Creato da legambientelomellina il 19/12/2009

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blog ecologista

 

 

La storia di Angela: parte seconda

Post n°19 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

Ricordo un evento che mi affascinò particolarmente. Una notte, saranno state all'incirca le quattro,  fui svegliata da una strano rumore: dalla finestra vidi un gregge di pecore, forse un centinaio,  che, guidato da due cani pastore, percorreva il viale sottostante, per posizionarsi in una grande area incolta  lì accanto. Nella mattinata gli ovini se ne erano andati e lo spettacolo, perchè veramente è stato uno spettacolo vedere queste pecore che limitate dai cani, non superavano la linea di mezzeria, si ripetè ancora qualche volta nel corso della primavera. Poi non più. Certo qualche grù poteva far presagire uno sviluppo diverso,  ma sembrava ancora una cosa lontana.

La mia voglia di campagna, sopraffatta dagli impegni quotidiani,  rimaneva assopita in qualche remota area del mio cervello. Nel frattempo il paese cresceva, cresceva la famiglia, crescevano gli impegni e la vita ti prendeva e ti trascinava nel suo ingranaggio, è una frase retorica, ma che mi piace perchè rende bene l'idea. I palazzoni cominciavano a fiorire le aree verdi e incolte a sparire,  anche se le comodità aumentavano. Nuovi negozi e supermercati, i centri commerciali ancora non erano sorti,  permettevano comodi acquisti. I quartieri discretamente collegati a Milano anche da mezzi pubblici e l' amministrazione comunale faceva il possibile affinchè le scuole fossero di buona qualità.  

Ed è stato dopo una gita domenicale al Ticino e un breve giretto nella Lomellina, che  la voglia di campagna si è nuovamente fatta largo nei meandri della mia mente e la mia massima aspirazione vivere nel verde a contatto con la natura e gli animali.

Io ormai rassegnata alla vista di palazzoni, al rumore del traffico che non cessava mai e che mi aveva costretto all'installazione dei doppi vetri e a dormire con le finestre chiuse anche nell'afosa estate milanese, alla ricerca di un posto macchina che costituiva un'angoscia spostare ogni volta l'auto, per cui a volte macinavo lunghi tratti a piedi per evitare di girare poi mezz'ora per parcheggiare senza rischiare la multa, insistevo per fare le “gitarelle  domenicali, il cui scopo inconfessato era proprio quello di guardarmi attorno. Le risaie che in primavera sembrano delle ampie distese di mare senza onde, all'inizio dell'estate diventavano dei mari d'erba e in autunno i campi di mais ti regalavano la vista di grandi spazi color rame e in mezzo a tanti colori le villette dei paesi lomellini. 

Ogni villetta, ogni giardinetto, anche piccolino era motivo di confronto e pensavo alla vita dei suoi fortunati abitanti che potevano passare la domenica zappettando e seminando fiori colorati e arbusti decorativi. Tramite l'enciclopedia delle piante e dei fiori, che era diventata il mio Vangelo,  poi stavo imparando a conoscere meglio il mondo dei vegetali e le specie floreali maggiormente usate nei nostri climi.

Insomma per farla breve contagiai i miei famigliari, che dopo qualche resistenza per la distanza dai luoghi di lavoro, cominciarono a pensarla come me e ......fu così che partimmo alla caccia della nostra nuova residenza. Luogo prescelto ovviamente la Lomellina. Preferenza per Vigevano e dintorni (il Ticino ancora una volta aveva giocato la sua carta vincente).

Il nuovo secolo portò la nuova casa. A Cassolnovo. Paese della Lomellina confinante con Vigevano.

Una graziosa villettina bi-familiare con giardinetto sul retro e ovviamente la vista sconfinata sulle risaie. Bisognava attraversare completamente il paese percorrendo la strada principale a doppio senso, ma che un doppio senso non lo era mai per via delle auto parcheggiate, ma via... che importanza poteva avere ciò per noi amanti della natura.

La casa faceva parte di un gruppo di villettine simili, ma cosa più importante era che ci veniva assicurato che sul lato opposto della strada il piano prevedeva anche un giardinetto comunale e che i terreni retrostanti erano aree agricole che sarebbero rimaste tali.

