Politica oscura

Post n°1168 pubblicato il 25 Marzo 2013 da monari

Nel cosmo è aumentata del 20% la parte ignota, secondo le misurazioni del super satellite Plank dell’Agenzia spaziale europea. La chiamano la materia oscura che rallenta l’Universo. La notizia giunge a confortarci nel momento più critico della vita politica nazionale. Se tanto ci dà tanto nell’immensità del cosmo, possiamo consolarci con le rogne quotidiane della nostra società civile che sembra aver imboccato un vicolo cieco, dopo il recente risultato elettorale.
Anche sul suolo italico c’è una materia oscura che rallenta la vita intera del Paese che non naviga nel migliore dei mari immaginabili, proprio come la nave senza nocchiero in gran tempesta degli antichi ricordi scolastici impostici da padre Dante. L’unica differenza è che non siamo servi di nessuno, come invece a quei tempi, ma soltanto vittime di una miopia che negli ultimi anni ha impedito di vedere la barriera di scogli costituita da una legge elettorale che tutti a parole volevano cambiare. E che tutti nei fatti hanno lasciato al centro dell’immobile sistema dei partiti, sazi di soldi e disperati nella pratica quotidiana del Potere.
L’annuncio più rumoroso degli ultimi giorni, che ha contribuito a rimescolare la materia oscura della politica, è giunto dal Movimento Cinque Stelle che pretendeva negare la dura realtà dei numeri, attribuendosi una vittoria nelle urne che non esiste. Da esse è uscito come primo partito quello Democratico con questi dati: per la Camera ha avuto +148.116 voti rispetto ai grillini e +1.453.819 voti sul Pdl. Per il Senato i suffragi maggiori sui grillini sono stati 1.299.481 e 1.709.252 sul Pdl. Da questa unica certezza deriva quell’incarico a Bersani di cui non sappiamo l’esito nel momento in cui si chiude il nostro giornale. Possiamo soltanto permetterci di segnalare che, come sfondo ad ogni discussione, ci sono due panorami che forse combaciano tra loro quali intarsi perfetti d’un gioco un poco astruso ed un poco magico. Dobbiamo tra breve inaugurare una nuova presidenza della Repubblica. Su di essa, per certuni, ci si deve mettere d’accordo prima che sul governo e su chi lo guiderà. Ed al proposito del governo e del suo capo, assisteremo forse ad una recita straziante per il bene del Paese: chi è stato definito dai rivali politici come persona sciocca (censuriamo l’offesa testuale ed originale), dovrà giocare una partita molto seria in nome dell’interesse nazionale, senza perdere la faccia e senza turarsi il naso.

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 13, 31.03.2013, Rimini

 
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Tutto previsto

Post n°1167 pubblicato il 17 Marzo 2013 da monari

Che disperazione gli archivi. Per fatti indipendenti dalla mia volontà, ritrovo notizie stagionate che valgono ancora. Il Tama 880 (2003) scomodava Giovenale che nelle "Satire" scrisse: "Cosa farò a Roma? Non so mentire", aggiungendo: "A Roma tutto ha un prezzo". Poi toccava a Silvio Berlusconi che, alla conferenza sulla Costituzione europea, aveva promesso di risolvere tutto presto e bene, dicendo: convincerò i riottosi con il fascino.
Il 14 luglio 2009, in un mio blog politico ospitato da un grande quotidiano torinese, citavo la proposta fatta al Pd dal quasi nostro concittadino Beppe Grillo, d'entrare nel partito e di candidarsi alla sua segreteria.
Commentavo che il comico genovese da qualche tempo aveva la fissa della politica, e non diceva cose grezze o sbagliate: "Anzi, spesso sono cose che rispondono al vero, bisogna riconoscerlo obiettivamente, anche se la sua battaglia è più pubblicitaria che politica". Grillo, aggiungevo, è il primo a non credere nella politica: "Per fargli un dispetto, mandatelo soltanto per poche ore con un salvacondotto medievale, a presiedere non dico la Repubblica o il governo, ma un consiglio comunale. Scommettiamo che gli verrebbe da ridere, e se ne scapperebbe a gambe levate". Aggiungevo: "Grillo è nato oppositore. Cerca soltanto di prendere per i fondelli l'intera classe dirigente del Pd. Uno sport troppo facile per essere intelligente. Non per difendere certe situazioni indifendibili, ma perché demolire significa anche saper costruire. I comici sono dei formidabili demolitori. Ma più di così non sanno e non possono fare. Ad ognuno il suo ruolo. Soprattutto perché certi politici italiani (sia detto in orizzonte bipartisan) più che far ridere fanno piangere".
Circa Bersani, mi permettevo di scrivere che egli (vittima di qualche complotto di avversi numi) aveva sbagliato a sognare un partito organizzato come una bocciofila. Ma questo, concludevo, non autorizza a credere che chi lava i pavimenti sia in grado di fare pure una lavanda gastrica. Dunque, tornando all'oggi, nessuna meraviglia (e non per colpa mia) se sotto il cielo politico di Roma, regna una confusione che, obiettivamente parlando, poteva essere prevista già nel luglio 2009, se si fosse compreso che l'unico partito monolitico è quello del Cavaliere, mentre nell'altro, appunto il Pd bersaniano, ci sono tanti che vorrebbero non la gestione calata dall'alto, ma maturata in un confronto che invece piace molto poco. [Anno XXXII, n. 1120]

