivamente la sua vita, e che se mai qualcuno l'avesse un giorno raccontata, non sarebbe stato il racconto della sua vita, di quella particolare giornata della sua vita ma qualcosa di diverso, la scia di un'altra cosa.
Intanto il sole stava calando, la luce era di nuovo obliqua ma proiettava le ombre nella direzione opposta a quella di quella mattina.
Stavolta sentì la fame, ma non voleva ancora alzarsi, sentiva che sarebbe stato bene farlo, ma non volle, e si accontentò di aprire il pacchetto di crackers che aveva sul comodino.
Aveva anche cominciato a piovere, ma lui non se n'era accorto, perduto in quei pensieri; anzi, a veder bene, era un vero e proprio temporale, ma non si preoccupò, gli piaceva la pioggia, l'alibi perfetto per rimanere a casa, per lasciare fuori tutto ciò di cui non aveva bisogno.
Improvvisamente sentì un bip, e un allarme che suonava in lontananza; la televisione si spense e capì che era un'interruzione della corrente.
La cosa non lo preoccupò subito, ma poi si rese conto che la poltrona funzionava elettricamente e quindi non avrebbe potuto manovrarla sino a che non fosse tornata la corrente.
Sapeva benissimo che in quella posizione, con le gambe rialzate e senza poter raggiungere il suo bastone, caduto a terra, non sarebbe mai riuscito ad alzarsi.

 

 

