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Creato da: enzo.decostanzo il 31/03/2010
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Grilli votanti (e votati) - dalla rivista Mondoperaio

Post n°72 pubblicato il 08 Luglio 2011 da enzo.decostanzo
Foto di enzo.decostanzo

 

 


Gianfranco Pasquino - Nelle elezioni comunali di Bologna svoltesi il giugno 2009, il Movimento Cinque Stelle ottenne 7.428 voti (3,3%). Meno di due anni dopo, nel maggio 2011, ha quasi triplicato i suoi voti 17.778 (9,4%) diventando il quarto partito in città e arrivando vicinissimo alla Lega Nord che, anche grazie alla candidatura a sindaco del suo leader, ha ottenuto 20.268 (10,7%). Dunque, nella città di Bologna, i grillini, come vengono chiamati, risultano particolarmente forti, ma il loro successo non può essere spiegato semplicemente con la rumorosa, assidua e pittoresca frequentazione di Piazza Maggiore da parte di Beppe Grillo, anche se questa frequentazione è, di per sé, un segnale interessante.
Riscontrare che in una città abituata ad essere governata da un, persino troppo serioso, partito come il PCI, lo sberleffo alla politica tradizionale, che continua quasi imperturbabilmente, ad essere impersonificata, nonostante sconfitte e scandali, dagli eredi di quel partito e dai non meno ingessati eredi dei democristiani, anche nella loro nient’affatto dinamica o divertente, versione prodiana, il Movimento Cinque Stelle attragga al voto quasi ventimila persone, merita una spiegazione approfondita.
Escludiamo, anzitutto, che la lista Cinque Stelle abbia avuto un suo potenziale di attrazione rappresentato da candidati più o meno famosetti che venissero dallo spettacolo: tutt’altro. A cominciare dal loro poco più che ventottenne capolista, Massimo Bugani, nessuno dei candidati ha avuto numeri molto elevati di preferenze.
La spiegazione del successo va, pertanto, cercata altrove, non soltanto nel voto, pure preponderante, dei giovani, non necessariamente soltanto studenti universitari (molti dei quali sono “fuorisede”, quindi senza diritto di voto a Bologna). La mia chiave di lettura si indirizza verso tre fattori che definisco sinteticamente:

  1. critica della politica e antipolitica;
  2. rigetto del Partito Democratico;
  3. utilizzazione delle risorse della politica.

Quanto al primo fattore, chiunque abbia ascoltato gli infuocati comizi di Beppe Grillo, e quelli tenuti a Bologna erano, se possibile, i più infuocati, vi coglie non una, ma due componenti significative.
Da un lato, vi si ritrova, quasi inevitabilmente, una sorta di qualunquismo di sinistra che consiste nel dichiarare tutti eguali i partiti e i loro dirigenti, nel rifiutare qualsiasi distinzione fra destra e sinistra, nell’affermare che il problema sta proprio nella politica come la vediamo e la conosciamo (quantomeno in Italia), come viene fatta “da loro”, tutti gli altri. Ne consegue che niente di questa politica può essere riformato, tantomeno dai suoi protagonisti, né a Roma né nelle realtà locali. Dunque, tutta, ma proprio tutta, questa politica deve essere stracciata.
Dall’altro lato, però, Grillo ha lanciato varie parole d’ordine, a cominciare dai limiti ai mandati, che segnalano non antipolitica, ma critica della politica e delle istituzioni e indicazioni di riforme, ancorché con cedimenti populisti, praticabili. Naturalmente, è una critica rozza, che non si confronta con visioni diverse, ma che, comunque, tiene conto delle realtà esistenti. E’ un po’ più che una semplice protesta urlata; contiene anche qualche proposta, discutibile, come ho detto e ripeto, ma certamente attraente per un “pubblico”, incuriosito e incazzato, che politicamente non è raffinato e neppure intende diventarlo.

