IL PUNITORE
LA STORIA D'ITALIA ANNI '20, '30, '40 - LA VERITA' CONTRO LA CENSURA
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Questo sito e/o blog si occupa di storia. Vogliamo raccontare, con estratti da documenti, libri, testi, immagini, video e musica, la storia dell'Italia negli anni '20, '30 e '40 quando il paese era Regno d'Italia e Impero Italiano.
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CROCE CELTICA - SIMBOLO DEL P.N.F. 1925-45
SIMBOLO DELLA R.S.I. (FINE ANNI '30)
CLIP STORICA - PROCLAMAZIONE DELL'IMPERO
LOCANDINA PROPAGANDA ANNI '30/'40 - BRIGATE NERE
SENATUS POPOLUSQUE ROMANUS
GIOVANI BALILLA - FOTO EPOCA ANNI '20
IL VESSILO DELLE LEGIONI DELL'IMPERO ROMANO
INNO DELLA X MAS - ANNI '40
Quando pareva vinta Roma antica
sorse l'invitta Xª Legione;
vinse sul campo il barbaro nemico
Roma riebbe pace con onore.
Quando l'ignobil otto di settembre
abbandonò la Patria il traditore
sorse dal mar la Xª Flottiglia
e prese l'armi al grido "per l'onore".
Decima Flottiglia nostra
che beffasti l'Inghilterra,
vittoriosa ad Alessandria,
Malta, Suda e Gibilterra.
Vittoriosa già sul mare
ora pure sulla terra
Vincerai!
Navi d'Italia che ci foste tolte
non in battaglia ma col tradimento
nostri fratelli prigionieri o morti
noi vi facciamo questo giuramento.
Noi vi giuriamo che ritorneremo
là dove Dio volle il tricolore;
noi vi giuriamo che combatteremo
fin quando avremo pace con onore.
Decima Flottiglia nostra
che beffasti l'Inghilterra,
vittoriosa ad Alessandria,
Malta, Suda e Gibilterra.
Vittoriosa già sul mare
ora pure sulla terra
Vincerai!
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Post n°9 pubblicato il 24 Marzo 2009 da ilpunitore78
Con lei non parlava mai di politica e soffriva per le difficoltà che doveva affrontare il popolo italiano. Il Duce, raccontava la signorina Elisa, aveva paura di essere catturato dagli inglesi, si fidava invece degli americani "che" diceva "mi tratteranno bene". Il Duce spesso, affacciandosi alla finestra della sua stanza per ammirare il Gran Sasso diceva "se non fossi prigioniero, qui è meglio del paradiso!". La cara Lisa raccontava sempre la volta che, dolorante per una distorsione alla caviglia, il Duce le diede una pomata e delle bende e le regalò un paio di pantofole che lei conservava gelosamente. E venne il giorno della liberazione. "Era di domenica, una bella giornata. La mattina trascorse tranquilla; alle 14 si sentì un trambusto, vidi degli alianti fuori dall'albergo e all'inizio non capii cosa stava succedendo. Alle 15 arrivò la "cicogna" dove sarebbe salito il Duce. Quando Mussolini stava per uscire dall'albergo, mi accorsi che aveva dimenticato il bastone ed il cappotto. Gli corsi dietro per darglieli e lui mi disse "Grazie figliola, mi ricorderò sempre di te". Poi rivolto a tutti disse "Mi ricorderò di voi e del bene che mi avete fatto". Il 6 febbraio 2001 Lisetta è tornata per l'ultima volta nell'albergo di Campo Imperatore per un'intervista per la trasmissione "Linea Bianca". Mi recai a Camarda, il paese alle pendici del Gran Sasso dove lei viveva, e da lì ci dirigemmo verso la funivia che ci avrebbe condotte a Campo Imperatore. La giornata splendida, la neve bianca, la nostalgia di quei giorni. "E se mi dovessero chiedere se mi ero innamorata?" "Che ti importa Lisa, di' di si, è tutta invidia quella degli altri!" le risposi io. "Prego per lui tutte le sere" dichiarò ancora una volta, come già avvenuto per le tante interviste fatte durante gli anni passati. E come in tutte le altre interviste, la fatidica domanda "Ma lei signorina Elisa, era innamorata del Duce?" "No, queste sono tutte calunnie!". Al termine aiutai Lisa ad indossare il suo cappottino, le porsi il bastone con il quale aiutava le sue gambe stanche e pian piano ci avviammo verso l'uscita dell'appartamento dove nel settembre del '43 alloggiò il Duce Benito Mussolini. Davanti allo studiolo, si fermò, recitò un Eterno Riposo e disse "Quanti bei ricordi!". Sento ancora la sua forte stretta sulla mia mano mentre l'aiutavo lungo il percorso, spesso ghiacciato a causa della neve, che ci avrebbe portati verso la funivia per tornare a casa. |
