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Cultura e decisore politico

Foto di single_sound

Il post pubblicato di recente dal titolo "Lo Stato (non) costa troppo" contiene vari spunti che, in un singolo post, non possono essere sviluppati compiutamente. Come accade sempre ogni qual volta si scrive, gli aspetti da approfondire superano le possibilità di scrittura (per ragioni di tempo, di spazio e così via). Si spera quindi che il lettore sviluppi autonomamente gli aspetti che rimangono inespressi.

Tuttavia, facciamo, per così dire, un'eccezione e torniamo su quel post per approfondire un aspetto legato al rapporto tra cultura e decisore politico.

Perché abbiamo avuto il superamento della monetizzazione del debito pubblico? Qual era l'obiettivo del decisore/politico? E qual era la sua cultura?

Apparentamente, l'obiettivo perseguito era "ufficialmente" la disinflazione. Abbiamo usato le virgolette, perché l'abbandono della monetizzazione del debito avvenne tramite uno scambio di lettere tra l'allora Governatore Ciampi e l'allora Ministro del Tesoro Andreatta. Cioè attraverso un atto che non è per niente pubblico ed è sottratto al controllo del Consiglio dei Ministri e del Parlamento, nonostante la sua estrema rilevanza pubblica e il suo influsso sulla politica generale.

Ciò che ne è risultato è stato mettere lo Stato in mano ai mercati finanziari in ordine al suo finanziamento senza alcun contrappeso. Cosicché lo Stato oggi dipende dai mercati finanziari e ha perso la sua sovranità politica.

La cultura del decisore politico (insieme al suo obiettivo, evidentemente) era dunque privatistica e non pubblicistica.

Ciò detto, è però necessario aggiungere alcune considerazioni.

Cosa si intende per cultura?

Un conto è la cultura. E un altro conto è la cultura del decisore. Non sono necessariamente la stessa cosa.

L'orientamento di un soggetto, anche sul terreno economico (ciò che può dirsi orientamento culturale), può cozzare con le acquisizioni della scienza economica, quantunque la scienza economica non sia una scienza naturale bensì umana e, pertanto, le varie teorie economiche siano soggette sempre a intepretazione e revisione.

In altre parole, il decisore non solo dovrebbe possedere un proprio orientamento personale, ma dovrebbe parimenti possedere "la cultura generale".

Già Max Weber (ritratto nella foto che accompagna il post e che lo ha ispirato) nel suo saggio sulla politica come professione aveva parlato del legame tra politica e cultura. L'uomo politico non può dissociare il suo agire dalla cultura, dalla cultura generale.

Ora, l'uomo politico è l'uomo di partito e l'uomo che agisce politicamente pur non appartenendo a un partito.

Cioè a dire, ogni soggetto politicamente attivo è chiamato a esercitare la sua azione senza dissociarla dalla cultura.

Ciò vale quindi anche per il soggetto politico per eccellenza del nostro tempo, che non è l'uomo di partito, bensì per il soggetto finanziario che investe capitali.

Se egli svolge una funzione politica, allora anch'egli è chiamato a non dissociare la sua azione dalla cultura (economica generale, quantomeno).

Proviamo, tuttavia, ad astrarre dall'aspetto politico e a pensare al soggetto finanziario che opera. Egli lavora inevitabilmente per il profitto della propria impresa. Ma il profitto è perseguibile se l'azione per il suo conseguimento è sganciata dalla cultura?

Come è possibile perseguire, per esempio, il profitto in un mercato concorrenziale, quando tutti, in questa tipologia di mercato, tendono a ridurre i costi? Ciò che ingenera una contrazione di attività economica e quindi una minore capacità di generare profitti.

Tanto per rimanere alla cultura (economica generale, perlomeno), basterebbe leggere Federico Caffè per accorgersi di questo problema.

Ma il soggetto finanziario non si attiene alla cultura, si limita alla sua cultura (orientamento culturale). Quella che deve promuovere la concorrenza nei mercati, tanto per dire.

Qual è la conclusione amara di questo ragionamento? La conclusione è che il soggetto economico-finanziario, sulla stessa falsariga del pensiero di von Hayek, ha ribaltato gli elementi fondamentali del ragionamento che conducono all'elaborazione di una teoria. Siccome egli persegue un interesse proprio di puro profitto personale (invero sganciato dalla cultura), allora egli cerca di promuovere una scienza e un sistema culturale che giustificano, legittimano precisamente quella ricerca del profitto, anziché perseguire il profitto sulla base degli elementi che la cultura, cioè la scienza economica, mette già a disposizione.

La conseguenza pratica di questo modo di agire, che stiamo già sperimentando da tempo, non è altro che il fallimento del settore privato che sta agendo in base a teorie che non trovano rispondenza nella realtà.

 
 
 
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