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La storia di angela

Post n°18 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

Forse l'amore per la natura è legato al DNA di ognuno di noi. E' forse per questo che ho amato la natura ancor prima di conoscerla. Può sembrare un'affermazione strana, inconsueta anche assurda se vogliamo, ma io sono nata in una via allora catalogata come semi-periferica di una Milano del dopoguerra dove la natura proprio non esisteva. Un lungo viale con ai margini una fila ininterrotta di alti palazzoni, già due carreggiate per le auto (ancora poche in verità) e al centro la corsia per i tram. Nemmeno all'interno dei palazzi erano stati sistemati giardinetti, qualcuno aveva qualche albero ma per lo più si tratta di cortili sassosi. L'unico contatto con la “natura” lo davano i carretti  per il trasporto di merci, che allora ancora esistevano, trainati dai cavalli e che io bambina, che la mamma trascinava da un negozio all'altro per la spesa quotidiana, guardavo sempre con rinnovato  stupore. C'era si in una piazza dietro questo viale un parco di limitate dimensioni, ma era completamente recintato, le cancellate chiuse, sì perchè all'interno era stata sistemata una scuola con addirittura una piscina,  il cui accesso era limitato ai bambini con problemi di salute, cui era necessaria, così mi dicevano, un'aria diversa, ossigenata; agli altri, quelli sani, quest'aria non serviva e quindi del piccolo parco potevano solo vedere la chioma degli alberi. Ma allora forse  perchè effettivamente l'inquinamento non c'era o era limitato o perchè non sapevamo che avrebbe potuto esserci di questo nessuno se ne preoccupava e i bambini delle città giocavano allegramente per le strade o nei cortili. Inoltre pochi avevano un'auto che permettesse lunghi spostamenti per le attuali gite fuori porta e comunque  nessuno si spostava se non per necessità.

Ma questo mio amore per la natura sbucava ugualmente fuori ed ero attentissima alle spiegazioni della maestra allora “unica” delle elementari che ci faceva conoscere  gli animali, i loro versi , il loro abitat,  la loro utilità per noi umani.

Anche allora c'erano gli album di figurine, per intenderci erano quegli album con gli spazi numerati per incollare le figurine che si compravano  in bustine chiuse che ne contenevano 5 o 6 in edicola

e io tanto avevo tanto pregato la mamma che mi aveva concesso di fare una sola collezione poiché a quel tempo i soldi era pochi e le necessità tante.  Inutile dire che avevo scelto quello degli animali. Ben 600 figurine grandi poco più di un francobollo con tutti gli animali del mondo, si anche l'ornitorinco, il pipistrello e la balena. Così un giorno sì e uno no avevo la  mia bustina di figurine e prima di aprirla dicevo una preghierina perchè non ci fossero “le doppie”, le figurine che già avevo e che avrei in quel caso dovuto scambiare con i compagni di scuola.

Un nuovo materiale poi, posso dirlo con certezza,  cambiò letteralmente la mia vita di bambina, almeno per ciò che riguardava i miei giochi: il PONGO.

Una barretta di cera sintetica colorata che col calore della mano si ammorbidiva e con cui si potevano creare forme. Così avevo messo ancora in croce la mamma che ogni sabato, in alternativa alle figurine, mi comperava una di queste barrette grandi poco più di un dito. Potevo scegliere il colore, ma il pongo poteva essere mescolato per creare colori o sfumature diverse. Il problema era che una volta mescolato ovviamente non si poteva tornare al colore originale.

Cosa facevo io col pongo a disposizione? Ma è ovvio, avevo creato la “mia fattoria” .

Nel giro di qualche settima avevo modellato diversi animali della fattoria, piccoli piccoli. Avevo studiato anche uno stratagemma per consumare meno pongo: l'interno del corpo lo facevo con una pallina di carta che poi rivestivo in base all'animale. Così sono nati polli e galline, un paio di cavalli, le mucche e, un po' più grande il toro, i maiali,  pecore con il loro cane pastore, e anche un gatto.

