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LA RISERVA AUREA ITALIANA POTREBBE GIA' ESSERE NELLE TASCHE DELLA MERKEL!

Post n°399 pubblicato il 17 Gennaio 2013 da r.capodimonte2009
 

Con gli accordi di Bretton Woods del luglio 1944 il mondo dei vincitori decideva di abolire la convertibilità aurea della moneta, operazione che gli Stati Uniti avevano già adottato durante il New Deal, adottando come divisa internazionale il dollaro, e realizzando in concreto le teorie di M.Keynes, che individuavano nell’indebitamento degli Stati la miniera per fare sviluppo. Evidentemente i rapporti tra il valore della moneta e la massa circolante corrispondente creavano svalutazione e inflazione, e ricadevano sulla testa dei popoli, i quali, però, sceglievano (non certo per volontà, ma per imposizione) il progresso e lo sviluppo in cambio dei debiti accumulati, e non solo in casa, ma anche fuori, una volta cedute le proprie “cambiali” a chi le voleva scontare.

Le alternative alle teorie del più famoso economista del Novecento? Le vediamo realizzate in pieno dall’UE. Sviluppo in cambio dell’abbattimento del debito e delle spese dello Stato, accompagnato da una forte leva fiscale.

I limiti del primo tipo di economia è quello di dilatare il debito pubblico fino al punto da non poterlo più controllare, cosa che Keynes considerava impossibile, se il sistema bancario rispondeva pienamente ai suoi dettami, investendo pienamente su di esso, e utilizzandolo come liquidità da erogare alle imprese e alle famiglie. Ma una volta che il regime bancario fosse uscito dal seminato, si sarebbe arrivati al paradosso (quello degli Usa di oggi), che fatto 16.000 miliardi di dollari il debito pubblico, bloccate le banche dalla crisi che ancora le sta divorando, senza un’opportuna politica fiscale sui redditi, il Paese va in default, con un’inflazione sempre più alta.

I limiti del secondo tipo di economia ce l’abbiamo addosso: applicarla in periodi di crisi, in Paesi che hanno Pil molto bassi e per la maggior parte stipendi e pensioni infime, dove oltretutto le banche sono ridotte come quelle di cui sopra, significa gettarli nella recessione, durante la quale, pur se il debito non raggiunge quote massime, il pagamento degli interessi diventa una mannaia, come il fisco.

Esiste un terzo tipo di economia, quella che elimina i privilegi e le spese inutili, e di questi fa cassa; nazionalizza le banche in crisi e le l trasforma in banche d’interesse nazionale riservate alle famiglie e alle pmi, ma anche al salvataggio dei gioielli di famiglia; duplica ’Inps in due enti separati, uno delegato alle assicurazioni sociali e l’altro alla previdenza sociale; abbatte l’assistenza sanitaria uguale per tutti, privatizzandola per gli alti redditi; attua una riforma fiscale di prelievo progressivo e scarico totale delle spese, accompagnata da una legge patrimoniale; riduce il costo del lavoro, o cuneo fiscale, e da il via a grandi opere pubbliche. Impiega totalmente o  parzialemente la propria riserva aurea.

La riserva aurea, ci siamo. Ovviamente nessuno ne parla, perché quel che si combina nella stanza dei bottoni, specie per chi è abituato alle decisioni prese nel segreto dei “comitati”, non deve essere diffuso, perché il popolo deve restare “bue”.

E allora lo facciamo noi.

La riserva aurea italiana è là appunto dai tempi di Bretton Woods, quando fu privata della sua funzione e divenne un “tesoretto” di proprietà dei cittadini italiani, badate bene, cioè dello Stato che li rappresenta, non assolutamente delle banche. Col tempo e la rivalutazione del metallo giallo, la nostra è diventata la 4° del mondo, dopo Usa, Germania e FMI (il quale ce l’ha perché l’ha presa in cambio dei suoi crediti insoluti!): si tratta di 2.400 tonnellate di oro, pari a circa 150 miliardi di  US$, 110 miliardi di €. Con queste eccezioni:

a)non si sa di preciso dov’è conservata;

b)né se è stata intaccata;

c) perché la si considera “intoccabile”;

d) perché non se ne parla, almeno per correggere menzogne, o risolvere problemi

  finanziari.

