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La poltrona

Post n°11 pubblicato il 18 Marzo 2015 da hush_hush_news
 

La poltrona
Nicola pensava che finalmente la sua schiena ne avrebbe tratto giovamento; quel dolore continuo, come il vento che la notte fischia tra le persiane e non ti fa dormire, sarebbe scemato, scomparso forse.
Il citofono suonò puntuale, e l'addetto alle consegne confermò che la sua poltrona era arrivata.
Aprì il cancello e dalla finestra vide il piccolo furgone attraversare il vialetto fino alla porta d'ingresso, sul giardino. Si fece incontro, con i passi lenti che la sua età gli consentiva, e accolse l'addetto con un sorriso, ma con lo sguardo fermo sull'imballaggio.
Indicò ove doveva essere posizionata e quindi assistette alle manovre di sballaggio. L'addetto raccolse i cartoni, spiegò brevemente come funzionava e consegnò un piccolo libretto delle istruzioni; Nicola firmò la ricevuta e vide l'addetto uscire in giardino, salire sul furgone e allontanarsi sul vialetto, verso il cancello, rimasto aperto.
Rimasto solo nella sua casa, ancora una volta, Nicola si compiacque del silenzio intorno e della luce che obliqua a quell'ora della mattina, dava una forma diversa alle cose.
Attaccò la spina e provò il telecomando, a caso: la poltrona rispose immediatamente, vibrando e muovendo schienale e poggia piedi: il solo vederla già gli lasciava pregustare il piacere.
Spense il meccanismo e dispose la poltrona verso il televisore, quindi prese una confezione di crackers, una lattina di birra, il cellulare e il telecomando e li dispose sul comodino, vicino alla poltrona, raggiungibile senza doversi alzare.
Si accomodò lentamente, ogni volta che si piegava il dolore alla schiena era lancinante, e con un piccolo sforzo, a costo di una fitta dolorosissima, riuscì a sedersi. Il più era fatto. Ora il dolore era solo un fastidio.
Appoggiò il bastone accanto, ma non appena lo lasciò, cadde in terra. Fece una smorfia di disappunto, ma non volle alzarsi, il dolore che avrebbe sentito sarebbe stato troppo forte. Più tardi avrebbe recuperato il bastone, ora meritava un po' di riposo.
Prese il comando e alzo la pedana, il corpo, con le gambe alte, era più leggero e un senso di benessere lo avvolse, il dolore sembrava quasi scomparso, adesso.
Decise che un piccolo massaggio avrebbe solo giovato e con un piccolo pulsantino ordinò una vibrazione, al minimo, tanto per vedere com'era.
Decisamente era stato un acquisto straordinario. Con un sorriso di soddisfazione chiuse gli occhi, mentre, a memoria, premeva i tasti del telecomando per accendere la televisione: si sintonizzò su un documentario e sempre a occhi chiusi ne seguì per qualche minuto il racconto, poi si addormentò.
Si risvegliò che era quasi ora di pranzo, aveva dormito più di due ore. Valutò se valesse la pena alzarsi, ma stava tanti comodo, e poi non aveva fame, quindi decise che avrebbe mangiato più tardi. Prese il libro sul mobiletto, trasse il segnalibro e cominciò a leggere dal punto ove si era interrotto. Era abituato a interrompere la lettura solo alla fine di un capitolo, non riusciva a lasciare un paragrafo, una frase, un capitolo a metà, per poi riprenderlo più tardi. Anche quando, mentre leggeva, era improvvisamente richiamato d'urgenza, da qualcuno, o da un pensiero o da una commissione, comunque arrivava alla fine del paragrafo, anche se spesso, ciò, gli faceva dimenticare il pensiero, o la commissione.
Così riprese dall'inizio del nuovo capitolo, dopo aver letto le ultime righe di quello precedente, per richiamare alla mente lo stato con il quale aveva dovuto abbandonare la lettura.
Rifletté che leggere, su quella poltrona, era ancora più piacevole e si perse nel cercare di decifrare la ragione di tale sensazione; così facendo, dimenticò ciò che aveva appena letto, e ricominciò da capo.