 
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Relazione di servizio

Post n°10 pubblicato il 18 Marzo 2015 da hush_hush_news
 

RELAZIONE DI SERVIZIO

Ill.mo Sig. Comandante
Sede

OGGETTO: relazione di servizio su Vs. nota

Con la presente rispettosamente riscontro la sua nota in oggetto, con la quale la S.V. chiedeva a codesto Ufficio delucidazioni in merito agli accadimenti denunziati in relazione alla presunta deportazione e conseguente eccidio di una quantità imprecisata di persone, per la maggioranza di razza ebraica, nei campi di Auschwitz-Birkenau, Bełżec, Bergen-Belsen, Bitterfeld, Bredtvet, Breitenau, Buchenwald, Chelmno, Dachau, Flossenbürg, Majdanek, Mauthausen-Gusen, Sachsenhausen (Oranienburg), Sobibór, Stutthof, Riga, Risiera di San Sabba, Theresienstadt, Treblinka.
Non appena venuto a conoscenza della questione da Ella sottopostami, ho immediatamente incaricato i due miei più fedeli collaboratori, l'ispettore Ulmess e il suo attendente Wattsson, ordinando loro di investigare sull'accaduto.
L'inchiesta è durata oltre un mese, ma ciò mi ha consentito di avere un quadro chiaro di ciò che è avvenuto.
Devo necessariamente premettere che molte delle informazioni contenute nel rapporto sono estremamente confidenziali, ottenute anche con metodi non ortodossi, e la loro divulgazione, delle informazioni e dei metodi, potrebbe porre in serio imbarazzo il Reich.
Per tale ragione, del presente rapporto, seppure in violazione della direttiva 54/S7/45, non è stata eseguita alcuna copia; del pari, in violazione della direttiva 77/D4/1542, essa non è stata dettata a una delle nostre dattilografe ma è redatta dal sottoscritto personalmente.
La carta sulla quale essa è scritta non è registrata all'economato dell'Ufficio, secondo le cautele di cui alla circolare 128/F/II.
Come Ella sa, il nostro popolo sta vivendo una particolare congiuntura che lo vede preso di mira dagli altri paesi europei, in virtù della possanza degli ideali del Reich, mal digeriti dalla comunità internazionale, arroccata su posizioni bolse e regressive.
La conquista e il predominio del nostro popolo in Europa, e presto nel mondo occidentale, quale faro della civiltà, ha portato all'apertura delle ostilità nei confronti di potenze internazionali quali Inghilterra, Stati Uniti e URSS, potendo contare solo sull'appoggio del Giappone (che adotta discutibili tecniche di combattimento), alcuni paesi mittleuropei (Romania, Bulgaria e Ungheria) e dell'Italia (rispetto alla quale voci sempre più insistenti mettono in dubbio la sua fedeltà all'Asse, vedi rapporto del 12/03/1943 - prot. 32/55T).
Tale situazione pone la Germania nella necessità di dover provvedere da sola di fatto alla propria difesa e all'avanzata bellica.
Da diversi mesi è quindi allo studio l'approntamento di un'arma micidiale, in grado di capovolgere le sorti del conflitto; in aderenza alle circolari e ordini di servizio, si è scelto di usare il termine ‘arma', e di consentire la decifrazione di codici ritenuti segretissimi (p.e. ENIGMA) al fine di spaventare il nemico e gettare nel panico i governi e i popoli avversi.
In realtà, come è a conoscenza della S.V. e del gabinetto del Fuhrer, non si tratta di una vera e propria arma, nel senso convenzionale del termine, quanto di un sistema sofisticato di trasmissione dei dati, delle informazioni, praticamente in tempo reale, che consente una immediatezza tra comando ed esecuzione del medesimo, facoltà sconosciuta ai nostri avversari, tale da offrire risorse difensive e offensive immediate, dirette ed efficaci.
Inoltre, esso, rendendo automatica e priva di passaggi intermedi l'azione, senza cioè che un ordine debba essere trasmesso secondo la scala gerarchica dal Fuhrer sino agli esecutori, ma trasformando in fatti e azioni senza soluzione di continuità il pensiero del Comandante in Capo, impedisce sia eventuali distorsioni del comando, sia l'eventualità che quadri intermedi pavidi, vigliacchi o peggio venduti al nemico possano boicottare l'effettuazione efficace di quello.
Tale premessa è resa necessaria, per comprendere a pieno gli esiti dell'inchiesta.
L'ispettore Ulmess si è recato innanzitutto personalmente in alcuni dei campi nominati e ha potuto riscontrare che tutti essi erano stati dotati del nuovo sistema di trasmissione delle informazioni; del pari ha potuto rendersi conto che il personale addetto era privo di ogni e qualsiasi formazione tecnica al riguardo, tanto che i corpi-macchina erano utilizzati per lo più per scopi diversi da quello cui sono destinati; anzi, richiesti di indicare la funzione dei detti corpi-macchina, gli stessi responsabili dei campi riferivano di non conoscerla punto.
Interrogati sugli accadimenti di cui alla citata nota in oggetto, essi riferivano che - più o meno nello stesso momento - avevano ricevuto ordine di predisporre alloggiamenti per un numero imprecisato ma significativo di persone; in adempimento, essi avevano quindi cercato di approntare al meglio allo scopo gli edifici presenti.