Fuori Tama 1120

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 12, 24.03.2013, Rimini

 
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Come 50 anni fa

Post n°1166 pubblicato il 11 Marzo 2013 da monari

Il ricordo del poeta Elio Pagliarani, con le annesse impressioni personali sull'Università di Bologna (17.02.2013), doveva avere un seguito che ho rimandato per motivi d'attualità, legati alla memoria riminese di papa Gregorio XII. Non ho potuto così proporre un breve accenno a quella Scuola pedagogica bolognese degli anni Sessanta che ha avuto il suo animatore appassionato in Giovanni Maria Bertin, scomparso novantenne nel 2002. E nella quale mi sono formato.
Già nel 2002 raccontai sul web la mia gratitudine a quel Maestro, ripercorrendo l'esperienza di uno studentello delle Magistrali di Rimini che approdava a Bologna scoprendo un modo nuovo e diverso di fare cultura. Se oggi riprendo il discorso in questo angolo di giornale, è perché ritengo ancora valido, soprattutto nel momento presente, l'insegnamento di Bertin rivolto a formare nei suoi studenti una coscienza civile e politica attorno a due temi fondamentali. Quelli del dialogo e del vedere la Costituzione repubblicana come la Stella polare del nostro agire quotidiano nella vita pubblica che coinvolge tutti quanti, non soltanto i Politici.
Bertin, con il suo chiaro e preciso stile, è di attualità nel mondo della cultura dei nostri giorni, come dimostrano due recenti volumi curati dai pedagogisti Franco Frabboni e Massimo Baldacci. Ma se quelle idee della Costituzione come Stella polare della vita politica, e del dialogo quale metodo per una società civile, fossero oggi riproposti con la necessaria urgenza e chiarezza, forse avremmo più speranza nel futuro e meno confusione in testa.
Bertin ci ha insegnato che non dobbiamo avere una visione egoistica della vita, come se ci fossimo soltanto noi, e gli altri dovessero inchinarsi ai nostri voleri. Con gli altri possiamo dibattere, dobbiamo chiarire le singole posizioni, ma sempre nel rispetto di quel principio fondamentale della democrazia che è il dialogo, come necessità di comprendere chi è lontano e diverso da noi, per evitare il ripetersi dei drammatici conflitti di cui cinquant'anni fa noi studenti, per semplice questione d'anagrafe, portavamo non l'esperienza diretta ma il ricordo non lieve di quanto vissuto dalle nostre famiglie.
La nostra generazione 'di mezzo' (dopo la guerra e prima della contestazione) non aveva nessuno strumento autonomo per giudicare e comprendere, al di fuori del bagaglio che ci veniva affidato da portare con fatica e scarsa soddisfazione. Forse oggi si rivive la stessa esperienza. [Anno XXXII, n. 1119]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 11, 17.03.2013, Rimini

