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Gli Angeli Barboni"

Post n°16 pubblicato il 09 Giugno 2009 da RomanoDiLivorno

Eccomi di nuovo.

Oggi vi faccio leggere un piccolo racconto. Ma, come al solito, per non annoiarvi, lo inserirò in due o tre volte (sempre che vi faccia piacere)

Quanto a “L’ Editore questo sconosciuto” riprenderà appena qualcuno lo richiederà.

 

“Gli angeli barboni”

 Lui, la professione di barbone se l’era proprio scelta. Non come tanti che magari ci si erano trovati a seguito di disgrazie o dissesti finanziari. No. Lui l’aveva scelta perché il mondo in cui aveva vissuto fino allora gli faceva proprio schifo.

Studenti che si prostituivano per un voto migliore, compagni di lavoro che si vendevano per una misera menzione su un articolo di giornale, avvocati che tradivano i loro clienti. E così aveva sbattuto la porta in faccia a tutti, si era comprato un sacco a pelo e aveva cambiato vita.

“…Professione?”

“Barbone!" era solito dire con orgoglio.

 Certo, i primi giorni, anzi le prime notti, erano state dure. Non sapeva bene, dove ripararsi, soprattutto non immaginava che il sacco a pelo sarebbe stato considerato un bene tanto prezioso, da difendere anche con la forza.

Poi aveva fatto le prime, importanti amicizie, imparato l’a, b, c del barbone , pian piano si era inserito nel nuovo mondo e dato non voleva vivere di carità, si era procurato un piccolo portafoglio clienti.

Lo chiamavano per la pulizia dei giardini, tagliare l’erba, potare le siepi e tante altre piccole mansioni. Con i suoi amici aveva stipulato un patto: niente azioni vietate dalla legge, e assistenza reciproca.  

 

Quel giorno l’aveva chiamato la signora Dinelli, gente molto ricca, con una villa a Montenero che pareva un castello. Gli aveva chiesto di ripulire il parco con alberi secolari e lunghi viali lastricati di ghiaia bianca. Avrebbe dovuto raccogliere le prime foglie autunnali, radunarle in un piccolo spiazzo e bruciarle. Tutto sommato un lavoro tranquillo e di totale riposo.

Aveva tirato fuori gli attrezzi dal capanno e iniziato a lavorare. Ogni tanto si soffermava per riposarsi e non poteva fare a meno di lanciare uno sguardo all’orizzonte. Era una giornata limpida e sembrava di poter toccare le isole con la mano.

 «Buon pomeriggio!».

Quasi sobbalzò perché in un momento di silenzio quasi assoluto, la voce della ragazzina lo aveva sorpreso. Si era voltato e aveva risposto educatamente.

«Buon pomeriggio a te».

Avrà avuto sei o sette anni. Molto carina e somigliava in maniera impressionante alla signora Dinelli. “Deve essere sua figlia” pensò.

«Che cosa stai facendo?»

«Raccolgo le foglie»

«Tutte? Ma sono tantissime»

«Lo so, ma è per questo che la signora Dinelli mi ha chiamato».

«E mia madre sai?»

«Sì, l’avevo capito»

«E dopo?» L’aveva guardata sorpreso, «quando le avrai raccolte, cosa ne farai?»

«Le brucerò».

Continuava a fargli domande a ripetizione.

«Come ti chiami?»

«Delfio. Strano eh?»

Ride portandosi la manina alla bocca «Scusa sai, ma non ho mai sentito un nome come questo».

«Non scusarti, ci sono abituato. Comunque significa Fratello di Dio e il 29 Agosto è il mio onomastico – ride anche lui – comunque tutti mi chiamano l’Avvocato».

«Avvocato?» ripeté incuriosita.

«Sì, ma non lo sono»

«E perché?»

«E’ una lunga storia, un giorno magari te ne parlerò».

«Andiamo Consuelo, altrimenti facciamo tardi».

 

La signora Dinelli si era avvicinata, l’aveva salutato ed erano salite in auto.

In quel momento si trovavano sul piazzale antistante alla doppia scalinata che portava al portone d’ingresso.

«Ciao» gli aveva detto la bambina con un gesto della mano. «Ciao» le aveva risposto nello stesso modo. Con il mento appoggiato al manico della scopa metallica, le aveva seguite con lo sguardo finché la grande siepe d’Alloro non le aveva nascoste alla sua vista.

Stava riprendendo a lavorare quando notò un tizio allontanarsi velocemente. Per un attimo lo cercò con lo sguardo, pensando che doveva essere un gran maleducato a pisciare proprio lì, ma subito dopo riprese a lavorare, fino a ché il campanile suonò i sei rintocchi. Si stirò le membra, ripose gli arnesi e se ne andò. Avrebbe ripreso la mattina successiva.

 
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