Per tutti, con alcune scatolette, avevo costruito i ripari e con stuzzicadenti colorati i recinti. Un cartone, ovviamente dipinto di verde,  il prato, era stato completato con un qualche alberello.

E così ogni giorno facevo camminare i miei animali, fingevo di nutrirli, di mungere le mucche, portare le pecore e i cavalli al pascolo. Ogni sera, prima di dormire, li infilavo  nei loro rifugi.

Questo gioco andò avanti per molto, ai bambini allora non si compravano continuamente giocattoli, e noi ci si arrangiava e ci si accontentava di poco.

Infatti c'era anche poco di tutto a quel tempo,  i vestiti firmati non esistevano ancora, così come gli zainetti,  le scarpe  e i corredi vari, i telefonini e i computer poi...chi era fortunato aveva il necessario. Non c'era ancora nemmeno la televisione a stimolare e creare necessità. Molti nemmeno quello e comunque si faticava per arrivare al giorno della paga. Fortunatamente  non c'era ancora nemmeno la televisione a stimolare e creare necessità L'invidia soprattutto tra i bambini era un concetto ancora da sviluppare. Eppure c'era una cosa che invidiavo a molti dei miei compagni di classe: le nonne in campagna.

Alcuni genitori dei miei compagni erano figli di contadini venuti a lavorare in città che utilizzavano le vacanze per ricongiungersi ai loro paranti

Così al rientro dopo le vacanze di Natale, Pasqua o estive,  molti compagni  raccontavano di essere stati dalla nonna a ........., magari   un piccolo paesino della cintura milanese o del sud. Ma per me la località non era determinante, Lodi o Nola non facevano differenza.

Così io mi immaginavo la loro vita all'aria aperta  in mezzo a tanto verde, fiori, piante e animali e mi rammaricavo di non poter fare altrettanto.

La mia campagna era la cassetta di gerani che papà teneva sul davanzale della camera e in cui ogni tanto interravo dei semini che mi portavano i compagni di scuola  e che papà estirpava una volta accertato che si trattava di mais o frumento.

La campagna, il verde, gli animali soprattutto quelli domestici sono stati una vera fissazione per tutto il periodo della scuola elementare.

Cercavo di accarezzare tutti i cani che incontravo e nonostante in una di queste occasioni fossi stata gravemente morsicata ad un braccio continuavo imperterrita a  toccarli.

Il papà dopo tante insistenze, contravvenendo al parere di mamma, portò a casa un giorno un cuccioletto regalatogli da un collega. Avevo 9 anni. Con questo lupetto ho condiviso parecchi anni di vita e parecchi giochi per strada o in cortile. Chissà se anche lui soffriva per la mancanza di spazi verdi su cui correre, di alberi da segnare visto che le sue quotidiane passeggiate si svolgevano su quel lungo viale che via via si faceva sempre più trafficato. Pian piano i carretti trainati dai cavalli diminuivano, le auto e gli altri mezzi motorizzati ne prendevano il posto. Erano gli anni 60, la vita cambiava rapidamente, per tutti, compresa me e la mia famiglia, le mete da raggiungere erano gli elettrodomestici, la tv, l'auto, le vacanze al mare  e anch'io, sempre più impegnata con gli studi avevo perso parte dell'interesse per la “vita agreste”.  Poi, successivamente, il lavoro, la famiglia assorbivano il mio tempo. La campagna era lontana anche nella mia mente,  mi bastavano  i vasetti di gerani e di basilico sul balcone in estate. Le vacanze al mare avevano sopperito, almeno credo, alla mia voglia di campagna di bimba.

Almeno credevo perchè appena mi si presentò l'occasione di spostarmi dal lungo viale dove ero nata ad un paese del sud-ovest  milanese mi sembrò di rinascere. Gli spostamenti per raggiungere il lavoro erano più lunghi, non ero propriamente in campagna ma le case erano poche e circondate comunque da prati o zone incolte, ma che importava. Aprire la finestra al mattino e non vedere unicamente palazzi e case ti dava una nuova carica, il cielo sembra più azzurro la vita tornata a ritmi più umani.

 

parte prima

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