 
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Amarcord politici

Post n°1165 pubblicato il 03 Marzo 2013 da monari

Dei quattro deputati eletti a Rimini, conosco soltanto Tiziano Arlotti. Tramite lui invio pure ad Emma Petitti, sua collega del Pd, Sergio Pizzolante (Pdl) e Giulia Sarti ("grillina", come suol dirsi), i migliori auguri per un proficuo lavoro. Lo faccio rispolverando dall'archivio alcune mie vecchie pagine in cui si parla di politica. Nel 2002 mi rivolgevo direttamente ad Arlotti, a commento di una sua lettera apparsa proprio sul "Ponte" sotto il titolo significativo di "C'era una volta la politica", in cui (trattando del suo lavoro di assessore all'Urbanistica) egli concludeva che "alla politica spetta il compito di denudare il Re".
Mi permettevo di osservare: "La classe politica dirigente di quella che, con una convenzione retorica, chiamano della Prima Repubblica, non aveva personalizzato il potere (non c'era nessuna dittatura di un singolo uomo per ogni partito), ma aveva trasformato i partiti in quell'assieme di potere che permetteva di controllare tutto e tutti, per cui impunemente si praticava l'istituzione della tangente, con la scusa che era necessaria al mantenimento delle istituzioni-partito, ed allo svolgimento delle loro funzioni nella società civile".
I freschi esiti elettorali per la prima volta hanno terremotato quel sistema che richiamavo nel 2002, e che è continuato (aggravandosi) sino ad oggi. Nel 2005 (Tama 921) ricordavo che a Rimini in pochi mesi due assessori avevano lasciato la Giunta comunale: Arlotti, come un carabiniere "uso a obbedir tacendo", e Lugaresi concedendo interviste. Restava la sostanza solita delle "mani sulla città", aggiungevo, chiedendomi: chi guida realmente le scelte urbanistiche?
Lo scorso ottobre (Tama 1100) riandavo alle dimissioni di Arlotti nel 2005, citando il piano urbanistico del 2007 che prospettava una colata di nuovo cemento su una Rimini ridotta ad immenso mostro urbanistico. Nello stesso 2007, altrove ho scritto un intervento un po' urticante per gli amministratori riminesi, intitolato: "Se la politica strizza l'occhio ai palazzinari". Nel Tama 1100 ho ribadito che a Rimini avevano continuato a sognare i grattacieli in stile Dubai sul mare, proprio quando si stava rivelando la crisi economica mondiale. Scusi il lettore questa antologia utile per sottolineare come sia fuori luogo a Rimini lo stupore odierno davanti al calo dei consensi delle vecchie parti politiche, calcolato dall'Istituto Cattaneo di Bologna in -11,12% per il Pd, e -15,89% per il Pdl. [Anno XXXII, n. 1118]

Fuori Tama 1118

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 10, 10.03.2013, Rimini


 
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Arlotti, neo deputato Pd

Post n°1164 pubblicato il 26 Febbraio 2013 da monari

Auguri, Tiziano Arlotti, neo deputato del Pd.

Dal mio archivio riprendo una lettera aperta a te indirizzata nel gennaio 2002, pubblicata sul settimanale "il Ponte" a cui collaboro dal 1982, e già presente sul web.

Pagina aperta de 'Il Ponte'

La politica deve indossare nuovi panni

Caro Tiziano Arlotti. Mi ha molto interessata la tua lettera apparsa nel «Ponte» del 20 gennaio, per un motivo diverso da quello che ti ha spinto a scriverla nella tua veste di Assessore ai lavori pubblici. Tu parli soprattutto di due problemi. L'«invasività» dei rappresentanti di categoria che siedono nei Consigli d'amministrazione, e la necessità di far comprendere a parecchie persone che una Giunta fresca (non arrivata neppure all'anno di vita), ha un suo progetto di città che va fatto capire a chi ne chiede un altro, a chi cerca di intorbidare le acque. E concludi con una frase molto giusta: «Alla politica spetta il compito di denudare il Re».

Il fatto è che gli eventi degli ultimi dieci anni hanno denunciato che ad essere denudata è la stessa politica. Mi riferisco a tutta la vicenda che passa sotto il titolo di «mani pulite», ed alla cosiddetta alternanza di governo.

