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PREISTORIA UMANA E TRADIZIONALISMO INTEGRALE

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POPOLAZIONI ATTUALI E POPOLAZIONE ANCESTRALE / KHOISANIDI ED ETIOPICI

Post n°12 pubblicato il 12 Agosto 2012 da MICHELEALESSANDRO
 

Abbiamo visto come nelle analisi genetiche vi siano modi diversi di costruire gli alberi evolutivi, il che dipende anche e soprattutto dall’ipotesi di partenza della maggiore uniformità, o meno, del tasso di mutazione generale.

Dal punto di vista del DNA mitocondriale (trasmesso per via materna) e del cromosoma Y (presente nei soli individui di sesso maschile) i ricercatori che partono dall’assunto – come abbiamo visto, tuttaltro che certo – di un tasso di mutazione costante in tutte le popolazioni mondiali, sembrano poter individuare nei Khoisan la popolazione attuale che può essere considerata come la più diretta discendente della popolazione protoafricana ancestrale e quindi, in un’ottica afrocentrica, di quella mondiale. Se però tra Africa ed Asia si preferisce piuttosto dare maggior importanza, ad esempio, alla popolazione con il mtDNA più simile alla media di tutte le popolazioni mondiali, come abbiamo già visto sembrerebbe essere l’Asia la più probabile culla primordiale; in tal caso, la notevole divergenza dei Khoisan andrebbe spiegata come il risultato di una specifica accelerazione nella velocità di mutazione di quel particolare gruppo.

Riformulata in altri termini, la questione può, a nostro avviso, essere quindi riassunta nella seguente domanda: quelle popolazioni attuali nelle quali i genetisti ritengono di poter ravvisare un maggior numero di mutazioni intervenute rispetto al gruppo ancestrale, vanno considerate più antiche di tutte le altre, in quanto separatesi prima dal tronco comune (nella prospettiva di un tasso costante di mutazione per tutti) o, invece, vanno considerate piuttosto come quelle che, rispetto ad altre odierne, si sono geneticamente allontanate di più dai progenitori comuni (nella prospettiva di un tasso di mutazione variabile, che nel loro caso avrebbe accelerato il ritmo evolutivo) ?

Comunque, la popolazione singolarmente “più mutata” verrebbe rappresentata, nell’albero genetico, come un ramo a parte, staccatosi in un punto molto vicino alla radice della struttura e particolarmente lungo, raffigurato come parallelo ai rami delle altre popolazioni (se scegliamo l’ipotesi della maggior “antichità”) o nettamente divergente in direzione laterale (se scegliamo l’ipotesi della maggior “devianza”); ma, in ogni caso, riteniamo ci sia da chiedersi quanto un ramo geneticamente “lungo” – perché, pur sempre, portatore di un maggior numero di mutazioni rispetto ad altri – possa effettivamente aiutarci a capire quale possa essere stato l’aspetto della popolazione ancestrale rispetto a quelle odierne. Ad esempio, Nicholas Wade ammette significativamente che anche africani ed australiani, che considera popolazioni molto antiche in quanto rappresentano i rami più lunghi dell’albero genetico delle popolazioni mondiali (quindi nella prospettiva di un tasso evolutivo grossomodo costante per tutti), potrebbero differire considerevolmente dalla popolazione ancestrale che ha generato tutti noi.

La posizione genetica dei Khoisan è per Cavalli Sforza intermedia tra quella degli  africani e degli asiatici occidentali, ed il ricercatore ci segnala comunque come questi (analogamente anche ai Pigmei, dei quali parleremo più avanti) si ritrovino a “deviare dal tipo africano principale”; di conseguenza, dal suo punto di vista, le popolazioni boscimanoidi non appaiono come le migliori candidate per rappresentare oggi l’erede più diretto dei protoafricani ancestrali, propendendo piuttosto per una loro origine derivante da un’antica ibridazione (forse di 20.000 anni fa).

In generale però Cavalli Sforza riconosce che, per molti aspetti, due ipotesi diverse come l’ibridazione e la discendenza diretta da un gruppo ancestrale possano portare ad evidenze genetiche molto simili.

In effetti questo è un punto significativo, che apre la strada ad una serie di considerazioni a nostro avviso di particolare importanza: potrebbe infatti essere plausibile considerare particolarmente vicine a quelle originarie altre popolazioni che invece per Cavalli Sforza sono solo il prodotto di un incrocio.

Sappiamo che per il genetista italiano, oltre ai Khoisan, una possibile origine da ibridazione può aver interessato anche gli Etiopi e, allargando la scala, anche gli Europei tutti. Per questi ultimi, ricordiamo che la relativa brevità del ramo che li rappresenta nel suo albero filogenetico viene spiegata in prima battuta con l’ipotesi di un’origine per incrocio tra 1/3 di geni africani e 2/3 di geni orientali; ma, esplicitamente, Cavalli Sforza ammette per gli europei attuali anche un’ipotesi opposta, ovvero che, invece di essere il risultato di un’incrocio, siano molto simili alla popolazione ancestrale.

Comunque, l’ipotesi di considerare alternativamente i koisanidi, gli etiopi, o gli europei come raggruppamenti odierni particolarmente vicini a quella che fu l’antica protoumanità, a nostro avviso andrebbe vagliata alla luce di quanto può dirci anche l’antropologia classica, sia in termini storici che in termini geografici.

Per quanto riguarda le popolazioni khoisanidi, per le fasi più recenti del Paleolitico Superiore sembrerebbero attestate forme boscimanoidi su una superficie, rispetto a quella occupata attualmente, ben più vasta, ovvero dalla zona del Capo fino all’alto corso del Nilo; và però detto che non risulterebbero essere stati ritrovati ulteriori elementi chiaramente riconducibili al particolare tipo khoisanide di età superiore ai 20.000 anni, né tantomeno in territori al di fuori del continente africano.

Probabilmente una maggior estensione temporale e geografica sembrano mostrare gli elementi etiopici: se per alcuni antropologi tale varietà sarebbe riconducibile ad un meticciamento relativamente recente tra europoidi e negroidi, vi è qualcun altro (ad esempio il Vallois) che si chiede se – in linea con l’ipotesi sopra espressa – più che il risultato di un incrocio, essa non possa piuttosto rappresentare il residuo di un ceppo ancestrale non ancora differenziatosi né nel senso bianco, nè nel senso nero; ciò, oltretutto, spiegherebbe perché il tipo generale degli etiopici si presenti in una forma così diversa da quello dei mulatti, che sono invece, notoriamente, degli incroci. Secondo tale interessante ipotesi, dei meticciamenti negli etiopici sarebbero poi intervenuti comunque, ma solo in un secondo momento, modificandone in diversi punti la varietà, in modo da avvicinarla in parte ai neri ed in parte ai bianchi.

Quello etiopico sembra dunque essere uno snodo piuttosto importante nella storia umana, anche se la sua origine può forse essere ricondotta, a sua volta, ad un insieme ancora più ampio e generalizzato, appunto quello europoide, se è vero che, ad esempio per Renato Biasutti, il gruppo etiopico può essere interpretato come originariamente europoide dalla pelle chiara e dalla provenienza eurasica settentrionale (cosa peraltro ammessa anche per gli Ottentotti, che hanno anch’essi conservato la pelle chiara).

Nel prossimo post cercheremo di passare rapidamente in rassegna gli elementi che sembrano portare in questa direzione.

 

 

 
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