Ci mettemmo all'opera per trasformare il minuscolo terreno in un autentico giardinetto, cosa non facile per degli assoluti  principianti come noi. Aspettavamo con ansia il sabato e la domenica per

dedicarci ai “lavori agricoli” e alla visita delle serre vicine.  A me piaceva poi riposare  o  leggere all'aperto sull'amaca o dedicarmi ai lavori a maglia, con l'Autan le zanzare e i moscerini non disturbavano  più di tanto e poi c'erano solo di sera.

Le difficoltà arrivavano immancabili il lunedì mattina, la sveglia un'ora prima di quanto eravamo abituati e la “vigevanese” ancora  buia della notte che ci aspettava per acchiapparci col suo traffico mattutino di lavoratori pendolari, come noi. La strada che nei mesi precedenti ci sembrava una gradevole passeggiata ora si dilatava in lunghezza e spesse volte ti costringeva a lunghe code per qualche incidente o per lavori in corso. Con l'ansia di arrivare tardi e la tensione della guida si arrivava al lavoro già stanche. Lo stesso ovviamente avveniva al ritorno.

Ma il ritorno  pesava di meno perchè come dicevo io allora, una volta girato l'angolo, ti si apriva un mondo meraviglioso. E l'angolo, anzi forse sarebbe meglio dire gli angoli, erano costituiti dal ponte del Ticino prima e dalla  circonvallazione di Vigevano  poi.

Se per strada non trovavi intoppi e il cielo era ancora chiaro, ti si paravano a destra e sinistra, campi  e risaie coi loro colori diversi a seconda delle stagioni. Il brillante mare delle risaie in primavera, lasciava spazio alle spighe di riso verdi  e alle spighe dorate di grano in estate, al giallo caldo delle pannocchie in autunno. Anche la nebbia, se non molto fitta, aveva il suo fascino, si alzava sui campi come un leggero velo di tulle e nello stesso tulle ti avvolgeva e ti guidava fino a casa. 

E la  tua casa sembrava lì ad attenderti e chiedere la tua attenzione. E di attenzione io la colmavo subito. Ancor prima di entrare passavo in rassegna “le mie coltivazioni”, controllando se era sbocciato qualcuno dei bulbi piantati a suo tempo, se le rose avevano bisogno dell'insetticida o del concime, tagliando i rametti scomposti e togliendo le foglioline appassite. Il sogno era diventato realtà;  tutto bene insomma. Si per qualche tempo.

Un mattino vedemmo delle persone che con i metri elettronici misuravano, picchettavano il terreno di fronte a noi. Dopo qualche giorno le gru si installarono  maestose e le ruspe iniziarono il loro lavoro di scavatrici. In breve sull' altro lato della strada cominciarono a prendere forma delle nuove villette. Pazienza, pensai, anche ad altri veniva dato di godere del verde Lomellino.

Ma il previsto giardinetto comunale dov' era andato?  Doveva essere alla fine o all'inizio della schiera di villette? In realtà era sparito, ingurgitato da un' ultima villetta, però singola.

Le sorprese si rincorrevano e si sommavano una dopo l'altra. Nel paese le gru sorgevano come grossi funghi e ogni quadrato di terra aveva la sua. Il borgo si ampliava, i campi sparivano. Vuoi per la riqualificazione dell'area, vuoi perchè una bella costruzione è meglio di un'area incolta,  perchè poi non si possa trasformare un'area incolta in un parco ad uso pubblico non si sa, e non ultima scusa,  vuoi perchè tenere bene il verde costa e i Comuni non hanno soldi da spendere per questo e poi perchè i giardinetti o i parchi?  Per tutto ormai si fa appello ai volontari e agli sponsor, perchè non pensare a queste soluzioni anche per il verde pubblico?

In Lomellina ci sono già  i campi e le risaie. Deveno bastare questi. No, i campi e le risaie sono bellissimi, ci danno da vivere, ma da soli non bastano alla vita quotidiana. Per passeggiare nel parco del Ticino occorre più tempo, l'auto e diciamolo francamente, nei giorni feriali non si può certo definire un luogo sicuro. E così anche qui, adesso, i nostri figli e i nostri nipotini giocano nelle strade.

Possiamo mai passeggiare in una risaia colma d'acqua o lungo i margini della statale dove le macchine sfrecciano veloci, sicuramente troppo veloci, e dove ovviamente non esistono marciapiedi, magari con la carrozzina del bimbo ancora piccolo o con la bicicletta? E poi perchè costruire i canali di irrigazione con ripide sponde oblique di cemento senza mai un possibile appiglio? Visto che è probabile che qualcuno, bambino o animale,  possa cadere dentro perchè non fare sponde gradinate, almeno di tanto in tanto, così che sia possibile uscirne. Ma i problemi vanno risulti e tutto è stato o sarà presto risolto perchè sulle aree rurali sono stati costruiti capannoni, fabbricati industriali o commerciali.  I campi e la risaie sono stati letteralmente soppressi.