Con efficacia il titolo (redazionale, immagino) alla tua lettera recita che «C'era una volta la politica». C'era una volta, non soltanto perché c'era maggiore impegno (mentre oggi navighiamo in apparenza nel disinteresse più generale), ma anche perché oggi, a livello nazionale, sembriamo essere governati non più dai gruppi politici dei partiti tradizionali, ma da gruppi di potere che si sono costituiti in partiti per legittimare la loro «discesa in campo» a tutela di interessi privati. E' così cambiata la politica (in meglio o in peggio, ognuno giudicherà da solo: a me, che sono sempre stato lontano da partiti e da ruoli di potere, sembra decisamente in peggio). E' talmente cambiata che si personifica nell'unità inscindibile tra un movimento come Forza Italia ed il suo leader, fondatore e finanziatore, Silvio Berlusconi.

Però se questo cambiamento è avvenuto, la colpa non è soltanto del Cavaliere: dove ci sono dei vuoti, sùbito avviene che essi si colmino, secondo una legge fisica (che nessun governo o parlamento potrà modificare a proprio favore). La classe politica dirigente di quella che, con una convenzione retorica, chiamano della Prima Repubblica, non aveva personalizzato il potere (non c'era nessuna dittatura di un singolo uomo per ogni partito), ma aveva trasformato i partiti in quell'assieme di potere che permetteva di controllare tutto e tutti, per cui impunemente si praticava l'istituzione della tangente, con la scusa che era necessaria al mantenimento delle istituzioni-partito, ed allo svolgimento delle loro funzioni nella società civile. Neppure il finanziamento pubblico era riuscito ad arginare questi fenomeni che chiamiamo di corruzione, ma che i politici d'antan giudicavano come ossigeno indispensabile alla prosecuzione della vita democratica.

Tutto ciò, in poco tempo, è stato denunciato come fatto insostenibile: la politica è stata messa a nudo, e si è pensato che abolendo i partiti si sarebbe abolita la corruzione, e la vita civile sarebbe proseguita in modo migliore, anzi nel modo decisamente migliore che ogni utopia sogna per le proprie massime.

Purtroppo, la fase due (il risveglio), quando i vecchi elefantiaci partiti non ci sono stati più, si è rivelata drammatica ed amara, per chi conserva in sé il senso della distinzione e del ragionamento davanti agli eventi: la corruzione continua, la politica non è servizio per la società, non è impegno a favore di tutti, soprattutto di chi è «bisognoso». Ognuno si fa la barba per sé, non solo nell’attuale maggioranza, bensì anche nell’opposizione: che dire delle situazioni (parassitarie) ben remunerate di presidenze di enti e società? Dove sta il servizio per il prossimo? Non è un’apparenza, ma realtà molto avvilente, la corsa a poltrone che portano a cospicui assegni mensili. Non parlatemi, per favore, di missione del politico, altrimenti quel politico (di ogni bandiera) rinuncerebbe a siffatti lauti guadagni.

La politica di oggi ha un profilo bonapartista. Ma i sogni di gloria non sono soltanto quelli di Berlusconi, non dovendosi scordare la rovinosa illusione di D'Alema che con la Bicamerale aveva sognato una spartizione del potere con l'avversario, dimenticando che una Costituzione si riscrive soltanto dopo eventi tragici e traumatici come furono (ad esempio) quelli che dallo Statuto albertino portarono alla nuova Legge fondamentale dello Stato italiano entrata in vigore il primo gennaio 1948. (Ha ragione il prof. Luciano Canfora che in una lettera al «Corsera» ha scritto: «Il sottile D’Alema, che pensava di avere in cambio il successo della Bicamerale, ha portato il Paese a questa disastrosa ‘impasse’ etica prima ancora che giuridica».)

Quotidianamente assistiamo agli atti di molti apprendisti stregoni, che a secondo delle ore della giornata propongono questa o quella riforma costituzionale, dimenticando che l'armonia tra le «parti» di uno Stato è qualcosa di talmente importante e serio, che se viene a mancare si corrono gravi rischi (come dimostra l'attuale atteggiamento del Governo versus Magistratura).