Peraltro, hanno aggiunto tutti, la quantità di persone affluita si è rivelata numericamente assai più consistente del previsto, tenuto conto che il comando non aveva fornito alcun ordine di grandezza: in buona sostanza, i locali a disposizione si sono rivelati da subito assolutamente insufficienti a coprire le necessità abitative degli ospiti.
Fortunatamente, hanno aggiunto, la estrema mitezza delle persone arrivate e la loro assoluta disponibilità non hanno dato origine né a lamentele né a tumulti di qualsiasi genere, sicché, pur nella penuria, tutti sembravano sostanzialmente soddisfatti.
Naturalmente, le condizioni igieniche erano precarie, e quindi si sono attrezzati alcuni locali, attigui alle camerate, quali latrine e docce di campo: in essi con cadenza settimanale gli ospiti potevano fare le loro abluzioni.
Stante la limitata disponibilità di acqua, le docce erano in gruppo e - per tali ragioni - inevitabilmente onde evitare imbarazzi e occasioni di scontro, gli uomini sono stati separati dalle donne e i bambini.
Sia i responsabili dei campi, sia gli ospiti, a quanto pare, non avevano coscienza della ragione delle loro presenza in loco, sicché le attività erano ridotte al minimo.
Le forniture erano assicurate dall'arrivo, anche questo settimanale di camion di approvvigionamento.
Richiesti di riferire in merito ai successivi accadimenti, i responsabili dei campi interrogati hanno tutti sostenuto che un giorno (sostanzialmente lo stesso per tutti) ricevevano la visita di personale tecnico, non meglio specificato, che, provvisto di ordine scritto bollato e opportunamente timbrato, ha proceduto ad alcune operazioni meccaniche sull'impiantistica dei locali.
Successivamente, i responsabili dei campi rilevavano, soprattutto nei locali docce, una anomala quantità di decessi, apparentemente per cause naturali, non essendo rinvenibili sui corpi segni di violenza di qualsiasi tipo.
L'ispettore Ulmess ha ritenuto utile provare il funzionamento di almeno uno dei locali docce: aperti i rubinetti, usciva l'acqua.
Decidevano quindi di chiedere spiegazioni al Comando Generale, il quale prontamente rispondeva, evidenziando come l'analisi delle procedure e gli esiti dei controlli non evidenziassero errori o criticità, di tal ché le anomalie riscontrare, seppur non in linea con le previsioni statistiche, dovevano addebitarsi a eventi momentanei e imprevisti, di origine sconosciuta, ma probabilmente naturale.
Quanto infine all'utilizzo dei forni, i responsabili dei campi riferiscono che per conservare un minimo standard di igiene ed evitare rischi di epidemie, i deceduti erano cremati.
Finita l'indagine nei campi, l'ispettore e il suo attendente hanno inteso convocare il responsabile delle squadre di tecnici che erano intervenuti per approntare le modificazioni di cui si è detto sopra.
E' emerso che le quindici diverse organizzazioni interessate avevano ricevuto, più meno nello stesso momento, un ordine scritto, debitamente bollato e timbrato, nel quale, senza indicazione né delle finalità, né degli effetti, erano ordinati interventi di vario tipo sugli impianti idraulici, sanitari ed elettrici dei campi, e quindi si erano prontamente adoperati per l'esecuzione delle modifiche richieste.
Chiesti di specificare se fossero a conoscenza di un possibile nesso di causalità tra i loro interventi e i successivi decessi, tutti i responsabili dichiaravano l'impossibilità di rispondere a tale domanda, alla luce del fatto che ciascuna squadra si occupava di operazioni del tutto autonome da quelle delle altre, e nessuno aveva contezza del prodotto finale del loro intervento.
Uno dei responsabili interrogati tenne a precisare che non sempre post hoc ergo propter hoc, e che siffatto sofisma conduce all'errore di concludere solamente in base all'ordine degli avvenimenti piuttosto che tener conto di altri fattori che possono escludere la relazione: precisava che i luoghi comuni, le credenze, le superstizioni e il pensiero magico sono il risultato di questo errore, così come esso è la fonte primaria delle false informazioni e delle denunce complottistiche di ogni specie.
L'ispettore Ulmess e l'attendente Wattsson hanno pertanto deciso, per avere un quadro quanto più completo di sentire gli addetti al ministero dei trasporti, in relazione alle modalità di trasferimento degli ospiti dai paesi di origine ai campi di destinazione.
La procedura di accertamento dei fatti si è rivelata molto complessa, posto che le destinazioni erano indipendenti dai punti di partenza, sicché non necessariamente chi partiva dalla stessa città poi raggiungeva la stessa destinazione.
Invero, si è potuto accertare che per ciascuno degli ospiti è stato emesso un borderau con l'indicazione specifica delle generalità del luogo di partenza e del luogo di destinazione: tale ordine ha determinato poi lo smistamento degli ospiti.
Molti degli addetti ai trasporti hanno espresso riserve pacate, soprattutto in ragione del fatto che la omissione sul numero delle persone interessate ai trasferimenti avrebbe impedito l'approntamento di mezzi idonei, sicché spesso i convogli si sono dimostrati insufficienti e inidonei allo scopo.