Così la gente non ci penserà  più.

Lungo la provinciale iniziò infatti a sorgere una schiera infinita di fabbricati industriali. Anche adesso la costruzione continua senza posa cementando tutto il possibile.  Poi ancora case piccole sulle aree piccole, interi quartieri sulle aree grandi. Una vera corsa contro il tempo, una frenesia degna di miglior causa.

Case, supermercati, centri commerciali, chi più ne ha più ne metta. Che bello sta arrivando anche l' out let con almeno un centinaio di negozi, parcheggi e servizi. Forse si pensa che con tante attività di vendita le persone mangeranno tre polli invece di uno, forse sperano che in futuro l'umanità avrà  quattro piedi invece di due e così si raddoppieranno o triplicheranno  le vendite di calzature. Questo non sarà possibile ma certamente però fra poco ci sarà sicuramente più gente che compra di quella che vende.

E che dire degli appartamenti. Si parla tanto di crisi ma si continua a costruire. Così dicono, si fanno lavorare gli artigiani. Ma se non si vendono poi gli appartamenti, visto che le costruzioni fervono in tutta l'Italia e non solo in Lomellina, come si pagheranno poi gli artigiani? 

Vigevano diventerà una vera citta con 100.000 abitanti. Perchè poi? Vinceremo il Peluche gigante, come alle giostre,  una volta raggiunto il punteggio? E a questi nuovi abitanti non si dovrebbero dare anche i servizi oltre alle case?  Gia ora il traffico aumenta giorno per giorno e nell'aria vanno aumentando tutte le sostanze che tanto si paventavano in città, perchè non è certo possibile spostarsi da un paese all'altro per raggiungere i posti di lavoro senza auto e nemmeno fare la spesa nei centri commerciali senza un mezzo motorizzato. Col treno i “poveri pendolari” alzandosi a ore antelucane possono andare a Milano, Mortara e Abbiategrasso,  dove prenderanno altri mezzi e raggiungeranno i loro posti di lavoro già stanchi, ma non è certo possibile congiungere fra loro i vari paesi.

Il pendolarismo automotorizzato sta toccando il suo vertice, percorrere in auto le provinciali nelle ore canoniche del mattino o della sera già ora distrugge sia noi a livello di stress, che i nostri polmoni. Chissà quando arriveremo a essere in 100.000, tutti, o quasi, in coda sulla vigevanese alle 7,30  e alle 18.

A peggiorare la qualità dell'aria arrivò anche, a pochi chilometri,  l'inceneritore.

A noi bastava la raffineria.

Io sono convinta che anche un filo d'erba contribuisce a migliorare la qualità dell'aria per questo, ripeto e non mi stancherò di ripeterlo,  amo il verde, le piante e i campi e non mi rassegno alla cementificazione massiva. Penso che ognuno di noi debba fare qualcosa per fermare questo massacro. Uno spot diceva “uniti si può” applichiamolo per difendere la nostra terra dalla speculazione e dagli abusi. La natura ha mille risorse per risollevarsi e riprendere vita, ma come dimostrato, lo vediamo spesso nei TG,  se troppo maltrattata e abusata ci punisce diventando distruttiva.  Le frane, le alluvioni sono spesso il risultato dell'opera dell'uomo.

Per ora basta così. Visto che ancora c'è un po' di sole e il mio piccolo giardinetto ancora non è stato espropriato per  far passare una strada o costruirci un piccolo capannone, ne approfitterò per rilassarmi qualche minuto sul dondolo con un buon libro  all'ombra del.........muro della casa vicina. Io, come tanti,  vorrei che questo strazio finisse e quel che rimane del suolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

 

 

    

 

 
 
 