Dunque, la politica denudata occorre che indossi nuovi panni per arrivare a ripristinare quell'equilibrio tra le «parti» che la nostra Costituzione prevede. Occorre che rifletta su se stessa. La politica c'è ancora. Non era tutta rose e fiori quella di un tempo, nepotista, esclusivista, prepotente, partigiana. Non è tutta rose e fiori quella di oggi, che si manifesta ancora nepotista, esclusivista, prepotente, partigiana. C'era la massoneria un tempo, c'è anche oggi, forse ancora più forte, meglio mascherata di una volta (nonostante le campagne ‘pubblicitarie’), ma stranamente più agguerrita di prima. C'è il perverso gusto di quasi tutti i politici di credersi onnipotenti (caro Tiziano, non parlo di te, beninteso).

C'è l'assurda, immorale situazione che nulla si può fare nella società italiana, a livello nazionale o a livello locale, senza il sostegno di un partito, di un suo esponente, o dei gruppi massonici (e ‘paramassonici’). Io mi sono sempre e soltanto interessato di questioni culturali: possibile che esclusivamente a politici e massoni sia consentito di agire indisturbati? E che contro chi non appartiene a queste due categorie, si possano commettere impunemente scippi e sgambetti? Occhio, ragazzi: qui ne va di mezzo non la sorte dei partiti (che possono morire o rinascere come i funghi, con rimborsi pubblici anche ai loro giornali che nessuno legge se non chi li compila), bensì la sorte della stessa democrazia.

La cosa è molto più seria delle critiche che gli eterni brontoloni rivolgono alla Giunta, caro Tiziano. Il Comune deve aprire le proprie porte a tutti. L'Ente pubblico dovrebbe essere garanzia di imparzialità. In nome di quella democrazia che non deve restare parola vana in mezzo a tante vane chiacchiere da sofisti.

Per capire la serietà del nostro momento, è utile leggere l’analisi che Giulietto Chiesa ha scritto sulla «Stampa» del 18 gennaio: moltissimi di quelli che hanno votato per l’attuale opposizione di governo, non si sentono più rappresentati per scelte che non condividono, come quelle sulla guerra infinita che rischia di sconvolgere il mondo intero.

Antonio Montanari

 
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La misura delle cose

Post n°1163 pubblicato il 26 Febbraio 2013 da monari

Appunti fuori dalla cronaca fresca, impedita dai tempi di consegna in redazione. Non so nulla dell'esito elettorale, conosco soltanto le previsioni del tempo che minacciano neve con lo spauracchio dell'assenteismo anche dei bene intenzionati al voto. Per la prima volta nell'Italia repubblicana (ignoro i dati di quella monarchica), siamo stati chiamati alle urne nel periodo meteorologico peggiore dell'anno. Il calendario astronomico ha avuto sempre le sue esigenze, come per le scuole. Dove una volta i giorni delle lezioni al Sud erano ristretti dall'agricoltura, e qui da noi al Nord rivierasco dall'industria balneare.
Persino gli orari quotidiani delle lezioni erano condizionati non dalle decisioni politiche governative ma da quelle pratiche dei trasporti urbani. Ignoro il presente, mi risulta soltanto che tutti ce l'hanno con i prof. Ricordo personale: quand'ero giovane c'era il mito dei docenti anziani, quando sono diventato tale io, le mamme idolatravano quelli giovani, per cui sono sempre stato fuori mercato.
Qualcosa di simile è accaduto alla politica. Ne abbiamo viste di cotte e di crude sino al ridicolo che, per nostra fortuna, non ha toccato solamente qualche partito, ma in un modo o nell'altro, tutte le formazioni in campo. Non c'è spazio per elencare con la necessaria attenzione (che le malelingue definiscono pedanteria), le singole “colpe” dei leader e dei loro movimenti. Per la prima volta nella storia repubblicana, si è assistito ad un rituale televisivo soffocante e stomachevole con esibizioni noiose, ripetitive e persino oltraggiose della verità dei fatti. Come è stato dimostrato da quel gentile candidato che, abituato a crearsi abiti di stralunata eleganza, è giunto a raccontare al prossimo una sua biografia ideale, in cui nulla c'era di vero, e tutto era inventato.
Per caso, sistemando appunti per pagine sulla storia di Rimini (destinate a non essere mai pubblicate in libro perché io sono fuori dal giro dei mecenati), ho appena trovato due citazioni: Lorenzo Valla fece un elenco di volumi che a gran prezzo insegnarono a non sapere, mentre Erasmo ricordava gli studi che educarono a parlare soltanto a vanvera. Molti comizi sono stati ricalcati su questo antico modello, deprecato già sei secoli fa, a dimostrare che la misura delle cose non deve partire da quelli che Rabelais chiamava gli studi vuoti, ma dai fatti reali che all'estero ci rimproverano vivacemente, come il nepotismo e la corruzione. [Anno XXXII, n. 1117]