 

a) Sembra paradossale, ma proprio in questi giorni la provvida Germania, come ci rivela il quotidiano economico Handelsblatt, si appresta a rimpatriare i suoi depositi in oro custoditi all’estero, la maggior parte gestiti nei forzieri della FRB a New York, parte presso la Bank of England e parte presso Banque de France. Il resto, circa il 30% è già alla Bundesbank. L’Italia che si trova nelle condizioni economiche che sappiamo, invece, se ne frega. La nostra riserva “dovrebbe” essere anch’essa distribuita tra palazzo Koch, gli Usa, e la GB. Il problema grave è però un altro: l’identificazione dei registri di carico e scarico, i contrassegni o numeri seriali, la qualità e la purezza dell’oro. Come si fa a distinguere il nostro da quello degli altri se mancano questi presupposti? Il popolo lo sa che il deputato americano Ron Paul scoprì, durante un’inchiesta parlamentare, che molto dell’oro accumulato nei forzieri americani era “tungsteno” dipinto in oro? Se la Germania si muove, gatta ci cova.

b) Lo scorso novembre il Presidente della Commissione Parlamentare per l’Europa presso il Bundestag, Krichbaum, ha dichiarato al quotidiano Rheinischen Post. “Per ridurre il debito pubblico, l’Italia deve mettere in vendita parte delle sue riserve auree.” Argomento ripreso, pochi giorni dopo, dal vice-capo gruppo della Cdu (il partito della Merkel, che controlla il PPE) allo stesso Bundestag: “Gli italiani devono mettere a posto i conti” ha detto. “Quindi o portano a termine le privatizzazioni (sic!) oppure vendono la loro riserva aurea!” E confermato dal direttore dell’FDP Schaeffer: “E’ necessario che gli stati indebitati vendano parte del loro oro o lo depositino a garanzia presso la BCE, in una quantità almeno del 20%”. La cosa grave è che, senza consultare il Parlamento, come sostiene il quotidiano britannico The Indipendent, obbedendo alle richieste tedesche “perché Roma mettesse mano alle sue riserve per incidere sullo stock del debito”, Monti potrebbe aver ceduto al ricatto, tanto che il 19 gennaio del 2012 i deputati Rampelli e Marsilio lo interrogarono, ma ancora attendono una risposta. Forse l’avranno nella prossima legislatura. Il giornalista economico Nigel Farage, rilasciava poi, nel febbraio di anno scorso, un’intervista: “L’Italia, nonostante le sue immense riserve auree, o forse per preservarle, diventerà certamente l’obbiettivo di un “attacco” della Troika” rivelò. “Questo, se non succederà “molto presto”, succederà “abbastanza presto.” Secondo lo stesso giornalista, Monti avrebbe già prelevato, senza informare il Parlamento, “5,669 miliardi dalla riserva aurea prima del 31 marzo: per farci che cosa? Venderlo ai russi o ai cinesi, che stanno raccattando oro su tutti i mercati? O darlo in pegno alla BCE come garanzia per i prestiti alle banche italiane, su richiesta della Bundesbank, preoccupata dalla situazione?”

I rischi, però, non vengono solo dai nostri governanti, ma anche dai nostri depositari: facciamo l’esempio della Gran Bretagna, la quale non ha mai mutato il suo carattere di “arraffona”. Uno dei motivi per i quali la Germania rivuole a casa il suo oro (e dovremmo farlo anche noi, al più presto!), e che i governi inglesi, quando lo Stato va in crisi, vendono l’oro a qualsiasi prezzo. In più emette operazioni di leasing garantite dai depositi aurei, senza minimamente guardare in faccia a chi appartengono. Siamo certi che l’oro italiano sia ancora là, o magari non sia già stato venduto ai cinesi? Per inciso vi riveliamo un episodio molto grave (che ci potrebbero confermare Berlusconi, e il suo ministro degli Esteri Frattini), che riguarda la vicenda terribile della guerra di Libia. Tra gli accordi “segreti” sottoscritti tra Roma e Tripoli, oltre al vantaggio di cedere le riserve di gas in monopolio all’Eni, c’era quello di consegnare a Palazzo Koch la riserva aurea libica di 150 tonnellate, valore 7 miliardi di €, per poterla utilizzare in caso di bisogno, in compensazioni con lavori da effettuare in Libia. Se voi ricordate bene, la guerra scoppiò pochi mesi dopo che l’Italia ebbe firmato quell’accordo, inserito nel trattato di “non aggressione” tra i due Paesi, poi clamorosamente tradito. Bene, in quello stesso periodo, il Presidente venezuelano Chavez richiamava il suo oro dai caveau londinesi, dove nel frattempo era sparito, fagocitato da qualche sordida operazione governativa. Sapete cosa fecero allora gli inglesi, appena giunti a Tripoli, sequestrarono l’oro di Gheddafi e lo consegnarono a Chavez, e ancora una volta l’Italia restava a bocca asciutta, e con la sua brava figura da fedifraga!