Ciò nonostante, confermano i medesimi, la pazienza e la disponibilità degli ospiti ha scongiurato lamentele e disordini.
All'esito degli interrogatori, l'ispettore ha richiesto l'acquisizione di tutti gli ordini, comandi, circolari nominati dalle persone di volta in volta sentite, il cui esame approfondito ha occupato quasi una settimana di lavoro.
Ciò in virtù del fatto che, sebbene presenti timbri e vidimazioni ben conosciute all'apparato burocratico del Reich, normalmente, per operazioni quali quelle contenute in alcuni di essi, non era necessario alcuna della autorizzazioni, timbrature e bollature invece presenti.
Si è in un primo momento pensato quindi che tale particolare cura si rendesse necessaria alla luce della importanza degli ordini contenuti, in virtù di un scopo preciso (probabilmente legato allo sforzo bellico) ovvero fosse legata alla necessità che nessuno ponesse in discussione l'autorità dei medesimi e quindi potesse ignorarli e non porli in esecuzione.
In realtà, entrambe le ipotesi si sono rivelate infondate.
Infatti, l'inchiesta ha appurato che anche in altri ambiti, ormai era invalso l'uso di apporre su ogni documento, anche di minore rilievo, il visto e le autorizzazioni di tutti gli uffici interessati.
Del pari, sentiti i responsabili di riferimento, essi hanno tenuto a precisare che l'ipotesi che un ordine fosse ignorato o non eseguito era irreale, trattandosi, soprattutto nella fattispecie, di attività assolutamente e pacificamente rientranti nelle competenze dei singoli destinatari.
Non rimaneva altro quindi all'ispettore che verificare a chi fosse riconducibile l'origine della catena di comandi di volta in volta ramificatasi a seconda delle diverse attribuzioni.
In realtà, l'esame della documentazione non consentiva una organizzazione unitaria, posto che non era ravvisabile un Ufficio unico dal quale le singole disposizioni fossero partite: si trattava di documenti trasmessi da diversi uffici, anche del tutto autonomi e privi di collegamento, ciascuno del quale, in relazione alle competenze di spettanza, aveva provveduto all'inoltro all'ufficio di destinazione ovvero all'ente destinato all'esecuzione del comando.
Tale essendo l'esito dell'inchiesta, dopo l'ultimo aggiornamento, ho sollevato l'ispettore Ulmess e il suo attendente dall'incarico.
Ciò ha causato l'animosa rimostranza dell'ispettore, che mi ha accusato di non consentirgli di portare a compimento il lavoro, unica inchiesta incompleta della sua vita; mi accusava altresì di avergli nascosto informazioni decisive per la formulazione di una ipotesi e di averlo sfruttato per scopi non commendevoli.
Di fronte alla mia fermezza, l'Ispettore Ulmess ha rassegnato le sue dimissioni.
La natura della presente mi impone di fornire un quadro completo della situazione.
Il fatto che una imprecisata ma imponente quantità di persone, da ogni parte del Reich sia stata trasferita in determinati campi attrezzati appare assodato, così come il fatto che sia il trasferimento, sia la permanenza, siano avvenuti in condizioni non adeguate.
Del pari, appare assodato che effettivamente molte delle persone interessate dal trasferimento abbia perso la vita, anche se gli accertamenti non consentono di individuarne le cause.
Quanto al perché ciò sia avvenuto, nessuna delle persone interpellate è stata in grado di rispondere: tutti affermano di aver agito in esecuzione delle istruzioni di volta in volta ricevute.
Ciò mi ha spinto a un supplemento di indagine: ho quindi proceduto a interrogare personalmente gli ingegneri e programmatori addetti al sistema di trasmissione delle informazioni.
Tutti hanno confermato che, per quanto a loro conoscenza, il sistema non era operativo, nel senso che erano disattivati i collegamenti con l'esterno dell'unità centrale.
Del pari, confermano di aver avuto incarico di eseguire una simulazione, c.d. in remoto, cioè di fatto solo nella unità di base, per verificare l'efficienza e la funzionalità del sistema.
Hanno quindi, ciascuno indipendentemente dall'altro, inviato codici e istruzioni, relativi a operazioni utili nella gestione del conflitto, quali il trasferimento persone, l'approntamento dei mezzi e dei campi, l'intervento tecnico in loco, etc..
Non ho fatto cenno delle ragioni della mia inchiesta, e quindi ritengo che essi non siano a conoscenza dell'ormai posso dire evidente collegamento tra le istruzioni e i codici immessi da loro e la conseguente esecuzione di quelli da parte degli organi e uffici destinatari.
Perché il sistema - che avrebbe dovuto essere disattivato - in realtà era attivo, è l'unico dato che non sono stato in grado di accertare.
L'unico modo di farlo sarebbe porre gli addetti nella consapevolezza di quanto successo, ma ciò avrebbe implicazioni morali e giuridiche di difficile valutazione preventiva, e la relativa decisione ritengo non sia mia competenza.
Rimetto pertanto la presente relazione alla S.V. per le determinazioni che riterrà opportune.
Heil Hitler