Post n°8 pubblicato il 22 Marzo 2009 da ilpunitore78
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Post n°7 pubblicato il 22 Marzo 2009 da ilpunitore78
(segue...) |
Post n°6 pubblicato il 21 Marzo 2009 da ilpunitore78
Infanzia e giovinezza Cresciuto in un orfanotrofio, fu riconosciuto dai suoi genitori naturali nell'ottobre del 1879. Studiò presso l'Accademia Militare di Torino, ma avendo sposato una ragazza, Angelina Salvi, che non disponeva della dote richiesta dai regolamenti militari dell'epoca, dovette dimettersi. Passò quindi in Polizia, operando prima a Ravenna, poi, nel 1904, a Castelvetrano, in provincia di Trapani. Le prime esperienze in Sicilia Nel trapanese Mori cominciò subito ad agire energicamente, usando quegli stessi metodi decisi, inflessibili e poco ortodossi che riprenderà - con un'autorità ed una libertà di azione incomparabilmente superiori - molti anni dopo in tutta la Sicilia. Compì numerosi arresti e sfuggì a vari attentati. Scrisse il Procuratore Generale di Palermo:
Mori fu quindi trasferito a Firenze nel gennaio del 1915, con la carica di vicequestore. In seguito ad un inasprimento della situazione in Sicilia, coincidente con l'inizio della guerra, vi fu rimandato al comando di squadre speciali mirate ad una campagna contro il brigantaggio. Nel corso dei suoi rastrellamenti, Mori si distinse ancora una volta per i suoi metodi energici e radicali. A Caltabellotta, in una sola notte, fece arrestare più di 300 persone; nel complesso, ottenne risultati molto positivi. Quando i giornali parlarono di "Colpo mortale alla mafia", Mori dichiarò ad un suo collaboratore:
Promosso e decorato con medaglia d'argento al valore militare, Mori passò successivamente a Torino come questore, poi a Roma e a Bologna. Bologna e lo squadrismo fascista Nel 1922, con la carica di prefetto di Bologna, Cesare Mori fu - da ligio servitore dello Stato deciso ad applicare la legge in modo inflessibile - tra i pochi membri delle forze dell'ordine ad opporsi allo squadrismo dei fascisti. Il crescendo della tensione politica avvenne in seguito al ferimento di Guido Oggioni, fascista e vicecomandante della "Sempre Pronti", mentre tornava da una spedizione punitiva contro i "rossi", e all'uccisione di Celestino Cavedoni, segretario del Fascio. Mori si oppose alle rappresaglie violente e alle spedizioni punitive dei fascisti, inviando contro di loro la polizia, e fu per questo ampiamente contestato. Ad un ufficiale che gli confessava di supportare la "gioventù nazionale" di Mussolini, Mori avrebbe risposto equiparando i fascisti ai "rossi":
A causa di questi precedenti, con l'ascesa al potere del Fascismo Mori cadde in disgrazia e fu dispensato dal servizio attivo. Si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze, assieme alla moglie. La lotta alla Mafia Per la sua fama di uomo energico e di uomo non-siciliano (non in contatto con la mafia locale) ma conoscitore della Sicilia, fu richiamato in servizio all'inizio di giugno del 1924ed inviato come prefetto a Trapani, dove arrivò il 2 giugno 1924 e dove rimase fino al 12 ottobre 1925. Come primo provvedimento ritira subito tutti i permessi d'armi, e nel gennaio 1925 nomina una commissione provinciale che provvede ai nullaosta che rende obbligatori per il campieraggio e la guardiania, attività tradizionalmente controllate dalla mafia. dal ministro dell'Interno Dopo l'ottimo lavoro a Trapani, su ordine di Benito Mussolini fu nominato prefetto di Palermo, con poteri straordinari su tutta l'isola, con l'incarico di sradicare la mafia con qualsiasi mezzo. Si insediò quindi a Palermo il 22 ottobre dello stesso anno e vi rimase fino al 1929. Questo il testo del telegramma inviatogli da Mussolini:
Qui attuò una durissima repressione verso la malavita e la mafia, colpendo anche bande di briganti e signorotti locali. Il 1° gennaio 1926 compì quella che è probabilmente la sua più famosa azione, e cioè l'occupazione di Gangi, paese roccaforte di numerosi gruppi criminali. Con numerosi uomini dei Carabinieri e della Polizia passò quindi al rastrellamento del paese casa per casa, arrestando banditi, mafiosi e latitanti vari. I metodi attuati durante quest'azione furono particolarmente duri e Mori non esitò ad usare donne e bambini come ostaggi per costringere i malavitosi ad arrendersi. Fu proprio per la durezza dei metodi utilizzati che venne soprannominato Prefetto di Ferro. Con metodi più o meno simili, che ricordavano molto la cosiddetta "lotta al brigantaggio" post-risorgimentale, Mori continuò la sua azione per tutto il biennio 1926-27. Anche nei tribunali le condanne per i mafiosi cominciarono a essere durissime. Ben presto però le sue indagini cominciarono a svelare i rapporti esistenti tra mafiosi e uomini del vecchio Stato risorgimentale, ed entrò anche in conflitto con l'elemento di maggior spicco del nuovo fascismo palermitano, Alfredo Cucco, che riuscì a fare espellere dal partito, e quindi dalla vita pubblica, nel 1927. Nel 1929 Mori fu collocato a riposo per anzianità di servizio e il 16 giugno fu nominato senatore del Regno su proposta di Mussolini, mentre per tutta Italia la propaganda dichiarava orgogliosa che la mafia era stata sconfitta. Risultati dell'azione di Mori Ancora oggi si discute sui metodi impiegati da Mori nella sua lotta al fenomeno mafioso. È indubbio che la sua azione fu vigorosa ed efficace: ebbe la fama di personaggio scomodo per la sua capacità di colpire molto in alto, senza curarsi dell'opposizione di molti fascisti della prima ora. Alla fine degli anni venti, il "prefetto di ferro" era un personaggio estremamente noto ed alcune sue imprese, che la macchina propagandistica del regime copriva di consensi plebiscitari, erano giunte a rasentare la popolarità di Mussolini. Cesare Mori non si fece problemi nemmeno a perseguire (con il consenso del Duce) sia l'uomo più in vista del fascismo in Sicilia, Alfredo Cucco, sia l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio. Molti mafiosi dovettero emigrare negli Stati Uniti dove diedero origine alla Cosa Nostra americana. I cardini principali dell'azione di Mori - forte della carta bianca che gli era stata attribuita, e assistito da uomini quali il nuovo Procuratore Generale di Palermo da lui nominato, Luigi Giampietro, e il delegato calabrese Francesco Spanò - furono:
La sua strategia si basava anche sul seguente schema: i mafiosi appartenevano essenzialmente al ceto medio rurale (gabelloti, campieri, guardiani e sovrastanti) e tenevano in soggezione sia i grandi proprietari, sia i ceti più poveri. Eliminato il "ceto medio mafioso", i latifondisti si sarebbero liberati del doppio ruolo di vittime dei mafiosi e, al tempo stesso, di bersagli della rabbia popolare che li vedeva in combutta con la mafia. L'azione di Mori si rivelò in tutta la sua clamorosa efficacia sin dal primo anno: nella sola provincia di Palermo gli omicidi scesero da 268 nel 1925 a 77 nel 1926, le rapine da 298 a 46, e anche altri crimini diminuirono drasticamente. Pentiti mafiosi hanno riconosciuto il grave stato di difficoltà nella mafia dopo quegli anni. Mori non si occupò solo degli strati più bassi della mafia, ma anche delle sue connessioni con la politica - portando lo stesso Mussolini a sciogliere il Fascio di Palermo ed espellere Cucco, che pure era membro del Gran Consiglio del Fascismo, dal PNF. Dopo il suo congedo, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno mafioso in Sicilia. Come scrisse nel 1931 un avvocato siciliano in una lettera indirizzata a Mori:
che spesso li misero ai vertici delle amministrazioni locali siciliane, come sicuri antifascisti.In realtà i vertici della mafia avevano piegato il capo sotto la repressione, e colsero l'occasione dello sbarco degli Alleati in Sicilia per rialzare la testa, con gli Statunitensi. Ultimi anni Come senatore continuò a occuparsi dei problemi della Sicilia, sui quali seguitò a rimanere ben informato, ma ormai senza potere effettivo e sostanzialmente emarginato.