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, n. 9, 03.03.2013, Rimini

 
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Gregorio XII a Rimini

Post n°1162 pubblicato il 19 Febbraio 2013 da monari

Tra quanti, lungo i secoli, hanno lasciato il pontificato, c'è Gregorio XII. Siamo al tempo del Grande Scisma (1378-1417). Eletto nel 1405, Gregorio XII si rifugia a Rimini il 3 novembre 1408, mentre si prepara il concilio di Pisa e dopo che Carlo Malatesti (1368-1429), signore di Rimini, lo ha salvato da un tentativo di cattura. Carlo, per contattare il collegio cardinalizio, utilizza Malatesta I (1366-1429), signore di Pesaro, che in precedenza si è offerto a Gregorio XII per una missione diplomatica presso il re di Francia, inseritosi nelle dispute ecclesiastiche per interessi personali.
Carlo e Malatesta I sono parenti. Carlo è figlio di Galeotto I il quale è zio di Pandolfo II padre di Malatesta I. A consolidare la parentela, oltre gli affari e le imprese mercenarie, sono state due sorelle di Camerino, Gentile da Varano sposatasi con Galeotto I (1367), ed Elisabetta con Malatesta I (1383). Il quale è stato in affari e rapporti militari con Urbano VI.
I lavori a Pisa iniziano il 25 marzo 1409. Gregorio XII è dichiarato deposto. Carlo vi arriva come mediatore fra Gregorio XII ed i padri conciliari, ma in sostanza quale suo difensore. Non è accettata la sua offerta di Rimini per una sede dell'assise ecclesiastica lontana dai fiorentini, avversari di Gregorio XII. Il primo approccio fra Carlo ed il concilio avviene attraverso Malatesta I che si era attivato dopo l'elezione di Gregorio XII (2 dicembre 1406), ricevendo in premio un vitalizio. Mentre era capitano generale di Firenze, Malatesta I aveva avviato negoziati fra lo stesso Gregorio XII e l'antipapa Benedetto XIII (eletto nel 1394), entrambi deposti in contumacia a Pisa il 5 luglio 1409 e dichiarati “scismatici, eretici e notoriamente incorreggibili”.
Il loro posto, su iniziativa del cardinal Baldassarre Cossa, è preso il 20 giugno 1409 da Alessandro V (che scompare il 4 maggio 1410), detto “il papa greco”, provenendo da Candia. Gli succede lo stesso card. Cossa, con il nome di Giovanni XXIII, il 17 maggio 1410. Questi ricompensa lautamente Malatesta I per i servizi ampi e fruttuosi prestati alla Chiesa durante il concilio di Pisa, al fine della desideratissima unione. Carlo Malatesti interviene ripetutamente per il suo protetto che il 24 dicembre 1412 torna a Rimini. L'imperatore Sigismondo impone Costanza quale sede del concilio. Qui Carlo s'afferma come mediatore fermo ma aperto alle altrui ragioni. Il 4 luglio 1415 legge la bolla di rinuncia di Gregorio XII, scritta a Rimini il 10 marzo. [Anno XXXII, n. 1116]
Fonte della pagina, Riministoria 2010-Rimini Moderna.
Indice Alle origini di Rimini moderna.

