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Grazie Michele, ho visto il tuo blog, complimenti...
Inviato da: inambiente
il 09/07/2007 alle 11:42
 
complimenti per il blog!Michele.
Inviato da: joiyce
il 29/06/2007 alle 18:11
 
L'ombra dei "mostri" sulle nostre spalle.
Inviato da: joiyce
il 29/06/2007 alle 18:10
 
Ti ringrazio!! Sei gentilissimo. Proprio ieri avevo dato...
Inviato da: inambiente
il 21/05/2007 alle 15:22
 
Bel blog! Riusciremo a risolvere questi problemi? Voglio...
Inviato da: eganz
il 21/05/2007 alle 12:08
 
 

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Venti anni di paradiso nella città dei rifiuti.

Post n°21 pubblicato il 21 Maggio 2007 da inambiente
 

InAmbienTe. Si era nel lontano 1994, quando in Campania si cominciò a sentire puzza di ecomafia. Oggi siamo nel 2007 e la puzza è raddoppiata, da una parte la camorra e dall’altra il rifiuto.Fino al 1998, i rifiuti erano sversati in discarica senza nessun accorgimento preliminare, in pratica il rifiuto veniva prodotto dalla comunità e veniva sversato tal-quale nella discarica. Solo dopo l’approvazione del Decreto Ronchi (n° 22/1997) si impose il divieto di conferire il rifiuto tal-quale direttamente in discarica. Ad essere precisi, il D.L. 22/97 creò una vera rivoluzione nella gestione dei rifiuti in Italia, introducendo per la prima volta il concetto di Raccolta Differenziata e imponendo la riduzione della produzione alla fonte. Basti considerare che circa il 70% dei rifiuti è composto da imballaggi. Qualche anno dopo, con la legge che regolamenta l’uso delle discariche (36/03) si fece un passo indietro, fu re-introdotta la pratica dello smaltimenti tal-quale dei rifiuti (anche se la regione Campania non si adeguò) ponendo dei limiti sulla frazione organica a: 173 kg (di organico) per abitante ad anno fino al 2008, per arrivare a 81 kg per abitante anno nel 2018.

Discarica

Prima di iniziare a fare due conti è bene fissare l’attenzione su alcuni parametri importanti.

  1. Il limite imposto dalla normativa in tema di Raccolta Differenziata era a scalare, ed entro il 2003 era previsto un tetto minimo del 35%. Oggi, in Campania si stima (non so con quale criterio) il 12% di differenziata, ben al di sotto del limite normativo.
  2. Un abitante della Campania, in media produce 1,3 kg di rifiuto al giorno.
  3. Il 35% in volume di rifiuto è composto da organico.
  4. La legge permette di sversare il rifiuto tal-quale se ha apporto in materia di organico per abitante all’anno inferiore a 173 kg.
  5. Gli abitanti della provincia di Napoli sono circa 3000000.
  6. Gli abitanti del nostro comprensorio arrivano a circa 200000.
  7. La densità media di un rifiuto in un autocompattatore è di 0.3 tonnellate a metro cubo.
  8. In un impianto di trattamento si produce circa il 30% di organico che stabilizzandosi perde il 20%in volume.
  9. Circa il 20% sono sovvalli.
  10. Dalle ecoballe si ha il 15% di ceneri.
  11. Il volume medio di una Discarica come quella di Villaricca dovrebbe essere intorno ai 2000000 di mc (parametro stimato).

Veniamo ai nostri conti. Supponiamo di trovarci nella situazione attuale, dove dagli impianti esce rifiuto trito-vagliato che non subisce riduzione in volume:

  1. Produzione giornaliera di rifiuto della provincia di Napoli: 1.3 * 3000000 = 3900000 kg / giorno (3900 t/d).
  2. Volume di rifiuto al giorno: 3900 / 0.3 = 13000 mc / d di rifiuti che ogni giorno vanno in discarica.
  3. Giorni utili per il riempimento della discarica: 2000000 / 13000 = 153 (poco più di cinque mesi).

