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La vandemmia

Post n°75 pubblicato il 05 Luglio 2013 da ocsurte


Venne il tempo della vendemmia. Le colline intorno Nìmes, le campagne del pont du Gard, le cittadine di Narbonne e Carcassonne, tutta la Linguadoca si vestì dei colori che il sole di quel tardo settembre imprimeva ai grappoli di Fitou e Cabardes. I trattori con i pianali carichi di bigonge facevano la spola con le cantine, le aie erano apparecchiate da lunghe tavolate, vignaioli screanzati in cerca di carezze oscene baccagliavano  le donne sudate. Si celebrava il rituale della vendemmia, tra brocche d'acqua attinte dai pozzi a mattoni e bambini ubriachi di sole e di compagnia.  Un mondo antico di sapori e colori che riemergeva e resisteva, la modernità che cedeva il passo. Solo il distretto di Marcoule, non era in festa per la vendemmia. Messi di grano seminate e coltivate a bella posta per abbassare il contenuto di cesio137, erano date alle fiamme e le vaste spianate attorno alla centrale assumevano un aspetto spettrale. Campi anneriti e il vento che alzava nuvole di polvere nera e faville di brace, solo questo si poteva vedere dal villaggio deserto e lungo l'unica strada che conduce al sito nucleare. Roberto fa i suoi turni alla dismissione del reattore. Non ha con se la famiglia, Marcella e Luca sono alloggiati in un piccolo albergo a ridosso della costa, come sempre succede per le famiglie dei tecnici, quando viene il tempo degli incendi programmati. Per lui è suonata la campana dell'ultimo giro, dal primo di ottobre non gli verrà rinnovata l'idoneità al lavoro in zona controllata, c'è solo da aspettare i risultati delle analisi e la convocazione da parte della commissione medica. Casualmente, il fatto di essere separato dalla famiglia per la procedura degli incendi controllati, potrebbe essere anteprima di quello che accadrà dopo, quando il suo lavoro e la sua retribuzione cambieranno. Perderà la sua famiglia, certo, Roberto è convinto di vivere un'anteprima di quello che accadrà. Stranamente, però, in questi suoi ultimi turni di lavoro non percepisce più quella disperazione che lo aveva accompagnato per lunghi mesi. Quelle lacrime silenziose condivise con Marcella sotto le lenzuola, le parole dure e oscure, strappate dalla bocca di Adamo nel loro drammatico colloquio, l'ansia dell'aspettare una mossa dell'ineffabile colonnello Ferrettì, hanno ceduto il passo, dentro di lui, ad una determinazione ferrea e silente. Si direbbe, a vederlo, che sappia cosa fare del suo futuro. Non rappresenta più l'iconografia di un uomo sbalzato dagli eventi incapace di fronteggiare un imminente destino che stia per compiersi. Non sappiamo cosa accade dentro la sua mente; Potrebbe essere giunto al termine di quella strada dopo il quale niente più conta, essersi avvicinato a quel limite che si supera poi di slancio, con un atto di autolesionismo estremo che diventa un gesto sublime e risolutore. Oppure Roberto sa qualcosa e ha deciso qualcosa che non ci ha ancora detto. Per adesso lo vediamo aggirasi per la sala vasche, estrarre dal bavero della tuta di Tyvek un barattolino di quelli che si usavano per i negativi delle fotografie e raccogliere dei piccoli cristalli di polonio da un'inflorescenza di sali sopra ai mattoni di piombo della parete. (continua)  

 

 

 

 
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