 

 
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Come non ho mai letto Pynchon

Post n°9 pubblicato il 18 Marzo 2015 da hush_hush_news
 

 

Come non ho mai letto Pynchon.

Quando è uscito L'arcobaleno della gravità stavo con quella che voleva diventare e non è diventata mia moglie; glielo chiesi in regalo per il mio compleanno e fui naturalmente accontentato. Ricordo distintamente che lessi in preda alla solita foga la prima ventina di pagine, mi rilassai e realizzai che di quelle venti pagine non ricordavo assolutamente nulla. Misi L'arcobaleno della gravità sul mio comodino, dove rimase per diverso tempo. Poi, come capita ai libri, finì nella libreria della mia camera.

Ho lasciato quella ragazza, ho avuto relazioni fugaci, ho iniziato una relazione seria, l'ho interrotta, l'ho ripresa, siamo andati a vivere insieme, abbiamo comprato casa, ci siamo sposati (nota bene come sono passato dalla prima singolare alla prima persona plurale). Quindi, dopo due traslochi della mia biblioteca, non vastissima, ma nemmeno insignificante, mi è ricapitato tra le mani: occupava un posto nella seconda fila nello scaffale più alto (i libri della mia libreria sono necessariamente disposti su ciascuno scaffale su due file,  e ultimamente sopra le dette si depositano volumi posti in orizzontale, sicché gli scaffali perdono la natura di scaffali e la libreria appare come un corpo unico, senza spazi, tra il pavimento e il soffitto).

L'ho ripreso in mano, notando un grave ingiallimento delle pagine (edizioni Rizzoli in brossura, costose e con carta evidentemente non proprio pregiata), l'ho sfogliato ed è venuto fuori che all'interno c'era una fotografia di me e di quella che voleva diventare ma non era diventata mia moglie, agghindati per una cerimonia (mi sfugge quale).

Sul momento in realtà il dubbio che mi assalì era se mia moglie, all'epoca non ancora mia moglie, nei due traslochi e nella sistemazione dei volumi fosse mai incappata in quella foto. Se non, nessun problema, ma se l'avesse vista, poiché non mi ha mai detto nulla e la foto è rimasta per tutti questi anni in quel libro, devo supporre o che l'abbia ignorata come non importante, o che ne abbia in qualche modo subìto la presenza, senza dirmi nulla per non offendermi e abbia così, per tutti questi anni, silenziosamente potuto covare un focolaio di rancore, o ancora serbato una carta jolly da rinfacciare nella lunga e imprevedibile vita matrimoniale, che allora non era tale ma che si poteva legittimamente credere sarebbesi in futuro in tal senso sviluppata.

Quel che conta nell'economia di questo racconto però è che L'arcobaleno della gravità fu trasferito dalla seconda fila dello scaffale più alto a posizione orizzontale dello scaffale altezza braccia, quello per intenderci delle prossime letture o dei libri in continua rilettura (appartengono a questa serie Kundera, Richler, Eco, Palahniuk).

Nel frattempo, avevo comprato anche Vineland e Vizio di forma, che con alterne fortune non avevano avuto sorte migliore.

Devo dire, per onestà intellettuale che Vizio di forma era arrivato a buon punto, ma - non ricordo se per un interferenza di maggiore interesse o per altro - anche quello era stato interrotto.

Bisogna anche considerare che all'epoca, diversamente da oggi, mi dedicavo alla lettura di un libro alla volta.

Si comprava, si leggeva, si riponeva e si passava al successivo. Oggi invece, mi trovo a leggere anche quasi dieci libri in contemporanea, segno evidente che la mia vita è radicalmente mutata, nel senso che l'approssimarsi e poi il superamento dei quarant'anni hanno influito sulla dinamicità della lettura, imponendo una diversificazione di sensazioni di lettura, un po' come accade in quei buffet dove per la varietà delle pietanze si è spinti a spiluccare qua e là, saziandosi all'improvviso, ma con l'impressione di non aver veramente mangiato nulla.

