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« smussata dagli intreccidi memoria e di tempo, f... »

in questo inferno colorato d'azzurro / la poesia è un buco nero otturato dal nulla

Post n°27 pubblicato il 20 Aprile 2010 da imagomentis

 

getto le voci che non penso
né misuro in suoni
nel tempo errato
che rimbalza a stento
tra le travi olivastre
di un endecasillabo morto
privo di scusa e grazie
e transumanza indecente
e scrivo versi ebbri di barbarie
inclinata forse d'amore

un ramo ubriaco di note
e ricascante angolato
incide il suo coltello
a lama aperta
e vorace lima
e non risponde
al richiamo devoto
ma etereo si eclissa
in duplice assassinio
e rompe il cerchio
che lo raccoglie
in due zolle di sole
spaccato a mezzo

capienza inflessibile
in cocci liquidi
e molle blasfemia
di una luna accecata

in coro di cartomanti
abili nel massacro ostinato
ti dico che cambio la solitudine
tre per zero per te
e incido incido incido
e conduco affilato
un demone assurdo
in questo nulla morto
che si diffonde e impreca
e chiede un mastice randagio
ed inesatto nel coito
di un maledetto suono
che vorrei accostare
e rimasticare fino a toccare
il midollo spinale di un'eco
ahimè mi dico
tra le frasi raccolte
in fasciame liquefatto dalle cose
e cedo il passo
alla sottile uccisione
di piume e di catrame
e bravo - mi dico ancora -
continua così ostinato
nel non vacillare
e ridi ridi ridi
e lascia il vetro
scaglioso tra i denti
tanto la lingua è feticcio
poggiato su un tronco

potessi
in un salto esecrabile
di rupe andina
smettere
questo bruciare di sensi
appesi
che scrive scrive scrive
ostinato tra braci
che filtrano la dimenticanza
e ne fanno cuore
duro a fibrillare
e vorrei riuscire a piangere

però il sale e lo zolfo
sono devastazione
della mia terra offesa
e questo giuramento
che non so pronunciare
mi spezzetta e morde
e mastica e non digerisce
ma erutta fumoso
in questo io arrogante
che non comunica nulla
questo io di paccottiglia
nobile e ruvida,
questo io fugace
di balzane ed effimere
rappresentazioni di pietra
gettato a caso,
qui semplice ed ora,
tra le parole e gli uomini
questo mio io testardo
che vorrebbe finalmente tacere,
che malvivente raccoglie
in immagine pura
affrescata di rosso
dalla memoria
le scarpe strette
di un adolescente orgoglioso
che rifiuta adombrato
un dono mascherato da gioco
e toglie in allegoria
le scarpe sudice di una vecchia
che sembrava dipinta
nel vuoto concreto
di un quadro infernale
quasi errabonda e roca
e bestemmiava
per un imbroglio di mercato
utile a se stesso

così saluto al vento
seni opulenti e piccoli
come bandiera indocile
in moto ondoso di nave
e simbolo di teschio nero chiosato,
io che non so più come frenare
questa follia in essenza agitata
che finalmente arriva,
dopo infiniti spazi morti
nel tempo d'infinita attesa,
e in conclusione ormeggia
in questo giorno solenne
di preghiera e furore mischiati

nella notte che gronda
liquidi segni osceni
rarefatti dai sogni
faccio voto blasfemo
di un amore feroce
dischiuso tra le frasi
che non si lambiranno
le sommità arcuate di pece
né diranno ciò che non si può dire
nell'ostacolo frantumato
di un esistere assente
anche se deve in simbiosi
essere detto lontano
perciò sono crollato sul sagrato
di una chiesa barocca

braxton composition 8 g nelle fessure spargeva
sette minuti e cinquantanove secondi di sabbia
che scivolava appiccicata al sudore

la schiena scamiciata
era l'ombra genuflessa
e lucida di pelle obliqua
prima della preghiera
sul crocevia incendiato
della sua anima rarefatta
e aveva il ginocchio accennato
sull'asse di un legno discorsivo

poiché la vedevo nella piega zincata
di quel portale accidioso
ricominciò la sete immacolata
nell'incavo bordato dai sensi

(nei gangli accesi le sinapsi della siccità si raddoppiano)

- immaginarla di broccato fu un obbligo tinto d'azzurro -

tenne il vino accostato alla sua gola
quando varcò la soglia straripante di brezza
intensa come accesa da un sole ruffiano