La storia di angela

Post n°18 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

Forse l'amore per la natura è legato al DNA di ognuno di noi. E' forse per questo che ho amato la natura ancor prima di conoscerla. Può sembrare un'affermazione strana, inconsueta anche assurda se vogliamo, ma io sono nata in una via allora catalogata come semi-periferica di una Milano del dopoguerra dove la natura proprio non esisteva. Un lungo viale con ai margini una fila ininterrotta di alti palazzoni, già due carreggiate per le auto (ancora poche in verità) e al centro la corsia per i tram. Nemmeno all'interno dei palazzi erano stati sistemati giardinetti, qualcuno aveva qualche albero ma per lo più si tratta di cortili sassosi. L'unico contatto con la “natura” lo davano i carretti  per il trasporto di merci, che allora ancora esistevano, trainati dai cavalli e che io bambina, che la mamma trascinava da un negozio all'altro per la spesa quotidiana, guardavo sempre con rinnovato  stupore. C'era si in una piazza dietro questo viale un parco di limitate dimensioni, ma era completamente recintato, le cancellate chiuse, sì perchè all'interno era stata sistemata una scuola con addirittura una piscina,  il cui accesso era limitato ai bambini con problemi di salute, cui era necessaria, così mi dicevano, un'aria diversa, ossigenata; agli altri, quelli sani, quest'aria non serviva e quindi del piccolo parco potevano solo vedere la chioma degli alberi. Ma allora forse  perchè effettivamente l'inquinamento non c'era o era limitato o perchè non sapevamo che avrebbe potuto esserci di questo nessuno se ne preoccupava e i bambini delle città giocavano allegramente per le strade o nei cortili. Inoltre pochi avevano un'auto che permettesse lunghi spostamenti per le attuali gite fuori porta e comunque  nessuno si spostava se non per necessità.

Ma questo mio amore per la natura sbucava ugualmente fuori ed ero attentissima alle spiegazioni della maestra allora “unica” delle elementari che ci faceva conoscere  gli animali, i loro versi , il loro abitat,  la loro utilità per noi umani.

Anche allora c'erano gli album di figurine, per intenderci erano quegli album con gli spazi numerati per incollare le figurine che si compravano  in bustine chiuse che ne contenevano 5 o 6 in edicola

e io tanto avevo tanto pregato la mamma che mi aveva concesso di fare una sola collezione poiché a quel tempo i soldi era pochi e le necessità tante.  Inutile dire che avevo scelto quello degli animali. Ben 600 figurine grandi poco più di un francobollo con tutti gli animali del mondo, si anche l'ornitorinco, il pipistrello e la balena. Così un giorno sì e uno no avevo la  mia bustina di figurine e prima di aprirla dicevo una preghierina perchè non ci fossero “le doppie”, le figurine che già avevo e che avrei in quel caso dovuto scambiare con i compagni di scuola.

Un nuovo materiale poi, posso dirlo con certezza,  cambiò letteralmente la mia vita di bambina, almeno per ciò che riguardava i miei giochi: il PONGO.

Una barretta di cera sintetica colorata che col calore della mano si ammorbidiva e con cui si potevano creare forme. Così avevo messo ancora in croce la mamma che ogni sabato, in alternativa alle figurine, mi comperava una di queste barrette grandi poco più di un dito. Potevo scegliere il colore, ma il pongo poteva essere mescolato per creare colori o sfumature diverse. Il problema era che una volta mescolato ovviamente non si poteva tornare al colore originale.

Cosa facevo io col pongo a disposizione? Ma è ovvio, avevo creato la “mia fattoria” .

Nel giro di qualche settima avevo modellato diversi animali della fattoria, piccoli piccoli. Avevo studiato anche uno stratagemma per consumare meno pongo: l'interno del corpo lo facevo con una pallina di carta che poi rivestivo in base all'animale. Così sono nati polli e galline, un paio di cavalli, le mucche e, un po' più grande il toro, i maiali,  pecore con il loro cane pastore, e anche un gatto.

Per tutti, con alcune scatolette, avevo costruito i ripari e con stuzzicadenti colorati i recinti. Un cartone, ovviamente dipinto di verde,  il prato, era stato completato con un qualche alberello.

E così ogni giorno facevo camminare i miei animali, fingevo di nutrirli, di mungere le mucche, portare le pecore e i cavalli al pascolo. Ogni sera, prima di dormire, li infilavo  nei loro rifugi.

Questo gioco andò avanti per molto, ai bambini allora non si compravano continuamente giocattoli, e noi ci si arrangiava e ci si accontentava di poco.

Infatti c'era anche poco di tutto a quel tempo,  i vestiti firmati non esistevano ancora, così come gli zainetti,  le scarpe  e i corredi vari, i telefonini e i computer poi...chi era fortunato aveva il necessario. Non c'era ancora nemmeno la televisione a stimolare e creare necessità. Molti nemmeno quello e comunque si faticava per arrivare al giorno della paga. Fortunatamente  non c'era ancora nemmeno la televisione a stimolare e creare necessità L'invidia soprattutto tra i bambini era un concetto ancora da sviluppare. Eppure c'era una cosa che invidiavo a molti dei miei compagni di classe: le nonne in campagna.