Chi più del Partito Democratico, erede del vecchio PCI, non particolarmente lucidato a nuovo, rappresenta, a Bologna più che altrove, con i suoi riti, con il suo stile, con le sue procedure, con il suo linguaggio e con i suoi comportamenti, tra arroganza del potere e condiscendenza, la cattiva e fatiscente politica tradizionale?
Dunque, chiunque desideri una politica diversa, abbastanza rinnovata, più dinamica è costretto a scontrarsi con i Democratici e con il loro aggressivo e granitico apparato, cementato dall’accesso ad una molteplicità di posizioni di potere politico, economico e sociale.
Il PD è l’avversario logico e naturale, imprescindibile di chiunque voglia vedere e praticare a Bologna una politica diversa, più aperta, più dinamica, più trasparente.
A Bologna, le botteghe oscure ci sono ancora, eccome. Chi critica il PD, e, nonostante i tentativi di un neo-segretario provinciale intenzionato a svecchiare e riformare, continua ad esserci molto da criticare, raggiunge facilmente una parte di elettorato, genericamente sinistreggiante, che quel partito non lo voterebbe che in casi assolutamente eccezionali e che, se trova un’alternativa non impegnativa, vi ci si orienta.
Il Movimento Cinque Stelle ha offerto a questa parte di elettorato un’alternativa soddisfacente e non impegnativa. E’ un’alternativa preferibile all’astensione indignata e sdegnata poiché consente di contare il seguito ottenuto dal Movimento, di fare uno sberleffo e di continuare in Consiglio Comunale e in città come spina nel fianco del Partito Democratico. E’ la premessa di una guerriglia praticabile nel Consiglio comunale.

Di più, al momento, è impossibile dire anche se, nel Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna, la “guerriglia” dei grillini non è finora parsa particolarmente incisiva, mentre il precedente Consiglio Comunale di Bologna è durato troppo poco per consentire una valutazione. A occhio, direi, anzitutto, che le istituzioni e le loro regole costituiscono uno strumento potente per “disciplinare” gli eventuali guerriglieri.
Aggiungo che, per intraprendere un’efficace guerriglia, bisogna disporre di guerriglieri consiglieri eccezionalmente preparati, conoscitori delle tecniche di legislazione e delle dinamiche delle Commissioni e dell’Assemblea e dei loro regolamenti.
Al momento è del tutto lecito dubitare che i grillini partano già “imparati”. Poi si vedrà quanto davvero vorranno imparare con attenzione, impegno, pazienza e se non si limiteranno alla politica dell’annuncio e della ricerca della visibilità, a Bologna entrambe alquanto difficili, a scapito della qualità del loro lavoro.
Quanto al terzo elemento che spiega il successo bolognese dei grillini, potrei cavarmela con una espressione inglese: nothing succeeds like success, ovvero il successo produce successo. Non è, però, un fattore di carattere psicologico, tantomeno di psicologia delle masse, anche se il successo evidenzia che un voto ai grillini non è un voto buttato, sciupato, a perdere. Andati inaspettatamente bene nelle elezioni comunali del giugno 2009, i grillini sono riusciti, non so quanto consapevolmente, a sfruttare l’abbrivio anche nelle elezioni regionali dell’aprile 2010.
Sono stati notevolmente favoriti sia dallo scandaloso sindaco breve Delbono sia dal fatto che il partito dominante in Emilia-Romagna è ugualmente il PD, con molti degli stessi inconvenienti del PD bolognese, sia, infine, dal fatto che il candidato alla Presidenza della Regione, Vasco Errani, infrangeva proprio il principio (se non addirittura la norma di legge) relativo all’eleggibilità per più di due mandati.
Dopodiché, a sua volta, il successo alle regionali ha funzionato da volano che è arrivato fino a Rimini alle cui elezioni comunali del 2011 i grillini hanno ottenuto un esito altrettanto clamoroso di quello di Bologna. Al proposito, preferirei aggiungere e sottolineare un elemento che fra i commentatori e gli utilizzatori appassionati della rete, dei blog, di Facebook e Twitter è andato sostanzialmente perduto: il radicamento (dentro le istituzioni).