(mai tentennare su una strada lastricata di una chiesa)

tornò con l'anima rattoppata da fili sboccati
la donna che ora adagiava due grani di poesia
sulla mia mano scalfita dal suo pudore
che gocciava sul viso appena arrossato

con tommy flanagan mirror perhaps
sei minuti e trentanove secondi
sono quasi un orgasmo di cellule
su un vigneto disteso tra le sue labbra

(nella mia gola turchese l'ultimo sorso di rosso
gorgogliava legnoso un ritmo sincopato)

dannatamente bella oggi la luce
di un tramonto dal rubino sciolto
in un bicchiere che non urla e non sbarra gli occhi
tace dormiente e minima questa notte ostinata
e mostra un seno schiacciato sulla mia fronte

sposto la testa condivisa in un calice cromato
da un breve cigolio quasi mistico e osceno

tu dici incolume che è un'esoterica intimità
e che la ruga del viso è una diagonale cifrata
tra il terzo occhio e la ghiandola pineale

a me fa male la nuca e so che è il vino
versato dalle tue labbra su una foglia acerba
di tabacco cubano che galleggia su una conca
piena del nostro liquido seminale intonato

resto immobile nella mia lacuna di alchimie
quando attorcigli corpo e parole sotterrate
in una gola umida perché la nuca non ti interessa
e guardi lasciva tre quarti del mio sesso inumidito

stanotte però ho una bottiglia vuota tra le gambe
e poche parole scivolano tra le dita collose

piccole rare dimenticanze potrebbero
se uccise rinunciare all'epitaffio poetico
con la carne a brandelli sbocconcellati

così raccolgo i resti turgidi delle bottiglie svuotate
che conservo su uno scaffale alto di palissandro
come trofei dell'errore scardinato da un silenzio
e goccia a goccia mescolo il liquido quasi incollato
al fondo di questo bicchiere sacro di impurità
e i colori inchiodati sono pezzi di bruma che si mischiano

ho fatto la media ed è 42,379 gradi alcolici bruciati
sotto la lampadina accesa da un indice di terracotta

il giallo domina distillato e indecente
e linee sinuose come fieno bagnato
su un copricapo straniero simile a chiosa
a poco a poco annebbiano le impronte molli
sul vetro che rimbalza nel tuo sesso intimidito
perciò tracanno questa mistura incrociando a fatica
le dita dei piedi perché c'è mezzadria sconfinata
sul pavimento mosso tra il soffitto e il muro

il sapore è buono e mi sembra che l'iride
cambi colore e intoni un miagolio incastrato

le mani a mezzaluna agganciano la tastiera
e scrivono prive di senno che la poesia è un intruglio
con scaglie di parole che colano gemmate
da recipienti sbrecciati in un amplesso feroce
e solo per caso diventano ombre minute senza sole

la poesia non è che un buco otturato dal nulla
perciò in questo inferno colorato d'azzurro
mi ritocco l'anima con le mie mani giunte
nel bicchiere colmo di vino nero addensato
che cola lento dalla bocca alla gola
e sembra un pianto gettato sul viso
di un dio euforico che scorre magico
in un nodo di preghiera e in un mistico nastro
di bestemmie rosse ed è rosso il colore che amo
quello della brace che si eccita e del sole
che sorge privo di me e del tramonto inciso
che manca di brillio e della ferita
che non si richiude e del vino
che sdoppia le cose tra cielo e terra

niente jazz stanotte come vento sull'uscio
a mulinare questi sensi accecati

c'è un magnificat che agita impunemente
questi muri soffusi dalla sapienza sorda

versami da bere anche dal tuo lontano
mescola le parole nel mortaio corale
di questa anima offesa e schiaccia forte
la tua mano di giunco nella piena
finché non verrà fuori ubriaco di tempo
l'umore aspro del nulla e il tuo odore di me
nel tuo acerbo apparire che mi invento

senza di te divento un ritaglio minuscolo
tumido nel cristallo appiccicato agli occhi

sei la mia ebbra memoria
nella mia storia alticcia
che sulla soglia calda
di questa notte ultimata
ho lasciato rabbrividire

due spallate nel covo artefatto
di una sindrome tonda e vedo
spigoli di case
rombi di coccio
petali secchi di baci
chicchi d'uva spremuti

muffa nell'ultimo sorso
della bottiglia cinica

una simmetria esagerata in contro canto ottura
un contrabbasso spulciato dai polpastrelli di mingus

african freedom resta la mia dedica al sole

ho gli occhi appiccicati alle tue mani incerte

stanotte ho messo nel futuro
una scatola di latta schiacciata
e una bottiglia sempre vuota

non sono mai stato bravo nel coniugare i verbi

ora giriamo la testa su un piano inclinato
e alitiamo sui nostri visi riflessi senza premura

tu puoi anche riempire il mio bicchiere assediato
io posso ancora guardare l'angolo frettoloso
del tuo seno sorpreso nell'incavo confuso
dal filo imperfetto dell'alba che aspetta

così mi accingo a trattenere il fiato
in un bicchiere sottile di grappa di rose

(il viso della cinesina sembrava di cartapesta
e dopo il quarto bicchierino prese fuoco)

in oriente un sorriso brucia lo sguardo

dovrò guardare ideogrammi sui muri
dopo una sbornia e una coltellata alle spalle

ma so che hank tom waits o hem
le avrebbero detto: drink again, babe!