La sua abitudine di sollevare il problema della mafia era vista con fastidio dalle autorità fasciste, tanto che fu invitato a "non parlare più di una vergogna che il fascismo ha cancellato". Mori scrisse le sue memorie nel 1932 e il suo libro più famoso fu Con la mafia ai ferri corti (ripubblicato nel 1993 dall'editore Pagano di Napoli). Si ritirò infine a Udine dove morì nel 1942, dimenticato da tutti, in un'Italia ormai avviata nei drammi della Seconda guerra mondiale. È sepolto nel Cimitero di Pavia. Mori nella letteratura e nel cinema
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Post n°5 pubblicato il 20 Marzo 2009 da ilpunitore78
Recita così l'elogio che accompagna la Medaglia d'Oro al Valore Aeronautico conferita a Bruno Mussolini, morto vicino a Pisa il 7 agosto 1941 a causa di una avaria al quadrimotore Piaggio108 che pilotava. Questo libro si presenta come una lettera che il padre scrive al figlio morto, ripercorrendo le fasi della sua breve ma intensa vita. La passione per il volo caratterizzò quasi tutta la sua vita: partecipò con il fratello Vittorio alla campagna d'Africa; nel '37 operò il suo primo volo su grandi distanze nella gara Istres-Damasco-Parigi , ottenendo un ottimo risultato; nel '38, assieme al suo equipaggio “i sorci verdi”, compie la trasvolata oceanica in tempi record e viene accolto a Rio de Janeiro da una folla di 300 mila persone. Volle sempre essere trattato e rispettato per i sui meriti e non per essere il figlio del Duce. Ricevette numerosi riconoscimenti, tra cui il Diploma alla medaglia militare spagnola per la guerra di Spagna. Ideò e realizzò il LATI (Linee aeree Transcontinentali Italiane), una linea aerea tra Italia e Brasile per il trasporto di merci e persone. Il libro è carico di sentimenti e stati d'animo. La voce che odiamo tra le sue righe non è quella virile ed imponente del Duce dell'Italia che parla alle folle oceaniche, bensì quella malinconica ma orgogliosa di un padre ferito dalla perdita del figlio. Riporto alcuni frammenti del libro: “Persone che non ricordo mi accompagnano alla tua stanza. Tu sei là, disteso sopra un lettuccio, immobile, con la testa fasciata fino agli occhi chiusi. Le coperte ti coprono tutto sino al collo e sembri dormire. Sul tuo volto qualche macchia di sangue, ma i tuoi lineamenti sono intatti. Ti guardo, mi chino su di te, ti bacio. Non oso scoprirti! Bruno! Il mio Bruno! Brunone come ti chiamavo quando ti accarezzavo con violenza i capelli. Bruno, cos'è accaduto? Un campanello suona. Qualcuno mi dice che debbo andare al telefono. È Riccione che chiama. La madre di Bruno domanda. – Che cosa è accaduto? Dimmi... – Bruno è caduto dall'aeroplano stamattina. È morto. Ti mando un apparecchio. Vieni. Mi giunge il pianto ineguagliabile di una madre, di tua madre, Bruno”. “Tutte le volte che io ti ricevevo nella qualità di Capo, tu avevi il portamento di gregario. Questi incontri a Palazzo Venezia, in una officina, in un campo, mi davano una speciale emozione. Era un profondo duplice sentimento quello che provavo per te: mio figlio e mio soldato! Ed ero fiero dell'uno e dell'altro!“. “Il mio libro è finito, Bruno, ed io prendo congedo da te. Ho scritto un libro, ancora un libro, ed ora che sono giunto all'ultima pagina, uno strano pudore mi consiglierebbe di lasciarlo inedito, di non farlo circolare fra la gente, di non sottoporlo agli estranei e forse questo potrebbe essere anche il tuo desiderio, schivo com'eri della soverchia pubblicità. Ma questo libro non è un'apologia, non è un'esaltazione: è un racconto, un semplice umano racconto e come tale lo affido specialmente ai giovani perché traggano ispirazione dalla tua vita esemplare“. “Il nome dei Mussolini ha avuto dal tuo vivere e dal tuo morire il sigillo di una nobiltà imperitura. Nelle molte generazioni dei Mussolini, vi è ora un giovane capitano che veramente, fascisticamente sdegnava «la vita comoda», che di tutte le attività scelse la più rischiosa, che servì in pace e in guerra l'Italia e che nell'adempimento del suo dovere di soldato morì. Tutto quello che io ho fatto o farò è nulla a paragone di quanto tu hai fatto. Una sola goccia del sangue che sgorgò dalle tue tempie lacerate e scorse sulla tua faccia impallidita, vale più di tutte le mie opere presenti, passate future. Poiché solo il sacrificio del sangue è grande; tutto il resto è effimera materia“. “Solo il sangue è spirito, solo il sangue conta nella vita degli individui e in quella dei popoli: solo il sangue dà la porpora alla gloria”. Benito Mussolini - 'Parlo con Bruno' © Editore Ulrico Hoepli - Milano 1942 |
Inviato da: loscrittore47
il 29/04/2010 alle 17:46
Inviato da: VITTSTOP
il 14/04/2010 alle 19:19
Inviato da: deltascorpii
il 15/01/2010 alle 19:05
Inviato da: ilpunitore78
il 25/03/2009 alle 09:40
Inviato da: verticalpoint
il 24/03/2009 alle 10:35