Alcuni genitori dei miei compagni erano figli di contadini venuti a lavorare in città che utilizzavano le vacanze per ricongiungersi ai loro paranti

Così al rientro dopo le vacanze di Natale, Pasqua o estive,  molti compagni  raccontavano di essere stati dalla nonna a ........., magari   un piccolo paesino della cintura milanese o del sud. Ma per me la località non era determinante, Lodi o Nola non facevano differenza.

Così io mi immaginavo la loro vita all'aria aperta  in mezzo a tanto verde, fiori, piante e animali e mi rammaricavo di non poter fare altrettanto.

La mia campagna era la cassetta di gerani che papà teneva sul davanzale della camera e in cui ogni tanto interravo dei semini che mi portavano i compagni di scuola  e che papà estirpava una volta accertato che si trattava di mais o frumento.

La campagna, il verde, gli animali soprattutto quelli domestici sono stati una vera fissazione per tutto il periodo della scuola elementare.

Cercavo di accarezzare tutti i cani che incontravo e nonostante in una di queste occasioni fossi stata gravemente morsicata ad un braccio continuavo imperterrita a  toccarli.

Il papà dopo tante insistenze, contravvenendo al parere di mamma, portò a casa un giorno un cuccioletto regalatogli da un collega. Avevo 9 anni. Con questo lupetto ho condiviso parecchi anni di vita e parecchi giochi per strada o in cortile. Chissà se anche lui soffriva per la mancanza di spazi verdi su cui correre, di alberi da segnare visto che le sue quotidiane passeggiate si svolgevano su quel lungo viale che via via si faceva sempre più trafficato. Pian piano i carretti trainati dai cavalli diminuivano, le auto e gli altri mezzi motorizzati ne prendevano il posto. Erano gli anni 60, la vita cambiava rapidamente, per tutti, compresa me e la mia famiglia, le mete da raggiungere erano gli elettrodomestici, la tv, l'auto, le vacanze al mare  e anch'io, sempre più impegnata con gli studi avevo perso parte dell'interesse per la “vita agreste”.  Poi, successivamente, il lavoro, la famiglia assorbivano il mio tempo. La campagna era lontana anche nella mia mente,  mi bastavano  i vasetti di gerani e di basilico sul balcone in estate. Le vacanze al mare avevano sopperito, almeno credo, alla mia voglia di campagna di bimba.

Almeno credevo perchè appena mi si presentò l'occasione di spostarmi dal lungo viale dove ero nata ad un paese del sud-ovest  milanese mi sembrò di rinascere. Gli spostamenti per raggiungere il lavoro erano più lunghi, non ero propriamente in campagna ma le case erano poche e circondate comunque da prati o zone incolte, ma che importava. Aprire la finestra al mattino e non vedere unicamente palazzi e case ti dava una nuova carica, il cielo sembra più azzurro la vita tornata a ritmi più umani.

 

parte prima

 
 
 

Educazione ambientale nelle scuole,un seme per il futuro ? Sergio racconta

Post n°17 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

 

Sono ormai più di 20 anni che svolgo attività volontaria nelle scuole della nostra provincia sui temi ambientali e da un paio di anni, diventato socio del Circolo di Legambiente “ il Colibri “ di Cilavegna, continuo l’attività di educazione dei nostri ragazzi.

          L’esperienza nelle scuole è iniziata nel 1983 con un corso di Educazione Stradale per le scuole elementari di Gravellona Lomellina, esperienza molto gratificante che è continuata per nove anni con l’inserimento negli ultimi tre, di un corso supplementare di Educazione Ambientale con particolare riferimento alla raccolta differenziata dei rifiuti che proprio in quegli anni partiva con la messa a disposizione dei cittadini dei cassonetti per la raccolta dei vari rifiuti.

         La motivazione dell’inserimento del corso di Educazione Ambientale è nata dal fatto che molti rifiuti venivano gettati nelle campagne del territorio comunale, in modo particolare lungo i corsi d’acqua evidenziando la mentalità che a casa mia tutto deve essere pulito ma, fuori dalla mia proprietà, ci posso buttare quello che non mi serve più.