(l'odore giallo della sua pelle
lo immagino colpito su un letto
ad una piazza e mezzo se il suo sesso
cola su tre cuscini di piume )

the piano was be drinking,
the piano was be drinking,
not me, not me, not me....

eppure stavolta un gioco distratto dai gesti
stava bevendo me e la cinesina aveva un viso
con colori furiosi da sussurrare al muro,
da lasciare filtrare sul pavimento

il vino ora sembra l'inchiostro di un uomo
che scrive sbirciando una pergamena
e un barattolo preso a calci dal vento
sulla battigia di un oceano senza memoria
la mia mano ubriaca raggiunge il fondo
e scava con unghie sfilate ma dice di veleggiare
tra le onde e i cirri leggeri e perciò mente

questo viso levato avrà lingua asciutta
questo viso staccato nella schiuma

tu che schiacci il pomo dorato nel rosso
della poesia e lo sminuzzi per farne sangria
con gin disceso da un mare amaranto
non riconosci lo stupore improvviso
di un racconto veloce come pietre
nel buco nero del respiro in colorato flambé

io con le pupille a spillo e l'iride azzurra
ben annegate in una tazza di terra stracotta
da un tizzone tigrato che un demone alcolizzato
e principe osceno di questa terra impaludata
tiene sotto il piedistallo di un sole di ferro fuso
apparso stanotte per illuminare un profilo
interrato come la vigna del paradiso terrestre
che tu sai scompaginare tra le tue ciglia distillate

al suono di campane sorde e ubriache
mastico le brocche del tuo seno
illuminato da una carne secca e sdoppiati
vedo due capezzoli avvinazzati come
due rossi occhi acquosi madreperlati

non dire nulla di noi sulla terraferma
ma svuota questo calice plebeo
che ti offro in segno di dedizione

le mani premono inconsistenti
i nostri incastri slacciati
e tu taci ancora per qualche ora
come una mosca dalle ali graffiate
impigliata nella tela ferrosa
di un ragno con dodici zampe
di seta turchina dal profumo
di more ingiallite nel rame

fuori da questa stanza scassinata
un profumo di fiori impazziti
su un campo di grano putrefatto
inquieta il sole che sbatte sui muri
e lascia segni di chiazze gialle
come pozzanghere di whisky annacquato,
incollate sulle pareti con l'intonaco grigio
incrostato da impurità indurite dagli occhi.

"La donna accanto a me si muove
come un cammello eunuco e saltella
tra la mia pancia e le mie ginocchia.
Trema come la mano venosa di un alcolizzato.
Io cerco di tenerla ferma, ma lei è una tenaglia ruvida
che si tende ad arco flessibile come preghiera
o sfida appesa ad un amo di ghisa
e titilla le sue corde vocali col fiato caldo
come se avesse in gola scaglie di vetro.
Lei mi appare una belva che vuole
incollare le nostre lingue ai sessi.
Colpisce invece con la fronte la mia bocca
che si spacca come uno spigolo di porcellana
battuto da un lembo di un maglio ostinato.
Il sangue si distende come sigillo terso
e lei ride con quel viso di cuoio cucito da poco
e quegli occhi che sono acque agitate dal cielo.
Ora le mie labbra tumide fioriscono
e gocciano come il suo sesso muschiato
e siamo entrambi in bilico su noi stessi
quando prendo la mia bottiglia loquace
e verso il liquore giallo che brucia
sulla mia carne stracciata dal suo gesto.
Lei si stringe al cuscino ed il suo corpo
è una conca latte perlato da bachi rosa.
Bevo come un agnello da svezzare
succhia, prima del sacrificio sulla pietra,
il latte impuro da una mammella ovina,
ignaro della lama che taglierà la sua gola.
Nessuno è innocente. Nessuno è colpevole.
Fammi dimenticare, finché con te speculare
sono ancora vivo, dico opaco a me stesso
mentre uso il lenzuolo per nettare le macchie
di un'altra notte stanca del suo stupore."

 

 
 
 
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