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considerazioni necessarie e non

 

 

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Louis Icart

Post n°1414 pubblicato il 24 Marzo 2018 da several1

 

 

 

 

 

 

I.

Vorremmo conservare la purezza,
avesse pure il male piú realtà.

Vorremmo non odiare,
se anche il maltempo disperdesse i semi.

Chi sa la leggerezza che è nei semi
esiterebbe ad adorare il tuono.

II.

Seguo la linea indecisa degli alberi,
dove aerei i piccioni batton l’ali:
tu, carezzata dove nascono i capelli…
Ma sotto le dita s’apre la distanza,
si spezza come paglia il dolce sole.

III.

Terra allo stremo qui. Ma fa che piova
un giorno solo, e un fremito d’umidità
lascia intuire che tornerà nuova.
La morte ha per un attimo quest’aria fresca
del bucaneve…

IV.

In me si staglia il giorno come un toro,
tanto che quasi lo diresti forte…
Potessimo stancare il matador
e ritardare un po’ la messa a morte!

V.

D’inverno, l’albero si raccoglie.

Poi un giorno il riso gorgoglia
e il mormorio delle foglie,
le gemme dei nostri giardini.

Per chi non ama piú nessuno,
la vita è sempre piú lontana.

VI.

O primi giorni di primavera
nel cortile di scuola giocando
tra due classi di vento!

VII.

Sono impaziente e insieme preoccupato:
chi sa che piaghe, che tesori porta
un’altra vita? Scaturisce in gioia
la primavera, o soffia verso morte.
– Ed ecco il merlo. Una ragazza timida
esce di casa. L’alba è nell’erba umida.

VIII.

Vedo, a grande distanza,
la strada coi suoi alberi e le case,
e il vento fresco di questa stagione
che spesso muta senso. Una carretta
passa con sopra dei mobili bianchi
nel sottobosco d’ombre.
Davanti vanno i giorni, e quel che resta,
mi basta poco tempo a farne il conto.

IX.

I mille insetti della pioggia hanno lavorato
tutta la notte; gli alberi sono fioriti di gocce,
il temporale è un rumore di frusta lontana.
Il cielo però è ancora chiaro; e nei giardini
risuona il mattutino degli attrezzi.

X.

Quest’aria che non vedi
porta un uccello lontano
e, senza peso, i semi
da cui crescerà domani
il margine dei boschi.

Oh, come scorre la vita
verso il basso, testarda!

XI.

(La Senna, 14 marzo 1947)

Il fiume incrinato s’intorbida. Le acque salgono
e lavano il lastricato delle rive. Perché dall’Oceano
è sceso l’alto e cupo barcone del vento,
pieno di semi gialli. Fluttua ovunque
un odore d’acqua, lontano e dolciastro… Si trema
soltanto ad avere sorpreso palpebre aprirsi.

(Luccicante, c’era un canale da seguire,
il canale della fabbrica, e si gettava un fiore
alla sorgente, per ritrovarlo in città…)
Ricordo d’infanzia. Mai uguali le acque, mai,
uguali i giorni: e chi prendesse l’acqua tra le mani…

Si accende un fuoco di rami sulla riva.

XII.

È fluido questo verde, trema, brilla,
come zampillo d’acqua di fontana,
sensibile anche al minimo spiracolo; e uno sciame
sembra si sia posato in cima all’albero,
d’api ronzanti; paesaggio leggero
in cui ci chiamano uccelli mai visibili,
voci, senza radici come semi, e pure tu,
coi tuoi ricci spioventi su occhi chiari.

XIII.

Di questa domenica un solo istante ci ha raggiunti,
quando la nostra febbre si è placata, e i venti:
e sotto le luci di strada le cetonie
si accendono, poi si spengono. Luminarie, diresti,
lontane in un parco, forse per la tua festa…
Anch’io avevo creduto in te, anch’io bruciavo
della tua luce, che poi mi ha lasciato. Il loro guscio
scricchiola secco mentre cade nella polvere. Altri salgono,
altri s’infiammano, e io sono rimasto nell’ombra.

XIV.

Ovunque, cenni: i lillà ansiosi di vivere
e i bambini che smarrivano i palloni
dentro i parchi. Poi, quelle zolle rivoltate lí vicino,
che denudavano, radice su radice,
l’odore di donna stanca… Nulla, inezie,
con cui l’aria tesseva la sua tela
tremante… E io la laceravo
a furia d’esser solo e cercar tracce.

XV.

Nuovamente i lillà si sono aperti
(ma non è piú una garanzia per nessuno),
sfrecciano codirossi, e alla domestica,
se parla ai cani, la voce si addolcisce.
Le api lavorano nel pero. E sempre resta
in fondo all’aria, questo ronzio di macchine…

 

 

 


                            Philippe Jaccottet

 

 

 

 

                                

 

 

 

 

da J

 

 
 
 
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