Quindi ci rendiamo conto che, nel caso in cui tutta la provincia di Napoli sversi in un unico bacino di 2mln di mc un rifiuto senza che preventivamente ci sia stata una riduzione di massa, il sito si satura in un tempo di circa 5 mesi. Da considerare che nella gestione di una discarica controllata, per rientrare dei costi, si dovrebbe avere un tempo di attività almeno di 5 anni.

E se a sversare in quel bacino fosse solo il nostro comprensorio, cosa accadrebbe?

  1. Produzione giornaliera di rifiuto nel nostro comprensorio: 1.3 * 200000 = 260000 kg / giorno (260 t/d).
  2. Volume di rifiuto al giorno: 260 / 0.3 = 866 mc / d di rifiuti che ogni giorno vanno in discarica.
  3. Giorni utili per il riempimento della discarica: 2000000 / 866 = 2309 (circa sei anni e mezzo).

Direi che, alla luce dei due conti appena fatti, non sarebbe poi tanto male. Si smaltirebbero i nostri rifiuti, in quantità assai minori, con tempi per la gestione assi più lunghi e possibilità quindi di maggiore attenzione nelle modalità di abbancamento e di conferimento.

Ma spingiamoci ancora oltre. Se nei lunghi anni di commissariamento si fosse arrivati alla piena realizzazione del ciclo integrato dei rifiuti, oggi ci sarebbero sette impianti di trattamento perfettamente funzionanti, tre impianti di termovalorizzazione e alcune discariche per il conferimento di FOS, sovvalli e ceneri. Inoltre, in Campania la Raccolta Differenziata si troverebbe al 35%. Cerchiamo di tirare fuori qualche cifra:

  1. Produzione giornaliera di rifiuto nel nostro comprensorio: 1.3 * 200000 = 260000 kg / giorno (260 t/d).
  2. Volume di rifiuto al giorno: 260 / 0.3 = 866 mc / d di rifiuti.
  3. Il 35% viene differenziato alla fonte: 866 * 0.35 = 303 mc di rifiuto differenziato, che esce dal ciclo. Restano 563 mc.
  4. Circa il 30% va nella frazione organica da stabilizzare: 563 * 0.30 = 167 mc, nella fase di stabilizzazione si perde circa il 20% in volume: 167 * 0.8 = 135 mc di FOS da conferire in discarica.
  5. Circa 20% sono i sovvalli: 563 * 0.2 = 113mc da conferire in discarica.
  6. Il 50% va a comporre le ecoballe: 563 * 0.5 = 282 mc.
  7. Dall’impianto di termovalorizzazione si produce il 15% di ceneri: 282 * 0.15 = 43 mc da conferire in discarica.
  8. Sommando la quantità di rifiuto da conferire in discarica (i numeri in grassetto) si ha: 135 + 113 + 43 = 291 mc.
  9. Giorni utili per il riempimento della discarica: 2000000 / 291 = 6872 (circa venti anni). Decisamente una situazione niente male.

Ricapitolando, se tutta la provincia di Napoli conferisce rifiuto tal-quale in un unico catino dalle dimensioni medie di 2mln di mc, nel giro di 5 mesi ci si ritrova nella situazione di partenza: trovare una discarica in cui conferire la produzione giornaliera di rifiuto.

Se a conferire il rifiuto tal-quale fosse solo un’area, quindi se si prevedono più catini per l’intera provincia, la discarica si riempirebbe nel giro di cinque anni, con un vantaggio in termini di gestione, e quindi di qualità della vita dei centri abitati limitrofi, decisamente elevato.

Nell’ipotesi, oggi quasi fantascientifica, in cui il ciclo integrato dei rifiuti fosse attivo, a partire dalla raccolta differenziata fino alla termovalorizzazione delle ecoballe, si avrebbe uno scenario da paradiso terrestre, con la durata della discarica intorno ai 20 anni, all’interno della quale sarebbero conferiti la Frazione Organica Stabilizzata, quindi niente puzza e pochissimo percolato, i sovvalli degli impianti di trattamento (praticamente degli inerti) e le ceneri degli impianti di termovalorizzazione (inerti anch’esse).

Io opterei per il terzo scenario. E voi?

 
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Il problema dei rifiuti dal punto di vista politico-sociale e gestionale.