Avvenne poi che un mio amico mi invitò alla sua festa di compleanno, sicché - come al solito - andai alla libreria Feltrinelli di Viale Marconi, per scegliere un regalo. La scelta finì su L'incanto del lotto 49. Il mio amico non conosceva l'autore e mi disse che l'avrebbe letto con attenzione. Stante la mole molto minore di quel libro, ritengo ci sia riuscito, ma a me non ha fatto sapere nulla.

Da allora è passato circa un anno, periodo nel quale ho continuato a seguire la letteratura postmoderna, e soprattutto DFW, i saggi, i racconti, La scopa del sistema (che ho letto per primo), la sua biografia (che sto rileggendo) e Ij, sulla cui mole di oltre 1000 pagine mi arrampico con la costanza di Miguel Indurain sull'Izoard (come lo spagnolo ho imparato che andare avanti costantemente un po' alla volta, in siffatte imprese, assicura il risultato più che con continui strappi, (es. 20 pagine d'un botto e poi tre mesi di pausa)). Il libro è impossibile da tenere in borsa e quindi sta fisso sul tavolino in vetro del soggiorno, assieme a Dr Sleep, Tutto comincia e finisce al Kentucky Club, Le antiche vie, Uno scandalo in Boemia e La novella degli scacchi. Qualcuno mi ha fatto notare che il problema della mole sarebbe risolvibile con l'ebook, ma ho sommessamente replicato che leggere Ij in ebook sembrerebbe come leggere una cosa qualsiasi mentre, poiché la quantità influenza la qualità, la pesantezza, nel senso di gravità del volume, rende la lettura eroica e più soddisfacente.

Peraltro, sia detto per inciso, la moda degli ebook è l'ennesimo gradino - insieme a ogni altro orpello tecnologico - verso la decadenza della vita umanistica. Gli ebook(s), per esempio, non hanno copertina, il che rende di fatto impossibile sapere cosa sta leggendo il tuo vicino o chi ti sta di fronte, laddove la copertina, e quindi la possibilità di conoscere tale dato imprescindibile, prima di consente una soddisfatta aurora di complicità e quindi l'inizio di una conversazione il cui scopo sia proprio parlare del libro (e di libri, perché quando si parla di un libro, in realtà si parla di tutti i libri, e alla fine finisce proprio che si cominci a parlare di tutti i libri, e qualche volta si finisce anche a bere qualcosa, e così via). Inoltre - a voler essere un po' audaci - e quindi domandando, scusa, cos'è che stai leggendo, si rischia di sentirsi rispondere, no non leggo nulla, faccio il sudoku.

L'altro orpello tecnologico verso la decadenza umanistica di questo nostro povero pianeta è il word processor. Queste righe, scritte utilizzando un note book (che del libro a solo il fatto che si apre e chiude a mo' di), avrei voluto scriverle a matita su un bel quaderno, come raccontano tutti gli scrittori e i loro archetipi, come George Stark, e poi affidarle magari a mia moglie per la riscrittura o battitura a macchina (al computer ormai, anche la mia Olympia è desueta, benché sia stata restaurata, sempre da mia moglie che vorrebbe sentirmi battere quei tasti la sera).

Ma ho dovuto arrendermi al fatto che la necessità di speditezza non consente più l'utilizzo di tempi dilatati (che infatti ormai si chiama sempre spreco di tempo), e obbliga all'uso dello strumento più immediato.

Per fare un paragone, nonostante si possieda una bella reflex, si usa con molta più soddisfazione l'iPhone, che consente di pubblicare immediatamente su Instagram lo scatto, e i cui filtri permettono il risparmio di una notevole quantità di tempo nella creazione di una foto gradevole. Non occorre più essere in grado di scegliere e valutare esposizione, luce, sensibilità, diaframma, tempi; si scatta, si modifica e si pubblica.

