Creato da: MICHELEALESSANDRO il 15/07/2012
PREISTORIA UMANA E TRADIZIONALISMO INTEGRALE

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MONOGENESI E MOLTEPLICITA' UMANA

Proseguendo sul tema dell’unità di fondo del genere umano, è stato notato come in nessuna parte del mondo esistano tradizioni che neghino esplicitamente un’origine monogenetica – o, al più, monofiletica (ovvero, la provenienza da un unico gruppo primordiale, piuttosto che da una singola coppia) – affermando al contrario la poligenesi umana.  

Renè Guenon segnalò che non può esservi alcuna irriducibilità assoluta neppure tra la prima di tutte le dualità, cioè quella che polarizza l'Essere Universale in “essenza” e “sostanza”, anche se a seguito di questo primo atto ha inizio quella molteplicità che sempre più tende a porre in risalto gli aspetti separativi della manifestazione. A livello cosmologico, essenza e sostanza corrispondono a Cielo e Terra e, sul piano antropologico, tale evento corrisponde al polarizzarsi dell’unità androginica primordiale ipotizzata da Platone (sul quale avremo modo di tornare) nei due soggetti separati che la tradizione biblica identifica in Adamo ed Eva. Ciò costituisce il primo passo verso la molteplicità umana, che implica il manifestarsi di diverse modalità di esistenza corrispondenti in primis alle varie razze della nostra specie.

Per Frithjof Schuon la varietà di queste non deve però far mai dimenticare la comune origine, sottolineando come tutte le razze comportino “modi di bellezza perfetta, ciascuna esprimendo un aspetto fondamentale della teofania umana in sé” e contestando peraltro che la loro profonda ragione d’essere sia riconducibile al mero caso o alla sola azione dell’ambiente, che peraltro non viene del tutto negata. Inoltre, per Schuon, il fatto che le razze non sembrino essere tra loro separate da paratìe stagne, non significa che non ne esistano di più “pure” accanto a gruppi etnici più eterogenei (volendo intendere per “pure” semplicemente la maggior vicinanza al rispettivo archetipo iniziale: più avanti avremo modo di tornare sulla specifica corrispondenza tra razze ed elementi cosmici).

Anche altri autori tradizionalisti accennarono in termini simili alla tematica in questione. Per Titus  Burckhardt le varie sottospecie di Homo Sapiens rappresentano altrettanti “riflessi” dell’unica forma essenziale inscindibile che ne è l’archetipo comune, esattamente come i rami dipendono dall’unico tronco dell’albero; anche in Leopold Ziegler tutte le razze umane hanno la loro fonte primaria nell’Adamo androginico creato nel 1° capitolo del Genesi, ciò ricordando a mio avviso la “Urmensch”, già incontrata, ipotizzata da Edgard Dacquè.

Il concetto di base è cioè che la razza, oltre che sul solo piano fisico, vada prima di tutto intesa come una modalità di esistenza, informata da uno specifico archetipo platonico; e ciò anche se non è certo che l’idea possa sempre ed immancabilmente incarnarsi in una data razza fisica. E’ però plausibile, riteniamo, che l’idea immateriale discenda nella fisicità con maggior precisione nei primi tempi del ciclo, ancora “fluidi” e permeabili (come vedremo), mentre, con il sopraggiungere delle successive frammentazioni o fusioni tra i vari gruppi umani è probabile che tali archetipi trovino sempre meno possibilità di corrispondere a delle effettive popolazioni viventi.

Ma ovviamente la molteplicità dell’umano, e la sua riconducibilità ad un’origine monofiletica, è stata indagata anche da altri punti di vista; ad esempio, da quello glottologico, Alfredo Trombetti fu convinto sostenitore di una fonte comune di tutte le famiglie linguistiche del pianeta, mentre, più recentemente, Merritt Ruhlen segnalò come tutte le oltre 5000 lingue sparse nel mondo condividano in pratica il medesimo grado di complessità, cosa che risulterebbe senz’altro incoerente con un’origine polifiletica delle stesse. O, dal punto di vista genetico, Luigi Luca Cavalli Sforza non manca di rilevare come la separazione tra i vari gruppi umani deve essere stata anche relativamente recente, vista la totale interfecondità tra tutti questi, ciò evidentemente indicando che non ci si trova all’inizio della formazione di specie diverse.

La raffigurazione più consona dei vari sottogruppi umani è quindi quella di un albero, dove le varie razze vanno considerate come rami diversi, staccatisi da un tronco comune in periodi differenti e magari modificatisi con velocità diseguali nel corso del tempo.

Ma oltre all’aspetto profondamente costitutivo delle varie sottospecie di Homo Sapiens, tratti comuni a livello planetario sono riscontrabili anche sul piano ideale e culturale.  

Se già Ananda Kentish Coomaraswamy ebbe, in termini generali, a sottolineare come la stessa “Philosophia Perennis” – altro modo per definire la Tradizione Primordiale – è anche “universalis”, ovvero eredità comune a “tutto il genere umano senza eccezioni”, studiosi delle religioni quali Mircea Eliade misero in luce come sia largamente diffusa nei più svariati popoli della terra, senza distinzione di razza, posizione geografica, cultura e religione, una profonda nostalgia evidenziata nei miti di stratificazione più antica – la cosiddetta “nostalgia delle origini” – che rimanda ad un’ormai perduto e comune momento paradisiaco iniziale.

Aspetti culturali anche più specifici vengono evidenziati da Eliade nelle numerose rassomiglianze denotate nei riti sciamanici di popolazioni in America, Siberia e Scandinavia (soprattutto tra i Lapponi) di elementi che, in quanto rintracciabili anche nell’America del Sud, ben difficilmente potrebbero essere dovuti ad un’influenza eurasiatica recente piuttosto che ad una comune fonte ancestrale. Ed anche sul versante artistico, Leroi-Gourhan segnala come ad esempio l’arte rupestre dei Boscimani sudafricani risulti contrassegnata da aspetti grafici, tipici della pittura sciamanica, che rivela connessioni chiare con quelle degli Indiani d’America e, sorprendentemente, anche con certe pitture paleolitiche dell’occidente europeo. In generale risulta cioè chiaro come l’arte paleolitica (figurativa ed astratta), il cui culmine viene appunto toccato nel periodo maddaleniano europeo, presenti delle forme e dei segni uguali, ad esempio, a quelle rinvenute in Tanzania, Brasile o Australia (ma anche in contesti non più paleolitici, come in Egitto, Cina o Mesopotamia, denotando peraltro una indubbia continuità culturale con i periodi anteriori) la cui area di dispersione – planetaria – non può certo lasciare indifferenti. Oltretutto, si tratta di un corpus di segni e grafismi le cui ripetitività e le diverse associazioni fanno sicuramente pensare a delle precise concettualità sottostanti, smentendo quindi le intrepretazioni basate su paragoni impropriamente tentati con le espressioni artistiche infantili; ciò a seguito, a nostro avviso, di un palese pregiudizio evoluzionistico da parte di ricercatori che ritengono le popolazioni “selvagge” immancabilmente dominate da un “prelogismo” tipico delle menti infantili.

 

 
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