         Da allora anche come Guardia Ecologica della Provincia di Pavia mi sono sempre offerto per incontrare i ragazzi e parlare loro di rispetto dell’ambiente. Oltre allo scopo di parlare ai ragazzi, sono convinto che questo sia un mezzo per raggiungere i genitori che, attraverso le domande dei figli, possono essere resi più consapevoli dei problemi legati ai comportamenti quotidiani. Trovo molto stimolante l’incontro con gli alunni che pur essendo giovanissimi, in molti casi offrono degli spunti per interventi non previsti e per questo, prima di ogni intervento anch’io ripasso la lezione.

         Negli ultimi anni, oltre ai tradizionali temi proposti, il bosco, gli animali, i rifiuti, si sono aggiunti due temi molto attuali come l’acqua e l’energia che sono risultati in sintonia con il programma scolastico.

         L’incontro con la classe concordato nel suo svolgimento e periodo con l’insegnante, prevede la durata di circa un’ora e venti minuti durante i quali si parla dell’argomento sollecitando l’attenzione e la partecipazione dei ragazzi che hanno sempre alcune domande sorprendenti, poi, appena cala un po’ di attenzione, ecco una serie di quiz ai quali la classe divisa in gruppi deve rispondere. Qui si scatena la gara tra i gruppi per il maggior numero di risposte esatte. L’incontro termina evidenziando che anche dei piccoli comportamenti quotidiani possono dare un contributo a favore dell’ambiente, per questo lascio a tutti come missione, due piccole cose da fare, molto semplici che dovranno diventare abitudini e rappresentare un piccolo passo per un cittadino più consapevole.

        Come ad esempio nel caso dell’acqua, di non lasciare i rubinetti aperti inutilmente, in modo particolare a scuola e, di fare la doccia al posto del bagno. Quello di chiudere i rubinetti a scuola è stato preso sul serio visto che i più grandicelli, si sono messi a controllare i piccoli e li richiamano a non sprecare acqua.

        Di solito al termine dell’incontro, lascio un questionario per i genitori dicendo ai ragazzi che questa sera saranno i genitori ad avere un “compito da fare “. Il questionario contiene una serie di domande sull’argomento dell’incontro che servono a rendere partecipi i genitori su comportamenti per i quali non si riflette minimamente, come alle risposte assurde su quanta acqua consuma una persona in un giorno, dimostrando quanta ignoranza c’è ancora e in cui prevale una società solo dei consumi.

        Sul tema attualissimo dell’energia, devo dire che ho riscontrato un alto interesse sia degli insegnati che dei ragazzi. Capire o scoprire di vivere in un mondo che funziona quasi esclusivamente grazie all’energia, conoscere i vari modi per produrla, dai più inquinanti ai più puliti, è una cosa che cattura l’attenzione. L’attesa è massima quando in classe, grazie ad un piccolo impianto fotovoltaico che sfrutta il sole, viene prodotta energia elettrica che accende una lampadina. Anche in questo caso vengono dati come impegno di ognuno di spegnare le luci e il televisore quando non servono. Anche il questionario per i genitori rivela una diffusa ignoranza sul tema energetico ma, in alcuni casi si riscontra una discreta conoscenza delle fonti rinnovabili per produrre energia.

          Di norma il ciclo degli incontri si conclude con una visita al depuratore comunale nel caso di argomento acqua e, per l’energia, a una ditta che fornisce impianti fotovoltaici.

          In conclusione andare nelle scuole e confrontarsi con i ragazzi è molto stimolante, si può avere una valutazione del grado di  consapevolezza dei problemi ambientali, e fortunatamente un sempre maggior numero di insegnanti sembra indirizzata a seguire i ragazzi su questo argomento.

          Mi piace pensare che l’incontro con i ragazzi venga registrato in un file nel loro naturale computer, il cervello, e un giorno, per un fatto qualsiasi, venga riaperto quel file e si inneschi un comportamento e una presa di coscienza per mantenere bello questo nostro unico pianeta.

 

 
 
 

Se un giorno.....

Post n°16 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

Se attraversando la pianura vi capita di vedere un pioppeto decimato dall’uragano, e le piante rovesciate, con la chioma per terra e le radici a mezz’aria che si tirano dietro un pezzetto di campo, allora potete star certi che lì sotto, a portata di badile, c’è l’acqua.   Quando incontra l’acqua, la radice del pioppo cessa di trivellare il suolo e si accontenta di estendersi in larghezza, il che va benissimo per nutrirsi, ma non basta a garantire alla pianta la necessaria stabilità.  

