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Sardi e sordi

Post n°583 pubblicato il 17 Febbraio 2009 da monari

Blog_stampa_170209 I sardi hanno detto la loro. Adesso gli altri non debbono fare i sordi. La crisi del Pd non è un'invenzione post-elettorale per la sconfitta di Soru. Nel giugno scorso, chiudevamo un post con queste parole: "Veltroni dovrebbe lasciare, Prodi ripensare il suo abbandono, lo spirito ulivista essere ripescato e rivissuto in questa grave emergenza costituzionale dell'Italia." Oggi, finalmente, Veltroni lascia. Con onestà e velocità di riflessi recuperata in extremis, in un contesto ormai per lui insostenibile: "Per molti sono un problema", avrebbe detto...

Dallo scorso giugno ad oggi niente di positivo è avvenuto nel Pd. Anzi le minacce odierne della sen. Paola Binetti di lasciare il partito perché il collega chirurgo Ignazio Marino avrebbe aperto all'eutanasia, aggravano ulteriormente il quadro 'clinico' circa la laicità del Pd e dello Stato.

Per il ricambio, più si aspettava peggio sarebbe stato. L'alibi delle elezioni europee non poteva funzionare. Per Veltroni, se restava in carica sino all'estate, si preparava una lezione sonora, con un'astensione mai vista. Non sono sporchi e cattivi gli elettori, se non vanno alle urne. Sono incoscienti quei dirigenti del Pd che non prendono atto che ha ragione Cacciari: "E' il Pd nel suo insieme che non va".
Ne hanno fatto un movimento che naviga a vista fra Vaticano e Palazzo Grazioli, e non ha mai visitato Porta Pia.

Veltroni lascia, ma le colpe non sono tutte e soltanto sue. Nel Pd hanno fatto confluire cento anime diverse, un esperimento di genetica politica accettabile nel contesto dell'Ulivo, pericoloso nell'isolamento che sottolinea più i contrasti che le convergenze. Veltroni ha cacciato Prodi, che non era un mito né un padre nobile da venerare secondo i riti ottocenteschi. Ma è stato un politico onesto che resterà assieme a Ciampi nell'albo d'onore repubblicano. E questo va ricordato soprattutto per un fatto: oggi è finalmente stato "applicato"  per il capo del governo il "lodo Alfano" in un processo conclusosi a Milano con una condanna dell'imputato a 4 anni e 6 mesi. Di Pietro si lecca i baffi: "Siamo l'unica opposizione, noi", in questo Paese dove, se fosse normale, il presidente del Consiglio si sarebbe già dimesso.

[17.02.2009, anno IV, post n. 55 (775), © by Antonio Montanari 2009. Mail]


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