Post n°20 pubblicato il 22 Febbraio 2007 da inambiente
 
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InAmbienTe. Secondo appuntamento sul tema scottante della termovalorizzazione e, questa volta, voglio proporvi un articolo redatto dall’Ingegnere Pasquale Spinelli ricco di contenuti riguardanti sia la termovalorizzazione che  le discariche. Prima di passare la mano a Pasquale, vorrei aggiornarvi sull’avanzamento dei lavori del termovalorizzatore di Acerra.

Per cominciare vi fornisco qualche numero e qualche informazione tecnica.

L’impianto di Acerra tratterà 1500 tonnellate di rifiuto al giorno e 75 camion entreranno ogni giorno nell’impianto, i rifiuti saranno bruciati su una griglia raffreddata ad acqua e il sistema di abbattimento dei fumi è di tecnologia superiore a quello di Brescia infatti sfrutta dei filtri a maniche e il sistema Denox per l’abbattimento della diossina. La terza caldaia per la produzione di vapore per l’alimentazione delle turbine sarà pronta entro aprile. Il problema maggiore, per ora, sembra la mancanza di CDR con potere calorifico sufficiente ad una corretta combustione, poiché il CDR prodotto durante i periodi di emergenza non sembra essere di buona qualità. Appena si avranno altre notizie sull’argomento vi aggiornerò, ora vi lascio all’interessante intervento di Pasquale.
Edoardo Farina.

Mi chiamo Pasquale Spinelli, sono laureato in Ingegneria Civile per l’Ambiente e il Territorio e volevo proporvi una serie di articoli dedicati al recupero energetico dalla termovalorizzazione dei rifiuti argomento sulla quale ho svolto la mia tesi di Laurea. Strutturerò i miei articoli in tre sezioni che tratteranno rispettivamente:

  1. il problema dei rifiuti dal punto di vista politico-sociale e gestionale
  2. l’impianto di incenerimento con tutti i suoi processi e le sue parti
  3. il recupero energetico e gli effetti ambientali.

1 - Il problema dei rifiuti dal punto di vista politico-sociale e gestionale

Nell’ecosistema terrestre l’uomo ha una duplice posizione: da un lato ne è parte integrante e, in questo senso, ne trae le fonti per vivere, dall’altro interagisce sui suoi meccanismi alterandolo e, molto spesso, danneggiandone gli equilibri essenziali. La forma più elementare di alterazione dell’ambiente viene dalla produzione dei rifiuti e dalla loro gestione. I rifiuti sono il risultato del complesso delle relazioni tra sistema economico e ambiente nel ciclo produttivo umano.

Nella microeconomia tradizionale i fattori ambientali entrano nella categoria dei cosiddetti beni liberi che, a differenza dei beni economici, non hanno un valore economico, ma solo un valore d’uso. In questo senso ricadono di fatto nella categoria dei beni pubblici, il cui uso deve essere regolato dalla collettività. Da tali considerazioni discende la dimensione politico-sociale del problema rifiuti, che richiede interventi correttivi, anche economici, perché si attivino i meccanismi di mercato atti ad assorbire i sottoprodotti dell’attività umana e a contenerne il disastro conseguente.

Nella sostanza si tratta di attivare in parallelo due tipi di strategie:

  1. da una parte attuare un processo di internalizzazione dei costi sociali derivanti dalla produzione del rifiuto, che agisca direttamente sul soggetto che produce tale inquinamento, in maniera da ricondurre il livello di inquinamento quanto meno a una soglia socialmente accettabile;
  2. dall’altra parte cercare di agire nel senso di un progressivo cambiamento dei modelli di consumo e dei processi di produzione, tramite la leva della ricerca, dell’innovazione
    tecnologica e dell’educazione per mantenere o continuare ad accrescere i livelli di sviluppo raggiunti, in maniera compatibile con la salute dell’uomo e la qualità della vita.