 

SOTTO LA PIANURA

 

Dove vivo io il pioppo coltivato viene chiamato Canadese, e per per parlare di un pioppeto si dice i Canadesi, al plurale; sono quanti anni che abito qua e non ho mai sentito un agricoltore usare la parola pioppeto.   Se avete messo piede qualche volta in un pioppeto probabilmente sarete stati colpiti dalla sua somiglianza con un enorme capannone industriale, e in effetti si tratta di un ambiente esageratamente artificiale, grandioso ma vuoto; ci sono questi altissimi pilastri – vivi – e nient’altro, neppure l’erba per terra.   Salvo trovarci, inaspettatamente, qualcuna di quelle anticaglie – un manufatto irriguo in disuso, un filare di salici – che è facile incontrare sparse per la campagna ma che qui dentro (perchè l’impressione è proprio quella di trovarsi al chiuso) assumono l’aspetto un po’ sconcertante delle installazioni museali.   Mi è capitato per esempio di dover visitare una testa di fontanile situata proprio all’interno di un grande pioppeto.   I fontanili, lo spiego velocemente per chi non è della zona, sono le canalizzazioni scavate nei secoli scorsi per recuperare dal suolo acqua da destinare all’irrigazione; la testa è il punto dove comincia il fontanile.   Le teste dei fontanili possono essere di vario tipo e questa apparteneva al più comune, un cospicuo scavo profondo un due metri e mezzo e largo quattro o cinque, dal quale aveva inizio una lunga canalizzazione rettilinea della stessa profondità e larghezza.   Di fontanili ne avevo già passati in rassegna parecchi; quanto ai pioppeti, visto uno visti tutti, insomma non ero per nulla preparato alle singolari impressioni che mi attendevano questa volta.   Nella leggera penombra di quell’ambiente tanto vasto quanto neutro l’ampio scavo scuro spezzava la continuità del suolo grigiastro e uniformemente dissestato dalle ripetute discature.   Era un accesso della metropolitana, pari pari, però con le spallette coperte di rovi, e da esso sgomitavano per uscire certe vigorose figure nere e scarmigliate che viste più da vicino si rivelarono essere sei o sette giovani ontani che effettivamente facevano a spallate per alzare la testa quanto più possibile al di sopra del suolo, intendo dire il mio suolo, perchè il loro stava due o tre metri più giù, sul fondo dello scavo.   Era davvero l’accesso ad un livello infero, al quale dovetti scendere per rilevare temperatura e acidità dell’acqua che sgorgava copiosa e scorreva spigliata, limpida e nera come il fondo melmoso sottostante, sul quale però non mi capitò quasi mai di poggiare il piede giacchè l’invaso era ingombro delle carcasse dei vecchi ontani caduti.   L’aggettivo ingombro rende bene l’idea : tanto era vuoto il livello soprastante, tanto era affollato quello di sotto, e affollato esclusivamente di forme di vita vegetale.   Alle erbacce solitarie e ai radi rovi che mestamente strisciavano sul suolo del pioppeto faceva riscontro al livello più basso un ricco assortimento di muffe, di funghi del legno, di piante acquatiche fluttuanti o galleggianti, di piante erbacee - dalle minuscole alle più allampanate; più, inevitabili, i rovi e le robinie, più – ovviamente - loro, i signori del luogo, gli ontani.   Credo sia il caso di spiegare cosa significasse tutto quel rottame di ontani caduti.    Gli ontani hanno questa abitudine, che quando arrivano ad una certa età si lasciano crollare tutti insieme e fanno spazio ad una nuova generazione.   Gli ontani abbandonano i loro semi all’acqua, e questi germogliano solo se si arenano su di un suolo che sia esattamente di loro gradimento.   Se a questo si aggiunge che gli agricoltori non li amano, è facile capire perchè gli ontani si vadano facendo rari, tanto che li si incontra ormai quasi esclusivamente negli angoli più fuori mano, come quella testa di fontana nascosta nel pioppeto.   Stando sul fondo della quale, intrappolato in un groviglio di piante vive e legna morta, mi veniva quasi da credere che la sdegnosa stirpe degli ontani avesse scelto di rifugiarsi in una dimensione diversa dalla nostra, situata qualche metro più in basso.   Una fantasia che conteneva una mezza verità e una bugia tutta intera.   E’ vero infatti che la rete di teste e canalizzazioni sviluppatasi nei secoli scorsi per recuperare acqua dal suolo è qualcosa di molto simile a quel fantomatico piano di sotto della pianura di cui abbiamo favoleggiato fino ad ora : grandiosa per estensione e molto ramificata, essa ha un proprio microclima e caratteri biologici notevolmente diversi da quelli di superficie.   E’ falso, invece, che questa realtà parallela sia al riparo dalle devastazioni che la specie umana sa provocare : se gli ontani della testa erano scampati sino ad allora, con tutto il loro corteggio di vegetali sudditi, non era perchè si trovassero in un’altra dimensione ma soltanto perchè il pioppeto e il fontanile erano di proprietari diversi, e siccome di questi tempi i cavi fontanili sono apprezzati più come collettori di acque di varia provenienza da rimettere in circolo che non come produttori in proprio di acqua, erano ormai vari anni che nessuno più si prendeva la briga di dare una pulita alla testa, il punto di scaturigine primario.  

