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Incipt di Koala

Post n°5 pubblicato il 29 Aprile 2009 da RomanoDiLivorno

Incipt di Koala

Mi guardo allo specchio mentre il phon soffia aria calda sui miei capelli. Getto un’occhiata distratta all’orologio, fra meno di mezz’ora dovrò essere al lavoro.

Lavoro!  Per la verità di lavoro ce n’è ben poco perché in quel cesso di bar, gente ce ne viene sempre meno. Un po’ per quello spilorcio di proprietario che non vuol tirare fuori i soldi neanche per le più piccole riparazioni, un po’ per la sporcizia che aumenta di giorno in giorno.

Guardo di nuovo l’orologio; mi sa che arriverò in ritardo anche stamani. Dalla porta aperta vedo il letto disfatto con l’impronta del corpo di Mary.

E’ bella Mary. Tipo mediterraneo, viziata e volubile quanto può esserlo una ragazza di vent’anni.

In questo momento vuol fare la cantante; la settimana scorsa la ballerina e quella prima l’attrice. Che me ne frega, tanto poi viene a letto con me...

Mi sa che arriverò con mezz’ora di ritardo. Un’ultima occhiata allo specchio, mi aggiusto la camicia ed esco fischiettando.

Allegria! La vita è bella!

 

Mi accoglie una gran bella giornata, la brezza marina invita a passeggiare e dato che la vecchia, cara “Punto”, sta per esalare l’ultimo respiro, la lascio tranquilla e mi avvio a piedi verso la fonte del mio unico reddito.

 

Voltandomi di tanto in tanto a guardare quelle popò di gnocche per cui é famosa la mia città, ho raggiunto il locale. Madonna com’é squallido! E’ situato in un quartiere caratteristico che ha visto giorni migliori, ma che l’abbandono delle fabbriche ha reso quasi fatiscente.  “StringiStringi” lo chiamano, a causa delle riduzioni di superficie, apportate agli appartamenti, dall’allora regime fascista, per aumentare il numero dei consensi.

Un barbone sta rovistando in un cassonetto, da un camioncino parcheggiato in seconda fila scaricano casse di verdura.  Salto un sacchetto d’immondizia evito il solito stronzo in motorino che viaggia contro mano, tiro un lungo sospiro ed entro fischiettando in quello che ormai viene comunemente chiamato “Trash Bar”. Intendo subito che non é giornata. Il negriero mi guarda accigliato, si porta il polso sinistro davanti agli occhi, osserva l’orologio e capisco l’antifona.

«Sì, scusi. Ho fatto un po’ tardi» dico con l’aria più innocente di questo mondo.

«Un po’ tardi?» mi scimmiotta lo schiavista.

«Cinque minuti.» Insisto voltando lo sguardo da un’altra parte.

«Tre quarti d’ora» ribatte lui «...mezz’ora ieri, un’ora il giorno prima, due lunedì scorso…»

Boia! E proprio incazzato. Mi tolgo la giacca e comincio ad allacciarmi il lungo grembiule unto e bisunto.

«Rimettiti la giacca e vattene. Sei licenziato» Mi dice truce. Lo guardo fisso e gli darei volentieri una scarica di cazzotti, se non fosse per i suoi due metri d’altezza e i centoventi chili di ciccia floscia.

« Fanculo» gli dico invece «non sai cosa ti perdi.» Noto il suo sopracciglio che si alza leggermente «Dammi la liquidazione che me ne vado subito da questo schifo di posto.»

«Passa la settimana prossima» risponde il negriero mentre scaccia una mosca da un vassoio di tramezzini.

 «Se esco da qui senza soldi vado dall’Ispettore del lavoro.»

Lo stronzo sbuffa, vedo che gli si gonfia la vena del collo e mi preparo alla fuga. Lui, invece, tira fuori il libretto degli assegni e fa per scrivere qualcosa.

«Contanti!» ordino.

Prima di uscire getto un’ultima occhiata intorno Vedo la vecchia macchina del caffè, il panchetto sul quale mi sono seduto tante volte a fantasticare, la ragnatela che mi ero proposto di togliere proprio oggi, tiro su col naso, drizzo le spalle, e finalmente uno splendido, potente, liberatorio, vaffanculo, accompagnato da un altrettanto liberatorio gesto dell’ombrello, mi esce come il rombo di un cannone.

Ora la giornata sembra decisamente più brutta ed ho la testa squassata da tuoni e lampi che mi fanno sbattere gli occhi.

“Boia d’un cane! Devo ricominciare da capo.”

Non ho più voglia di camminare, non ho voglia di fischiettare, non ho voglia di andare a casa. Non ho voglia di niente. Il vetro di un negozio mi rimanda l’immagine di un tizio con lo sguardo malinconico. Mi passo la mano sui capelli ancora umidi e riprendo a camminare. “ Stronzo di un negriero!”

«Ciao Diego»

Ecco, ci mancava lei adesso!

«Ciao» rispondo.

«Che ci fai qui? »

Ho la sensazione che stia per scoppiare un temporale.

«Non sei al lavoro?»

Cosa le racconto? Non la guardo negli occhi, fisso i suoi seni, penso a quanto è stato bello solo alcune ore fa, poi l’abbraccio stretta e avvicino la bocca al lobo del suo orecchio.

«Licenziato» sussurro.

La sento irrigidirsi. Per un attimo rimane immobile, poi si scioglie dall’abbraccio e mi guarda. Sembra boccheggiare come un “ghiozzo fuor d’acqua”. Dai suoi occhioni neri escono vere e proprie scosse elettriche mentre dalle sue labbra, perfettamente disegnate, straripa un fiume di parole.

Quei tuoni che sento solo io stanno aumentando e la tempesta che si preannunciava ora è esplosa in tutta la sua veemenza.

«Sei un incapace.» Cerca di darmi un ceffone ma schivo il primo assalto, «un fallito, un buono a nulla, un….» E giù pugni sul petto e calci negli stinchi.

«Hei picchia piano; mi fai male» dico. Cerco di scherzare ma lei non ride e mi fissa negli occhi:

« Ho sopportato anche troppo. Non hai carattere, non hai personalità, non hai niente di niente...» Rimane un attimo senza fiato e ne approfitto per cercare di interrompere quel fiume che sta straripando.

«Ma quello è un negriero...»

«Sì. Quello è un negriero, quello prima non ti pagava, quell’altro ti faceva lavorare troppo....ma che cazzo vuoi che me ne faccia di uno come te. Ho grandi mire io, cosa credi?» Si ferma un attimo con gli occhi bassi come a valutare la portata delle sue parole e mi accorgo che le sue narici si sono allargate a dismisura. Cazzo, sembra un toro che sta per attaccare il torero.

« Sei la mediocrità fatta persona. Sarai un fallito per tutta la vita.» aggiunge furente. Mi assesta un ceffone, che questa volta va a segno, si volta e se ne va.

Avrei voglia di batterle le mani.

«Perfetta interpretazione» vorrei dirle, ma l’unica cosa che riesco a gridare è un fanculo strozzato che lei non sente.

Non mi resta che ammirare, forse per l’ultima volta, il suo fondo schiena che si allontana, sperando che inizino a scorrere i titoli di coda. Ma questo non è un film.

 
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