Il nostro Paese , oltretutto, vede predominare nelle città italiane un solo strumento gestionale o, più propriamente, una sola forma di smaltimento: la discarica. Nel pianeta discariche, inoltre, progredisce pericolosamente la discarica incontrollata e illegale, che rappresenta la forma forse in assoluto più temibile di smaltimento del rifiuto. Il business si è andato rafforzando dal momento che, mentre il volume dei rifiuti continuava ad aumentare, nonostante la crescita zero della popolazione e la recessione economica, per contro le discariche cominciavano ad esaurirsi ed erano pressoché assenti forme alternative di trattamento e di gestione.

L’incenerimento è stato bandito grazie alla visione miope di certo ambientalismo, che ne ha fortemente osteggiato la diffusione: si sono demagogicamente esaltati i rischi dell’incenerimento, mentre gli inceneritori nel resto del mondo crescevano e la tecnologia faceva passi da gigante nell’abbattimento dei fumi e nel recupero di energia tramite la cogenerazione. Le iniziative di recupero/riciclaggio sono rimaste limitate, anche se il loro raggio di azione rimane di fatto marginale o meglio complementare nella gestione dell’enorme massa di rifiuti prodotta. Ma soprattutto è venuta a mancare un’applicazione costante e completa delle leggi e l’adozione ed affinamento di adeguati strumenti politici e gestionali.

Tale situazione non fa che generare confusione perché ci ripropone opinioni e interventi improduttivi, senza mai sfociare in una politica attenta ai metodi e alla scientificità delle valutazioni. In questo senso occorre, da un parte, rimettere ordine scientifico nella valutazione dei rischi ambientali, che non hanno la stessa gravità e pericolosità, per stabilire priorità basate sul rischio relativo e, dall’altra, comprendere che una singola tecnologia o un singolo strumento non possono risolvere il problema dei rifiuti, al contrario è necessario un approccio integrato che sia in grado di combinare elementi derivati da diverse tecniche.

Al fine di garantire lo sviluppo di una politica di prevenzione strategica dei rifiuti, come previsto dalla normativa nazionale, risulta necessario garantire, in primo luogo, la definizione di un quadro di azioni di riferimento, coordinate all’interno di Piani e Programmi territoriali contenenti l’individuazione di obiettivi strategici quantificati, di strumenti normativi, economici e volontari selezionati sulla base di una valutazione dei loro effetti ambientali, economici e sociali.

Appare evidente che per raggiungere risultati sul piano della riduzione di quantità, volume e pericolosità di prodotti e materiali che confluiscono nei rifiuti, occorre intervenire con misure in grado di incidere sul risparmio delle risorse e sulla domanda dei beni e servizi. Tale impostazione richiede una serie di interventi integrati di natura giuridico-amministrativa, economica-fiscale, finanziaria, informativa e negoziale.

L’utilizzo integrato di più strumenti quali, in primo luogo, la responsabilità estesa dei produttori, il green public procurement, il “Design for Environment”, i sistemi di tariffazione dei rifiuti in funzione delle quantità gestite, altri strumenti economici quali ecotasse, incentivi, sistemi di deposito, contributi ambientali, consente di raggiungere un alto potenziale di riduzione dei rifiuti.

È, altresì, necessario assicurare l’applicazione del principio della responsabilità estesa dei produttori, per il ruolo determinante da essi svolto nell’attuazione di efficaci politiche di prevenzione, e di quello della responsabilità condivisa tra i vari attori coinvolti nei cicli di produzione e consumo.

Infine, l’approccio corretto ad una nuova fase di governo complessivo dei rifiuti dovrebbe partire da strumenti legislativi e di programmazione certi accompagnati da una adeguata conoscenza della realtà concreta del territorio che valuti anche le implicazioni sociali, economiche ed ambientali relative agli ambiti territoriali ottimali che devono essere individuati in conformità ai principi di autosufficienza per le attività di raccolta, smaltimento e recupero e di prossimità ai luoghi di produzione dei rifiuti.

Pasquale Spinelli, Ingegnere Civile per l’Ambiente e il Territorio.

articolo precedente

 
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IL FUTURO "ALTERNATIVO" DEI COMBUSTIBILI.

Post n°19 pubblicato il 03 Gennaio 2007 da inambiente
 

Quali sono i combustibili veramente alternativi al carissimo petrolio? Vediamo di capire chi sono i veri alternativi e quali sono invece i combustibili che per costo e difficoltà tecniche ancora non sono utilizzabili.