 

 
 
 

Buone Feste

Post n°15 pubblicato il 19 Dicembre 2009 da legambientelomellina

 

 

 

 

 

Buone feste ai lettori che ci leggono su questo giornale e che ci scrivono.

 

Buone feste a tutti coloro che amano questa terra, le nebbie che si staccano dai fossi in autunno, il gelo dell’inverno che lascia nel cuore tanta  voglia di letargo ma anche di rinascita, i prati che ancora fioriranno in primavera.

 

Buone feste a chi cerca nuovi stili di vita, nel commercio equo e solidale, nell’acquisto di prodotti di finanza etica, a chi sceglie viaggi del turismo responsabile, a chi scarica software non proprietari, a chi mette pannelli solari per limitare l’uso del petrolio.

 

Buone feste a chi  si fa in quattro perchè l’acqua rimanga un bene pubblico, perchè l’autostrada lomellina  non nasca un giorno a distruggere  questo delicato territorio in cui viviamo , a chi contrasta la scelta delle future centrali nucleari, a Sartirana, o a Trino od ovunque in Italia.

 

Buone feste a chi preferisce alle cene pantagrueliche, il tempo frugale  della solidarietà, a Claudia che ha scelto di essere in questi mesi  in Uganda  come paramedico perché “anche i poveri hanno diritto di danzare la vita”.

 

Buone feste al mondo cattolico che  con la  pastorale per la salvaguardia del creato chiama alla conversione ecologica, a una personale  responsabilità nei confronti del futuro, in attesa del giorno in cui ci sarà data un cielo nuovo e una terra nuova.

 

Buona feste ai nostri amici stranieri, perché si realizzi il loro progetto di migrazione,la loro voglia di raccontarsi , di diventare comunità e trasmettere  gioia nella relazione.

 

Buone feste in particolare a Mohamed  che aiuta ogni sera gli anziani del suo cortile a portare le borse pesanti della spesa e a Danut che colora le sue poesie di “uccelli selvatici migratori che si avvicinano al sole” e ancora  “del coraggio per superare l’immenso oceano e la forza del mare per  poter rinascere altrove”.

 

Buone feste al nostro eco-filosofo preferito, Luciano Valle che abbiamo invitato nel nuovo anno a  Mortara per farci raccontare  il tempo dell’incanto, della preghiera, della meditazione. Che non basta dare ospedali efficienti ai malati, ma che bisogna rifare gli ospedali perchè se il malato sente cantare un cardellino si sente meno solo.

 

Buone feste a chi sta male per la crisi economica, per l’inquietudine e il nichilismo di questo nostro tempo, a chi cerca nuove strade oltre il positivismo  scientista,  gli ideali delle piccole patrie, il consumo come religione totalizzante, a chi cerca la felicità nella sobrietà, nella  fragilità, nella decrescita.

 

Non vogliamo tuttavia fare un elenco di buone intenzioni, eppure anche noi  abbiamo un sogno.

 

Sogniamo per i borghi della  lomellina un futuro che tenga  forte nel cuore le proprie radici ma che non abbia paura di cambiare. Insomma non città “liquide” come quelle studiate dal sociologo Zygmunt Bauman, ma città meravigliose come appunto quelle  invisibili di Italo Calvino.

Città che non trovano posto in nessun atlante, quasi inserite in uno scenario  da "Mille e una notte"con le loro suggestioni e la loro capacità di stupire, in perfetto equilibrio con la natura, i desideri e le speranze di chi le abita.

 

 

 

 
 
 

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