Ovviamente, il Movimento Cinque Stelle non costruisce sezioni, non lavora per circoli, non tessera i suoi aderenti e sostenitori, ma, una volta entrato nelle assemblee elettive può fare ampio uso delle loro dotazioni. Si ritrova, dunque, ad avere soldi da spendere per l’attività dei suoi consiglieri, modalità di diffusione delle loro posizioni e iniziative, personale, spesso competente, a supporto sia legislativo sia operativo sul territorio. A questo punto del percorso, il Movimento Cinque Stelle è pervenuto ad un bivio, analitico e politico. Qualcuno potrebbe giustamente interrogarsi se i grillini non dovranno presto fare i conti con le compatibilità. Chi sta in un’Assemblea, regionale e/o comunale, è obbligato a tenere in grande conto le regole di funzionamento di quell’Assemblea.
L’integrazione, l’assimilazione, l’addomesticamento potrebbero essere dietro l’angolo. Qualcun altro potrebbe, invece, sostenere che insediandosi in una pluralità di assemblee elettive, i grillini si mettono “in rete”, possono connettersi e si preparano a diventare un movimento su scala effettivamente nazionale. Max Weber che, ne sono sicuro, sta seguendo il fenomeno con la massima attenzione, parlerebbe di potenzialità, forse, di necessità, di forme di istituzionalizzazione. Sarebbe, però, anche incline a sottolineare che i demagoghi, di cui Grillo è un esemplare, non sanno, non vogliono e spesso non riescono a istituzionalizzare le loro creature.
Nelle società dalle quali sono scaturiti e nelle assemblee nelle quali sono penetrati, i grillini non operano privi di avversari e di contraddittori. Il Partito Democratico bolognese, non avendo, questa volta, avuto bisogno di quei voti per il ballottaggio, potrebbe fare spallucce nei confronti del Movimento Cinque Stelle. A Milano, nonostante gli inviti di Grillo a non scegliere né la destra né la sinistra, entrambe, secondo lui, inesistenti, più dei due terzi degli elettori a Cinque Stelle è confluito su Pisapia, mentre quasi tutti i rimanenti altri grillini hanno preferito l’astensione allo screditato centro-destra.
Laddove il Partito Democratico governa saprà tornare, se necessario, alla strategia applicata efficacemente nel passato, ovunque possibile: la cooptazione.
L’offerta di cariche, ad esempio, qualche presidenza di commissione consigliare, è spesso irresistibile. Naturalmente, porta con sé qualche inevitabile costrizione, a cominciare dalla responsabilizzazione e dal coinvolgimento nelle decisioni. In politica, è impossibile restare purissimi e immacolati.
Qualche grillino obietterà e si opporrà alla cooptazione e al coinvolgimento. Tensioni interne faranno la loro comparsa. Assisteremo, forse, a scomuniche. Quando poi si andrà alle elezioni generali, il Movimento Cinque Stelle dovrà prendere decisioni della massima importanza alla luce della probabilità che quelle elezioni vengano decise da un pugno di voti. E le decisioni prese, da chi? dal solo Grillo?, a livello nazionale avranno grandi, forse enormi, ripercussioni sui grillini e sul loro elettorato a livello locale.
Tuttavia, sarebbe opportuno non sottovalutare le turbolenze che i grillini, unitamente ad altri spezzoni della sinistra, sono in grado di causare all’alleanza ampia necessaria affinché uno schieramento di centro-(trattino)-sinistra sia in grado di portare una sfida credibile al pur azzoppato centro-destra.


Da qualunque prospettiva lo si guardi, il fenomeno dei grillini rivela, nel bene e nel male, l’esistenza di un problema, non post-politico, ma tutto politico: la difficoltà, non tanto di creare uno schieramento sinceramente, convintamente e convincentemente riformista, ma di costruire una cultura politica riformista. E’ un’operazione che richiede pazienza e non si risolverà in una tornata elettorale, ma che continua a sembrarmi tanto sottovalutata quanto lontana; anzi, posticipata. Certo, primum vincere, ma quando philosophari?

 
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