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 8, 24.02.2013, Rimini

 
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Signorina Carla, 1963

Post n°1161 pubblicato il 10 Febbraio 2013 da monari

Sono iniziate sui giornali le celebrazioni della cinquantina di poeti e scrittori che mezzo secolo fa, a Soluto vicino a Palermo, dettero vita al Gruppo 63. Tra loro c'era pure un riminese, Elio Pagliarani che per civetteria geografica si dichiarava nato (nel 1927) a Viserba. Nel 1962 aveva pubblicato un volume di liriche, "La signorina Carla", che lo rese popolare per lo spirito di contestazione della poesia tradizionale. Lo aveva già dimostrato in una cerchia più ristretta, nell'antologia "I Novissimi" (1961), curata dal guru di quella generazione, Luciano Anceschi (classe 1911), allora docente di Estetica al Magistero di Bologna. Il cui assistente era Renato Barilli, componente pure lui dello stesso Gruppo 63.
L'ambiente bolognese del Magistero è stato ricordato da Giuseppe Chicchi (che di Rimini fu sindaco) in un volume autobiografico del 2011, con la preziosa pennellata che riguarda Ezio Raimondi, "grande italianista dalla sterminata cultura europea". Per il Magistero di Bologna fu, quella a metà degli anni 60, una stagione felice. Vi approdò nel 1964 anche Paolo Rossi, grande storico della Filosofia e della Scienza, che aveva con noi studenti un rapporto di confidenza e rispetto, facendoci lavorare sodo al pari di Raimondi e di Anceschi. Altro mito di allora era Gina Fasoli, docente di Storia. A lezione faceva tremare le vene ed i polsi perché rivolgeva domande agli studenti, mentre spiegava.
Elio Pagliarani, dicevo, nel 1962 aveva già pubblicato il libro di poesie che lo rende famoso, e che s'intitola alla signorina "Carla Dondi fu Ambrogio di anni/ diciassette primo impiego stenodattilo/ all'ombra del Duomo". Pochi anni dopo (1971) nelle scuole italiane approda una nuova antologia, la "Guida al Novecento" di Salvatore Guglielmino che celebra l'ormai silenzioso Gruppo 63, e consegna alla fama anche l'opera del nostro viserbese Elio Pagliarani (scomparso nel 2012). Nel 1990 il giudizio positivo su di lui è confermato da una storia della letteratura del tutto innovativa, di Giovanna Bellini e Giovanni Mazzoni che parlano della "Signorina Carla" come di una delle opere più convincenti della nuova poesia italiana.
In un'intervista su "il Venerdì" (1.2.2013), Umberto Eco, intellettuale sempre attivo in questi anni con imponenti iniziative editoriali, cita la "Signorina Carla" come opera sopravvissuta a tutto il trascorrere del tempo ed al precoce sgretolarsi del Gruppo 63. Di cui fu esponente, ma pure maestro. [Anno XXXII, n. 1115]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, n. 7, 17.02.2013, Rimini

 
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Fragheto

Post n°1160 pubblicato il 08 Febbraio 2013 da monari

Tutti commentano con amarezza la sentenza del tribunale militare di Verona, per l'assoluzione dei due imputati superstiti della strage di Fragheto. Ma nessuno ricorda che la stessa sorte ebbero molto, moltissimo tempo fa gli imputati italiani.

Pubblico qualcosa sul tema, da un mio articolo della serie de "I giorni dell'ira" apparso sul settimanale di Rimini "il Ponte", il 4.11.1990.

(All'indice di "Rimini ieri. Cronache dalla città".)

Nella settimana santa del '44, tedeschi e repubblichini danno la caccia ai partigiani tra i monti della Valmarecchia: siamo a Fragheto, frazione di Casteldeci. Candido Gabrielli, classe 1921, vede arrivare i partigiani che portano con loro un soldato germanico. «Lo scontro tra partigiani e tedeschi... durò tre o quattro ore», e si risolse con la fuga dei partigiani, sopraffatti dalle truppe hitleriane. Il tedesco prigioniero riesce a scappare, raggiunge il suo Comando che decide un'azione di rappresaglia contro la popolazione di Fragheto, rea di aver ospitato i partigiani. I nazisti passano casa per casa, «uccidendo vecchi, donne, bambini». Le case vengono incendiate. E' il venerdì santo.

La domenica di Pasqua, mons. Luigi Donati si unisce a Ponte Messa ad un gruppo di persone che stava andando a Fragheto: «Ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo terribile, raccapricciante. [...] La maggior parte delle case bruciate aveva il tetto di lastre che era crollato seppellendo persone e cose, lì sotto il fuoco ardeva ancora». A chi gli chiedeva notizie, nei giorni successivi, sulla ferocia di tedeschi e repubblichini, abbattutasi a Fragheto, mons. Donati rispondeva: «Mi vergogno di essere uomo».