Al riguardo mi viene in mente che quando affrontavo il compito in classe di italiano, avendo una grafia chiara e le idee altrettanto, solitamente scrivevo l'elaborato direttamente in bella; il mio professore, che si faceva consegnare dagli studenti anche le brutte copie, dopo un paio di volte mi chiese come mai non facessi brutte, al che risposi, ingenuamente, che se avessi scritto una brutta, nel ricopiarla l'avrei senza dubbio completamente cambiata e rimaneggiata, perché mi sarei annoiato a ricopiare quello che avevo già scritto. Il mio professore disse che se tutti avessero fatto così non sarebbe esistita la letteratura (come se Manzoni si fosse fermato al Fermo e Lucia, senza quindi mai approdare a I promessi sposi); io penso invece che ero inconsapevolmente già parte di una avanguardia postmodernista, nella quale la pubblicazione segue immediatamente la stesura, senza troppi ripensamenti e studi, e senza che qualche editor sforbici le tue cose facendoti diventare il più grande scrittore di racconti minimalista. Però, poiché inconsapevole all'epoca non replicai.

Se andate sul sito della Mondadori e cercate Madison e Dixon vi propongono questo

L'astronomo Mason e il topografo Dixon, scienziati britannici del XVIII secolo, hanno personalità opposte ma sono accumunati, oltre che dalla tendenza a bere più del dovuto, dalla fede assoluta nella ragione. Impegnati, in coppia, in numerose ricerche astronomiche per incarico del re d'Inghilterra, i due passano alla storia come i creatori di quella che tutti gli americani conoscono come la "linea Mason-Dixon", cioè il tracciato di confine tra la Pennsylvania e il Maryland. E questa è una delle immagini chiave del libro,

senonché poi vedete che il libro si compone, nell'edizione BUR, di 736 pagine.

Quindi non lo prendi in considerazione, perché se chi deve venderlo si impegna tanto poco, ed evidentemente non l'ha letto, perché devi provarci tu.

(Qui potrei in realtà copiare/incollare tutta la trama descritta da Wikipedia, ciò che dimostrerebbe che qualcuno, che non deve venderlo, ci si è dedicato, e quindi la mia obiezione cadrebbe, ma l'operazione è vietata dalle norme sul diritto d'autore, e quindi la mia obiezione resta)(il ché peraltro dimostra che la logicità di una proposizione non assicura la sua verità).

Pochi giorni fa, mentre cercavo Lo scherzo, sono nuovamente incappato ne L'arcobaleno della gravità, ancora più ingiallito, tanto che il contrasto tra i caratteri tipografici e la carta sembra notevolmente ridotto. L'ho immediatamente sfogliato, ma della foto non ho trovato traccia.

Devo dire di non aver dato molto peso alla faccenda, convincendomi che evidentemente, una delle precedenti volte, delle quali non avevo conservato memoria, dovevo aver estratto la foto per buttarla o metterla da qualche altra parte.

La cosa più importante però è che, in piedi sopra una sedia (il libro era ritornato sullo scaffale più alto), ho riletto la prima pagina e ho scoperto che non era affatto male; solo che non si può leggere contemporaneamente Ij e L'arcobaleno della gravità (nemmeno Indurain farebbe il Mortirolo e l'Izoard nella stessa tappa), così l'ho riposto in libreria, su un fianco sopra i libri della prima fila dello scaffale basso.

Quello che mi destabilizza è il sito della Einaudi che annuncia per il 16 settembre l'uscita de La cresta dell'onda.

New York, 2001, nel breve intervallo tra il crollo delle società dot-com e l'11 settembre. Maxine Tarnow, separata, due figli da crescere, ha una piccola agenzia di investigazioni a Manhattan, specializzata in frodi. Da quando le hanno tolto la licenza può permettersi di fare il mestiere come piú le aggrada, girando con una Beretta, frequentando un mondo ai margini della legalità, dedicandosi a piccole operazioni di hackeraggio. Mentre indaga su una società specializzata in servizi di sicurezza informatici e sul suo direttore, uno stravagante miliardario che si è arricchito con la bolla speculativa di fine millennio, Maxine si imbatte in una serie di delitti, e in una realtà sotterranea fatta di spacciatori che viaggiano su barche a motore in stile art déco, nostalgici hitleriani, liberisti sfegatati, mafiosi russi, blogger, imprenditori.

Si tratta di 570 pagine.

 

 

 

 
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