Tralasciando subito il GPL che ormai non è per nulla alternativo e le strategie politico-economiche delle grandi potenze come Russia e Stati Uniti che vogliono riesumare il nucleare (sfruttando come al solito i nostri scienziati, ovvero in questo caso Carlo Rubbia e il suo progetto di reattore intrinsecamente sicuro), tralasciando la Svezia che per correttezza e modernità sembra uno stato extraterrestre, concentriamoci sul nostro paese e sulle politiche energetiche ad esso compatibili e brevemente attuabili.

Idrogeno: si parla tanto di questo combustibile “magico” (nella seconda metà dell’ottocento è già stata usata una miscela combustibile con una elevata percentuale di idrogeno detta gas illuminante) da impatto zero ma non si parla molto della sua produzione.
Per produrre idrogeno si devono utilizzare enormi quantità di energia che se non sono neutre nei confronti della CO2  risultano comunque inquinanti. Vi sono inoltre molti problemi per lo stoccaggio all’interno delle autovetture e la sua distribuzione (le soluzioni sono: idrogeno liquido a -254 °C, oppure alta pressione a 400 bar che è il doppio di quella del metano, entrambe costose e per quanto riguarda l’alta pressione anche pericolosa). Insomma per ora la faccenda idrogeno sembra solo una soluzione politica alle dipendenze dal petrolio ma non tecnico - ambientale.

Metano e biometano: è un gas naturale puro (e non una miscela di gas diversi come il GPL ) estratto in zone petrolifere ma che può essere prodotto anche trattando i liquami fognari, i rifiuti e le biomasse. Potrebbe essere utilizzato nelle Fuel Cell al posto dell’idrogeno anche per le contenute emissioni di CO2  in funzione della potenza erogata, per stoccarlo nelle vetture lo si comprime a 220 bar (in Giappone invece arriva sulle navi Lng a -163°C in serbatoi criogenici). Esistono riserve fino al 2050 ed è semplice da utilizzare, i problemi nascono con la manutenzione degli impianti e le accise fiscali .
 
Alcoli: etanolo (è quello contenuto nelle bevande alcoliche, è prodotto dalla fermentazione di sostanze zuccherine e cellulosa) e metanolo (è usato spesso come solvente ma qualche “furbone” lo utilizzò anche per produrre vino, è prodotto chimicamente ma lo si trova anche in natura, ad esempio nella prima frazione di distillazione delle grappe da vinaccia) sono largamente utilizzati in Brasile e Svezia, anche grazie alle vetture flexifuel in grado di funzionare con alcoli e benzine separatamente, o con una qualunque miscela dei due in modo da “dosare “ il mercato. Il problema maggiore è la produzione che è legata alla resa dei campi di mais e canna da zucchero, un ettaro di mais produce solo 3000 litri di etanolo. Nonostante i costi la Francia disporrà entro il 2007 di 500  stazioni di distribuzioni di bioetanolo. Recentemente è stato studiato un lievito speciale in grado di far fermentare in tempi brevi la cellulosa, e quindi produrre etanolo anche se con costi ancora alti.

Biodiesel: viene prodotto in raffinerie sia dal classico olio di colza sia da biomasse assai diversificate (l’utilizzo nelle autovetture di olio di colza destinato a scopi alimentari, non raffinato, è una bufala ed è assolutamente sconsigliato dalle case automobilistiche). In commercio esistono molti motori pesanti che utilizzano il B20, una miscela al 20% di biodiesel e all’80% di gasolio. Oltre a utilizzare colza, canapa, lino e mais si possono utilizzare anche gli oli di scarto delle grandi catene di ristoranti. Le problematiche sono la bassa resa e i costi ancora alti, quindi questo tipo di combustibile risolve problemi ambientali ma non energetici.

Combustibili sintetici: derivano dalla liquefazione di metano, carbone, e dalle biomasse (in questo caso si parla perlopiù del legno e dei suoi cascami) tramite procedimenti chimici di sintesi abbastanza complessi (Gas to Liquid, Solid to Liquid ). Potrebbero essere un’alternativa al petrolio nei paesi in cui vi sono molte foreste (Biomass to Liquid), anche se si prevede inizialmente un utilizzo combinato con il gasolio.