Dopo qualche tempo, che non fu in grado di misurare, pensò che dopo la visita del corriere non aveva avuto nessun altro contatto umano, né per telefono, né in altro modo; la pace della sua casa gli sembrò ancora più profonda e si disse che non gli mancava affatto il contatto umano.
Provò improvvisamente una fitta alla schiena, quasi un controcanto a quel pensiero, un richiamo alla realtà, ma passò subito.
Fu distratto dalla televisione, che aveva lasciato accesa in sottofondo, a volume basso. Sul canale dei documentari stavano trasmettendo una vecchia replica di un vecchio format sui libri, e il tizio che lo conduceva stava parlando de Il vecchio e il mare, e di quel pesce aggrappato all'amo, che sta in profondità e che il vecchio non vede, ma sa che c'è e lo tiene appeso, o forse al quale sta appeso, visto che per catturarlo deve accondiscendere ai suoi movimenti.
Quel pesce, diceva il tizio, non è un vero pesce; è una metafora di qualcos'altro. Nicola ragionò che non ci aveva mai pensato; che per lui, ogni volta che aveva letto quel racconto, quel pesce era soltanto un pesce e mai gli era venuto in mente che potesse essere qualcos'altro: era un uomo contro un pesce, e l'unica metafora era che se vuoi qualcosa, alla fine, per quanti sforzi tu possa fare per averla, essa ti sfugge. Ma ora il tizio diceva un'altra cosa, e cioè che quel pesce non era qualcosa che il vecchio voleva, ma qualcosa da cui fuggiva: era il pesce insomma a inseguire il vecchio, e non viceversa. Il vecchio voleva solo vederlo, per conoscerlo, per riconoscerlo e così magari riuscire a sfuggirgli per sempre.
Nicola pensò che il tizio non poteva sapere cosa voleva davvero dire quel racconto, però ragionò anche che l'autore alla fine si era sparato e forse, pensò ancora, ciò aveva fatto perché quel pesce non era mai riuscito a vederlo.
Chiuse il libro che stava leggendo, era circa a metà, poco più, e provò a pensare ce anche il libro che stava leggendo in realtà non raccontava la storia che c'era scritta, ma ne raccontava un'altra e pensò allora che tutti i libri che aveva letto nella sua vita, e ne aveva letti moltissimi, forse non erano fatti delle storie che c'erano scritte, ma di altre storie, di cui quelle erano solo un'impronta, una scia.
Improvvisamente fu scosso dal pensiero che anche la sua vita, quello che stava facendo in quel momento non era effettivamente la sua vita, e che se mai qualcuno l'avesse un giorno raccontata, non sarebbe stato il racconto della sua vita, di quella particolare giornata della sua vita ma qualcosa di diverso, la scia di un'altra cosa.
Intanto il sole stava calando, la luce era di nuovo obliqua ma proiettava le ombre nella direzione opposta a quella di quella mattina.
Stavolta sentì la fame, ma non voleva ancora alzarsi, sentiva che sarebbe stato bene farlo, ma non volle, e si accontentò di aprire il pacchetto di crackers che aveva sul comodino.
Aveva anche cominciato a piovere, ma lui non se n'era accorto, perduto in quei pensieri; anzi, a veder bene, era un vero e proprio temporale, ma non si preoccupò, gli piaceva la pioggia, l'alibi perfetto per rimanere a casa, per lasciare fuori tutto ciò di cui non aveva bisogno.
Improvvisamente sentì un bip, e un allarme che suonava in lontananza; la televisione si spense e capì che era un'interruzione della corrente.
La cosa non lo preoccupò subito, ma poi si rese conto che la poltrona funzionava elettricamente e quindi non avrebbe potuto manovrarla sino a che non fosse tornata la corrente.
Sapeva benissimo che in quella posizione, con le gambe rialzate e senza poter raggiungere il suo bastone, caduto a terra, non sarebbe mai riuscito ad alzarsi.

 

 

 
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