Scheda. Le vittime civili furono 33, tra cui «un bimbo di 18 anni», come scrisse   Guglielmo Marconi nelle sue memorie (p. 139 di Vita e ricordi sull'8ª bri­gata romagnola, Maggioli, 1984). Nello stesso te­sto (p. 96, nota 93), è riportato un bollet­tino militare sullo scontro ar­mato tra partigiani e tedeschi, prima dell'eccidio: «Dopo quasi tre ore di combattimento i tede­schi la­sciavano sul terreno più di cento [uomini] tra morti e feriti, mentre i nostri reparti si ritira­vano con soli quattro morti e due feriti leggeri». Poi, «i tedeschi fucilarono trenta­tré persone della popolazione lo­cale, unicamente responsabile dell'esser stata vi­cino al luogo del combatti­mento». In altre parti del testo di Marconi, si parla di responsabi­lità di «brigatisti ita­liani» (p. 104) e di «sete di sangue dei fa­scisti» che «si scagliò anche sui pochi civili, vecchi, donne e bimbi del luogo… senza che fos­sero colpevoli di atti di guerra» (p. 105).

 
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Venticinque anni fa

Post n°1159 pubblicato il 06 Febbraio 2013 da monari

Sono passati venticinque anni dal 30 gennaio 1988, quando una guardia giurata, Giampiero Picello, 41 anni, di Ravenna, fu uccisa davanti al supermercato Coop Portici alle Celle di Rimini. Era la prima vittima di una strana banda che, sino al 24 maggio 1994, ne avrebbe fatte altre, per un totale di 25 morti e 10 feriti in 103 delitti. Tra quei 25 morti c'? pure Antonio Mosca, 39 anni, poliziotto del Commissariato di Rimini, ferito a Cesena il 3 ottobre 1987 (assieme a Luigi Cenci, 25, ed Addolorata Di Campi, 22), e morto nel 1989. I tre agenti erano a bordo di un'auto-civetta del nostro Commissariato, intervenuta contro la banda del racket che aveva preso di mira l'autosalone riminese di Savino Grossi. La banda fu intercettata dalla polizia mentre stava ritirando a Cesena sull'autostrada una valigetta piena di soldi. I banditi spararono contro la vettura di Grossi e l'auto-civetta del Commissariato di Rimini.
Sul nostro giornale osservai allora che nella vicenda delle Celle c'era un particolare sfuggito alla cronache dei quotidiani, e che verrˆ confermato dalla indagini sulla banda riminese della "Uno bianca": "Il piano della fuga era stato predisposto con attenzione, utilizzando scappatoie che solo gente molto pratica della zona" poteva conoscere. Come scrisse Sandro Provvisionato su "L'Europeo" (2003), il sostituto procuratore di Rimini Roberto Sapio fu "il primo a sostenere (non creduto)" che la banda fosse composta di gente in divisa.
A risolvere la vicenda della "Uno bianca" sono stati due poliziotti riminesi, Pietro Costanza e Luciano Baglioni (il loro capo era Oreste Capocasa). Da soli scoprono i tre fratelli Savi, di cui due poliziotti. "Dopo la vicenda dei Savi me ne sono successe di tutti i colori" confid˜ Baglioni a Simonetta Pagnotti di "Famiglia Cristiana" (1997). Una agente di Polizia, Simona Mammano, recensendo il bel volume "Uno bianca e trame nere" di Antonella Beccaria, nel 2007 ha scritto: "Una questione irrisolta per tutte: come ? stato possibile che un commando di assassini potesse operare indisturbato per cos“ tanto tempo?". Concludeva: "Questa, dunque, ? una storia scandita da errori, valutazioni sbagliate, depistaggi palesi e false testimonianze".
Come per l'abbattimento dell'aereo di Enrico Mattei (1962) pilotato dal riminese Irnerio Bertuzzi. La sentenza sul caso De Mauro (1970), pubblicata lo scorso agosto, ha richiamato in causa un ex senatore Dc, Graziano Verzotto, scomparso nel 2010. [Anno XXXII, n. 1114]

Fuori Tama 1114 (2013). Quella "Uno bianca"

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, n. 6, 10.02.2013, Rimini

 
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