Con questa carrelata di combustibili ho evidenziato quelli più chiacchierati ma vi sono una infinità di sigle che indicano composti nuovi o miscele di elementi già conosciuti, come ad esempio il bio-ETBE (etil-tertio-butil –etere) e il bio-MTBE (metil-terziario-butil-etere).
Penso che liberarsi del petrolio sia ormai un’esigenza comune a molti paesi, e quindi prima o poi si passerà all’utilizzo commerciale di un combustibile alternativo, ma è anche vero che una politica orientata al risparmio energetico e ad uno sviluppo sostenibile risolverebbe, a breve, molti problemi .
Personalmente faccio il tifo per il metano perché lo ritengo, attualmente, la soluzione a molti problemi, riguardo Alcoli e Biodiesel ho qualche dubbio su come verranno gestite le quote agricole dedicate alla produzione di carburanti, la mia paura (e non solo la mia) è che si abbia un rincaro di prodotti alimentari storicamente economici, per favorire strategie energetiche più allettanti dal punto di vista economico.
Infine, l’utilizzo di legname per produrre carburanti potrebbe accentuare i problemi di deforestazione e l’aumento di anidride carbonica.
Nella speranza di aver chiarito o creato qualche dubbio vi invito a dire la vostra nel Forum o nei commenti.

Edoardo Farina
edoardo.farina@gmail.com

 
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Arno: Panoramica sulle opere di difesa dalle alluvioni.

Post n°18 pubblicato il 17 Novembre 2006 da inambiente
 
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Firenze. Il 4 novembre di 40 anni fa il fiume Arno straripò dai propri argini seminando morte e distruzione, un evento tuttora vivo nella memoria di tanti, anche per la massiccia partecipazione nel recupero di libri e opere d’arte trasportate dalla piena. Attualmente, dopo una piccola inondazione nel ’92, si sono previste opere di sistemazione per un importo di 25 milioni di euro come la cassa di espansione di Fibbiana e la risagomatura degli argini.

Approfitto dell’occasione per fare una sintetica e rapida panoramica sulle opere di difesa dalle piene , anche se a mio parere la miglior difesa è sempre un uso consapevole e responsabile del territorio.

Argini: Sono opere longitudinali rispetto al corso d’acqua realizzate in materiale sciolto (terra prelevata in zone limitrofe). E’ una delle opere più diffuse, ma se non ben costruiti possono essere molto pericolosi cedendo per fenomeni di: sifonamento, sormonto, erosione. Inoltre a causa delle loro dimensioni e lunghezze hanno un costo elevato.

Canali deviatori (o diversivi): Sono canali artificiali, a pelo libero e/o in galleria, che consentono di deviare parte della portata di un corso d’acqua e sversarlo in un corso recettore.

Recentemente è stato redatto lo studio di fattibilità di un canale deviatore in parte in galleria e in parte a pelo libero nel comune di Noli (SV). L’opera in alcune sue parti ha come argini delle unità immobiliari che potrebbero perdere la loro abitabilità, inoltre è stata lasciata ai proprietari la verifica statica in relazione alle spinte idrauliche che si creeranno in caso di alluvione. L’opera avrà sicuramente dei costi inferiori rispetto all’ipotesi di costruire nuove pareti in corrispondenza degli abitati, ma come la pensano i proprietari delle unità immobiliari?

Vasche di laminazione: Si tratta di invasi artificiali realizzati con sbarramenti dei corsi d’acqua montani, sono dotati di una luce a battente sul fondo da cui fuoriesce tutta la portata entrante dopo un tempo relativo alle dimensioni dell’invaso. Si ottiene così una laminazione della portata di piena.

Casse di Espansione: Sono zone pianeggianti destinate ad essere allagate in caso di piene.

Insomma il principio di fondo è sempre lo stesso: allagare una zona (invaso, zona pianeggiante, corso recettore) a favore di un’altra. I problemi maggiori per la realizzazione di queste opere sono economici e politici. Economici per l’alto costo delle opere e politici perché proteggendo una zona spesso si va a discapito di zone limitrofe.

