Creato da: MICHELEALESSANDRO il 15/07/2012
PREISTORIA UMANA E TRADIZIONALISMO INTEGRALE

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I PRIMI PASSI DELLA POPOLAZIONE ANCESTRALE – AFRICA, AUSTRALIA ED EURASIA

Cercheremo ora di gettare uno sguardo generale sulle primissime tracce lasciate in varie parti del mondo dalla popolazione ancestrale del nostro Manvantara, dopo che nel post precedente abbiamo avanzato qualche ipotesi su quelli che potrebbero esserne stati i probabili elementi fisico-razziali di base. In ogni caso, anche se generici tratti “anatomicamente moderni”, o tecnologie ad essi associabili, sono riscontrabili già negli antichi ritrovamenti africani di Klasies, mediorientali di Skhul / Qafzeh, arabi di Jebel Faya, cinesi di Liujiang ed australiani di Kununurru – tutti databili attorno, o anche più, di 100.000 anni fa – vari ricercatori ipotizzano che le facoltà culturali completamente “moderne” e la piena adeguatezza dello sviluppo cognitivo a livello neurologico (quindi non riconoscibili attraverso i reperti scheletrici), può essere apparsa non prima di 40-50.000 anni fa, ovvero contemporaneamente all’inizio della fase preistorica denominata Paleolitico Superiore. In effetti, viene rilevato che proprio attorno a tale data l’aspetto materiale degli oggetti e dell’arte prodotta iniziano a cambiare rapidamente e da più parti è stato proposto che il mutamento osservato può essere collegato anche all’inizio delle prime forme di linguaggio complesso (curiosamente, lo stesso lasso di tempo venne proposto anche dal glottologo Alfredo Trombetti per la differenziazione, a partire da una base comune, di tutte le lingue mondiali); sulla cosa sembrerebbe peraltro concordare anche il genetista tedesco Svante Paabo in base all’analisi di alcuni specifici geni deputati a regolare la funzione del linguaggio.

E’, questo, un punto di vista chiaramente evoluzionista, in quanto tende comunque a mettere in relazione, in linea ascendente, le forme umane più recenti con quelle più antiche, ma la data nella quale per i ricercatori si manifestò quella che viene considerata una nettissima discontinuità evolutiva ci sembra particolarmente significativa per una serie di ragioni che di seguito si chiariranno.

Infatti, è più o meno attorno a 50.000 anni fa – o, quanto meno, difficilmente prima – che, come vedremo, si possono collocare, in varie aree  del mondo, i più antichi eventi, reperti diretti ed attestazioni culturali attribuibili con una certa sicurezza a Homo Sapiens Sapiens e che rientrano nell’ambito del presente Manvantara iniziato 65.000 anni fa (ricordiamo che quanto invece è collegabile a datazioni ancora più antiche ricade, dal nostro punto di vista, in cicli umani precedenti a quello attuale, e quindi esce dai limiti della presente ricerca).  

Per quanto, ad esempio, riguarda l’Africa, se escludiamo la cultura sudafricana di Howiesons Poort, collocabile circa 60-65.000 anni fa (le cui caratteristiche pienamente “moderne” non trovano unanimità tra gli studiosi, anche per le enigmatiche modalità della sua scomparsa, in quanto soppiantata da una tecnologia più arcaica), possiamo ricordare i ritrovamenti in Marocco di Dar-es-Soltane e Temara, situabili a circa 40-50.000 anni fa, o forse anche un po’ di più ma, anche qui, senza il generale consenso dei ricercatori. In un periodo analogo, sotto l’aspetto genetico, Cavalli Sforza ipotizza un flusso migratorio avvenuto dall’Asia occidentale all’Africa tra i 60.000 e i 40.000 anni fa, anche se tale stima andrebbe analizzata assieme all’evidenza di un probabile spopolamento che, per il territorio nordafricano, Klein segnala tra 40.000 a 20.000 anni fa.