c) Dopo la trasformazione delle banche nazionali, in banche azioniste della BCE, si è creato un vulnus giuridico che vede la Banca d’Italia quale “istituto di diritto pubblico” (legge 262) ma con un capitale detenuto in maggior parte da banche private. Le riserve della B.I. che comprendevano anche  quelle auree, così sono pubbliche, ma in mano ai privati. Un terribile rischio, visti i comportamenti delle banche e la loro situazione patrimoniale, se il legislatore non interverrà con un regolamento (che tarda ad arrivare per ovvii motivi!). tanto che la Consob recentemente ha dichiarato che, “una volta emanato il citato regolamento, lo Stato, quale unico azionista della Banca d’Italia potrebbe liberamente disporre di tutti i beni della stessa che, come l’oro, non sono in alcun modo funzionali allo svolgimento dei compiti istituzionali.” Quando, nel 1997 Prodi tentò di utilizzare i 3.400 miliardi di imposte relative ai depositi in oro di Bankitalia, rivalutati dal rientro dei lingotti dati in garanzia alla Germania, e utilizzarli per riportare il disavanzo pubblico sotto il 3% del Pil, Bruxelles disse di no e noi entrammo nella UE senza i parametri necessari.

Tremonti tentò di fare la stessa cosa nel 2009, ma anche questa volta arrivò il blocco della UE, da parte di Trichet, con una affermazione che sarebbe molto seria se non fosse detta da un banchiere paranoico: “Siamo sicuri che l’oro è della banca d’Italia, e non del popolo italiano?” Pappagallando quel che aveva già sostenuto Mario Draghi, in qualità di governatore B.I. ”Le riserve auree appartengono agli italiani e non a Via Nazionale!”

d) Si tratta di affermazioni retoriche, che servono solo a rendere più appetibili queste ricchezze ai padroni di oggi (le banche) e a quelli di domani, se le cose non cambieranno, (i tedeschi). Basterebbe un breve ragionamento, che taglierebbe via ogni incertezza: se gli italiani, dalla culla fino alla morte detengono sul groppone 40.000 € di debito, perché non dovrebbero volere che questo debito fosse in parte pagato, visto che non sono stati neppure loro ad assumerlo, ma i governanti di ieri e di oggi? Pensate che noi abbiamo cooptato un governo tecnico, con un colpo di mano istituzionale, il quale ha gettato il Paese nel declino, invocato a gran voce da taluni burocrati europei, legati alle stesse organizzazioni finanziarie e politiche sovranazionali, di ben determinati ambienti italiani, detentori dei poteri forti, che avevano impresso al Paese una crisi artificiosa, basata sul calcolo teorico di un indice, assolutamente slegato alla sua salute economica. Nullla eccependo naturalmente dalla scarsa gestione politica e finanziaria del Governo precedente. E invece, da parte, negli scantinati di Palazzo Koch e in altri caveu più o meno identificati, avevamo lì a dormire qualcosa come 110 miliardi di €, che non solo avrebbero messo a tacere lo “spread”, ma avrebbero potuto rilanciare immediatamente il Paese, se utilizzati in modo appropriato. Non fu un colpo di Stato militare, ma certo finanziario!

Il problema è: ma costoro, in primis Mario Monti, questo tesoretto l’hanno mantenuto o l’hanno svenduto, d’accordo con gli amici di Bruxelles e Francoforte?

E poi, se l’hanno fatto, hanno infornato il popolo italiano, che ne era il proprietario?

VOGLIAMO INFORMARCENE?

 

ITALIADOC

 

 

 

 

 
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