Edoardo Farina (con la collaborazione di Gianluca Plata)
edoardo.farina@gmail.com

 
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Cosa c'è all'orizzonte per noi campani sul tema della gestione dei rifiuti?

Post n°17 pubblicato il 12 Novembre 2006 da inambiente
 
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InAmbienTe. Ho appena letto questa notizia su CasertaSette:

"Il Cdr di Santa Maria Capua Vetere funziona a scartamento ridotto e per la provincia di Caserta al danno si aggiunge la beffa. Sabato e domenica scorse, infatti, i camion provenienti di Comuni del Casertano sono stati rimandati indietro e al loro posto hanno fatto scaricare i camion dell'Asia con i rifiuti di Napoli". La denuncia è del consigliere regionale di Forza Italia, Giuseppe Sagliocco. "Ho chiesto - aggiunge - un immediato incontro in prefettura per discutere di come viene gestita l'eterna emergenza rifiuti. Invito inoltre tutti i sindaci del Casertano alla mobilitazione in quanto Terra di Lavoro ha già sopportato abbastanza il peso e gli effetti nefasti dello smaltimento di tutti i rifiuti della regione Campania. Se ora la linea da seguire è quella della provincializzazione dei rifiuti non sono ammissibili trucchetti o giochi delle tre carte circa lo smaltimento nel Cdr di S. Maria Capua Vetere".

Alla luce dei fatti si notanto una serie di assurdi che farebbero impallidire chiunque. Ma vi siete mai chiesti che senso ha trattare i rifiuti, produrre questo benedetto C.D.R. per poi accatastarlo in mega aree di stoccaggio (vere bombe ecologiche) o magari esportarle in qualche comune tedesco anche a caro prezzo? Ma non sarabbe stato più logico spingere prima alla costruzione degli impianti di termovalirizzazione, che sono i ricettori del combustibile e poi alla costruzione degli impianti produttori di tale combustibile? Ma non vi sembra un assurdo? In Campania saranno costruiti tre mega impianti, cosa accadrebbe se per qualche ragione uno dei tre impianti dovrebbe essere chiuso o bloccato per qualche tempo? La conseguenza sarebbe che gli atri due impianti verrebbero pesantemente sovraccaricati, con quali conseguenze secondo voi? Ma non sarebbe stato opportuno prevedere più impianti per i diversi A.T.O. campani? Così se uno chiude non è poi un grave problema.

Immaginate una mega area di stoccaggio, con all'interno migliaia di tonnellate di balle accatastate a forma di piramide, immaginate qualche piromane allucinato che butta mezzo litro di benzina e un fiammifero su una di queste balle, immaginate l'inferno che ne viene fuori, immaginate i vigili del fuoco che, in linea teorica, non posso usare l'acqua per spegnerlo altrimenti creerebbero un vero disastro ambietale inquinando aria, terra e falde acquifere. Che cosa ci resta più da immaginare?

Perché tutto ciò? Analizzando superficialmente la situazione si può dire che sono tre le ragioni di questo assurdo:

  • Le ecomafie che guadagnano milioni di euro dai disagi e dalle emergenza e che condizionano le popolazioni inculcando nelle loro menti false paure sugli impianti di termovalirizzazione
  • La popolazione che impedisce la costruzione degli impianti e, quindi, la chiusura del ciclo
  • Le istituzioni che non hanno la forza di imporsi e di portare avanti i progetti approvati, né di combattere le ecomafie

Quindi io credo che sia davvero folle e paradossale la situazione campana, e credo anche che non se ne uscirà ne ora ne tra qualche anno, forse non ne usciremo mai se si continua così. L'impianto di Acerra, per ora l'unico in fase di ultimazione, non potrebbe mai assorbire tutto il C.D.R. prodotto in campania, né tanto meno quello già prodotto negli anni passati. Gravissimo sarebbe sovraccaricarlo e quindi farlo funzionare male, potrerebbe davvero più danni che benefici.

Allora cosa c'è all'orizzonte per noi campani sul tema della gestione dei rifiuti? È una domanda alla quale non oso rispondere, potrei aver paura della risposta.

per approfondimenti: www.inambiente.it

 
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