Per l’Europa disponiamo di qualche elemento in più. Fino a qualche anno fa, i più antichi ritrovamenti riconducibili al Paleolitico Superiore, e quindi collegabili alla presenza di uomini anatomicamente moderni, erano considerati i siti di Bacho Kiro e Temnata in Bulgaria, datati ad oltre 40.000 anni fa, suggerendo un’ingresso di popolazioni dal medio oriente attraverso la penisola balcanica; in questo quadro si può forse inserire anche il sito ungherese della grotta Istallosko, nei monti Bukk, con punte di cultura aurignaziana valutate attorno a 42.000 anni fa. Successivamente, però, il quadro è stato reso meno chiaro da datazioni similari emerse anche per altri ritrovamenti europei, come la mandibola di Cavern Kent dell'Inghilterra sud-occidentale (tra 44.000 e 41.000 anni fa), quelli della Baia di Uluzzo in Puglia (tra 45.000 e 43.000 anni fa, precedentemente ritenuti neandertaliani), di Fumane in Veneto (40.000 anni fa) e di Magrite in Belgio (tra 43.000 e 41.000 anni fa). Inoltre, tra 45.000 e 40.000 anni fa è stata osservata un intrusione rapida di gruppi aurignaziani cromagnoidi verso ovest lungo le rive settentrionali del Mediterraneo, fino ad arrivare in Spagna dove i siti di El Castillo e Romanì vengono fatti risalire ad un periodo compreso tra 43.000 e 41.000 anni fa. In altre aree appartate dell’Europa nord occidentale, vi sono prove di industrie associabili all’Uomo di Neandertal (Castelperroniano, Uluzziano) che addirittura, in rapporto a quelle aurignaziane, risulterebbero più recenti.Più verso oriente, nella Russia europea, ritrovamenti di antichità valutata tra 50.000 e 35.000 anni fa a Starosel’e, e di circa 45.000 anni fa a Kostenki, fanno in definitiva desumere che, per tutta l’area europea in generale, non sia azzardato considerare la possibilità di retrodatare la comparsa di Homo Sapiens Sapiens anche a 50.000 anni fa.

In Medio Oriente le prime manifestazioni collegabili al Paleolitico Superiore sono situabili tra 50.000 e 47.000 anni fa, in siti quali Boker Tachtit in Negev e El Wad sul Monte Carmelo, dove sono state rinvenute lame ricavate dalle locali schegge musteriane (cioè attribuibili a popolazioni neandertaliane). Una analoga industria basata sulle lame sarebbe anche riscontrabile a Ksar Akil in Libano (42-44.000 anni fa).

Proseguendo verso il centro eurasiatico, ricordiamo i reperti di Diarra-i-Kur in Afganistan, collocabili tra 50.000 e 35.000 anni fa ed i resti riconducibili a Homo Sapiens Sapiens, di circa 43.000 anni fa, rinvenuti presso i monti Altai, a nord del bacino di Tarim; più ad est ancora, segnaliamo lo scheletro trovato nel 2003 nella grotta di Tianyuan, vicino a Pechino, che avrebbe un’età compresa tra i 38.500 e i 42.000 anni e lo collocherebbe tra i più antichi dell’Asia orientale.

Più a sud, nello Sri-Lanka in prossimità di Balangoda (grotta di Batadomba), si segnalano ritrovamenti forse databili a 34.000 anni fa, mentre nel sud-est asiatico quelli di Niah Cave nel Borneo vengono posti tra 50.000 e 35.000 anni fa; per la Nuova Guinea, Lewin valuta molto scarse le prove archeologiche di una presenza umana anteriore a 45.000 anni, mentre la glottologa Johanna Nichols stima tra i 40.000 ed i 45.000 anni l’età della famiglia linguistica indopacifica e di quella australiana.

E proprio in Australia possiamo ricordare i ritrovamenti di Willandra Lakes, situabili tra 50.000 e 35.000 anni fa, e quello del Lago Mungo, recentemente ridimensionato a  42.000 anni fa (dagli iniziali 60.000) ma particolarmente interessante per le implicazioni genetiche che ne sono derivate, data l’impossibilità di ricondurlo a linee mitocondriali africane. Un buon compromesso potrebbe fissare a circa 46.000 anni fa l’arrivo di Homo Sapiens Sapiens in Australia, anche vista la massiccia estinzione di tutti i mammiferi più grandi che in quel momento sembra essersi verificata nel continente, probabile conseguenza di un’intensa attività di caccia praticata dall’uomo.

Ma è soprattutto per il continente americano che, come vedremo nel prossimo post, stanno emergendo elementi interessanti che sembrerebbero rimettere in discussione le ipotesi più consolidate sulla tempistica del suo popolamento.

 

 
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